Vittoriana. UNA GITA ALLA MORGUE DI PARIGI.

“A Parigi la morgue è considerata al pari di un museo ed è molto più affascinante di un museo delle cere, perché le persone che qui vi sono esposte sono fatte di vera carne e vero sangue.” [Risposta del direttore amministrativo della Morgue parigina all'intervista della Press del 22 marzo 1907. Stralcio ripreso da Spectacular realities: early mass culture in Fin-de-Siècle Paris, di Vanessa R. Schwartz, p. 48 – trad. mia]

Paris Morgue


Se foste viaggiatori del XIX secolo in visita a Parigi trovereste, nella vostra guida alla città, un curioso suggerimento
Siete appena usciti da Notre-Dame, e siete ancora pervasi dalla sua gotica sacralità. Fate pochi passi, non molti a dire il vero, ed ecco che davanti a voi una coda di gente che si spintona e preme e cerca di sbirciare dalle spalle del proprio vicino. "Cos'è successo?", chiedete. Una dama in un vaporoso vestito color glicine si volta e sbatte le folte ciglia. "Ma come, non lo sapete? Hanno appena portato alla morgue quel tale di cui parla il giornale!" 

Aperta dall'alba al tramonto, sette giorni su sette, la Morgue di Parigi era una vera e propria attrazione in un'epoca in cui la Morte era considerata affare di tutti i giorni.






All'inizio appendice del Grand Chatelet, il famigerato palazzo di giustizia di Parigi, la morgue deve il suo nome ai galeotti che lì soggiornavano, spesso per morirvi in condizioni atroci. Morgués (umiliati), erano infatti definiti i criminali condotti nelle celle più fetide e infime del carcere, sottoposti a stretta sorveglianza da parte dei loro carcerieri. Lì, dove i miasmi della Senna si univano al puzzo esalato dai canali di scolo dei vicini mattatoi

A partire dal 1700 la morgue dello Chatelet viene associata al riconoscimento dei cadaveri, per lo più di disgraziati ripescati dalla Senna o trovati morti per strada. 


Ma è solo nel 1864, lo Chatelet ormai demolito e l'obitorio traslato sulla punta estrema dell'Île de la Cité, all'ombra della cattedrale di Notre-Dame, che la Morgue di Parigi diventa un vero e proprio fenomeno di massa che la renderà famosa nel corso di tutto il XIX secolo.

“La Morgue è una costruzione isolata, su cui sventola la bandiera tricolore francese: al pianterreno, dietro un tamburo di legno, donde si entra e si esce, vi è la sala di esposizione dei cadaveri. Vi sono tre grandi vetrine di cristallo molto forte, ma limpidissimo, dietro le quali vi è, divisa in tre reparti, la fila delle barelle a ruote, in ferro, come lettini senza materassa, in cui sono deposti ed esposti al pubblico, i morti sconosciuti.” [Matilde Serao, Lettere d'una viaggiatrice, Napoli, Francesco Perella Editore, 1908]

Così scrive Matilde Serao nel suo resoconto parigino. Lei (siamo ormai nel 1900 e già la sensibilità in merito è cambiata), che non trova nessuno dei suoi amici disposto ad accompagnarla al “museo dei cadaveri” lo fa da sola, per amore di cronaca. Ne esce sconvolta, disgustata dal modo in cui le persone si soffermano a fissare i corpi distesi sui lettini di ferro, senza pudore per la morte che li ha colpiti.



Eppure, almeno nelle intenzioni iniziali, la Morgue nasce con un nobile scopo: quello di dare un nome alle decine di cadaveri che settimanalmente sono raccolti in strada, negli stanzini di infime bettole, sulle sponde del fiume.

I corpi vengono puliti e ricomposti, trattati in modo da ritardarne la decomposizione e quindi esposti al pubblico. Gli abiti con i quali sono stati ritrovati appesi a rastrelliere. Messi in vetrina per un mese. 
Molti di loro resteranno per sempre senza identità. 
Ma si tenta comunque un'ultima volta. Una foto dello sconosciuto viene affissa in una bacheca posta accanto alla porta di uscita, mentre il suo corpo può finalmente sottrarsi alla vista del pubblico per finire in una tomba anonima.

Per la maggior parte si tratta di vagabondi - morti di inedia o di freddo; di suicidi, che il più delle volte scelgono la Senna come luogo nel quale annegare il proprio dispiacere. Ma ci sono anche le vittime di omicidio, che suscitano sempre una grande sensazione nel pubblico. A volte la folla preme contro la porta dell'obitorio sin dalle prime luci dell'alba, per vedere con i propri occhi quei “cadaveri famosi”.

Come avviene nell'agosto del 1886, quando Le Journal Illustré pubblica in prima pagina il caso di una bambina di quattro anni ritrovata morta con una ferita alla mano. La massa di gente che si accalca davanti alla Morgue per dare uno sguardo alla “Enfant de la Rue du Vert-Bois” è così enorme da riempire la strada e costringere il traffico a fermarsi.

Così la Morgue diventa ben presto un punto di ritrovo. Un modo, scrive Vanessa R. Schwartz, per avere un “ausilio visivo ai giornali, osservando con attenzione quei corpi che sono stati descritti in maniera sensazionalistica sulla pagina stampata”, [Vanessa R. Schwartz, testo citato].

Paris Morgue

Persino Charles Dickens ne subisce il fascino morboso e vi viene “trascinato da una forza invisibile” il giorno di Natale.

[Lì]“vidi un vecchio ingrigito che giaceva tutto solo nel suo freddo letto, con un rubinetto aperto sulla testa grigia, e l'acqua correva, goccia dopo goccia, giù per la sua miserabile faccia finché non raggiungeva l'angolo della bocca, dove colava, dandogli un'aria maliziosa”. [Charles Dickens, The Uncommercial Traveller, 1875, trad. mia]

La Morgue attrae semplici curiosi, parenti alla ricerca dei propri cari, annoiati che non sanno come far passare le ore e cittadini che desiderano l'informazione più completa. Ma spesso è anche il luogo prediletto degli assassini che, mescolandosi alla calca, si affacciano sulla vetrata centrale per guardare ancora un'ultima volta la propria vittima.

È qualcosa che sanno bene i poliziotti parigini e che sa altrettanto bene uno scrittore come Zola, che alla Morgue trascina Laurent, uno degli amanti omicidi del suo Thérèse Raquin.

“Quando entrava, un odore nauseabondo, un odore di carne macerata lo disgustava, e soffi gelidi gli correvano sulla pelle; l'umidità dei muri sembrava impregnargli gli abiti che sentiva più pesanti sulle spalle. Andava difilato alla vetrata che separa gli spettatori dai cadaveri; appic­cicava ai vetri la faccia pallida, guardava. Davanti a lui erano allineate grigie lastre di pietra. E sulla pietra i corpi nudi apparivano come sparse macchie verdi e gialle, bianche e rosse; certuni serbavano nella rigidità della morte le loro carni illibate; altri sembravano infor­mi avanzi di macellazione, sanguinolenti e putrefatti. In fondo, contro il muro, pietosi brandelli di indumenti, gonne e pantaloni, pendevano raggrinziti sull'imbianca­ta nudità della parete. Lì per lì Laurent non vedeva che il grigiore delle pietre e dei muri con le macchie rosse e nere degli indumenti e dei cadaveri. Chioccolava una vena d'acqua corrente.” [Émile Zola, Thérèse Raquin, BUR, trad. di Paola Messori]

A Zola si deve anche la descrizione più dettagliata, profonda e ironica di quel caravan serraglio che era l'obitorio cittadino nei giorni di punta.

“La Morgue è uno spettacolo alla portata di tutte le borse, che qualunque passante, povero o ricco, si concede gratuitamente. La porta è aperta, entra chi vuole. Ci sono ammiratori che allungano il cammino pur di non perdersi una di queste rappresentazioni della morte. Quando le lastre di pietra sono spoglie, la gente esce delusa, come defraudata, biascicando proteste. Quando sono ben fornite, quando c'è sfoggio di carne umana, i visitatori accorrono numerosi per procurarsi emozioni a buon mercato – si spaventano, scherzano, applaudono o fischiano come a teatro, e per quel giorno escono soddi­sfatti commentando la buona riuscita della Morgue.” [ibidem]

E, come ricorda lo scrittore, spesso i principali avventori di questa sorta di peep show di cadaveri, di questa vetrina del nudo e della fine sono i ragazzi, poco più che adolescenti che si avventurano attraverso la porta di legno per sbirciare i corpi di donne private di ogni vergogna, in un curioso connubio di sesso e morte.

“Ogni tanto arrivavano bande di ragazzini dai dodici ai quindici anni, che correvano lungo la vetrata non fer­mandosi che davanti ai cadaveri di donne. Piantavano le mani sui vetri e lasciavano scorrere sguardi sfrontati sui seni nudi. Si davano gomitate, facevano apprezzamenti brutali, imparavano il vizio alla scuola della mor­te. È alla Morgue che le giovani canaglie trovano la loro prima amante.” [ibidem]

Ma la Morgue di Parigi è anche fonte di ispirazione. E se è vero che Leonardo da Vinci frequentava il tavolo settorio per i suoi studi di anatomia, a Géricault non serve arrivare a tanto per i bozzetti preparatori del suoLa Zattera della Medusa”. Gli basta fare una passeggiata all'Île de la Cité e spostare il pesante pannello di legno per trovare, al di là di un vetro, tutte le reference di cui ha bisogno tra corpi di veri annegati e volti trasfigurati dalla morte

 

La Morgue continua a ergersi sull'Ile de la Cité come un monolite indiscusso, vero e proprio tempio della corruzione e della Morte fino al 1907, anno in cui un'ordinanza comunale ne impone la chiusura al pubblico per “motivi di igiene morale”.


Ne scrive l'epitaffio la stessa Serao, con parole che spiegano perfettamente com'era cambiato, nel volgere di mezzo secolo, l'approccio al tema della fine della vita. 
Non più argomento di discussione – e a volte di discutibile spettacolo - ma “augusta cosa” da riverire. Possibilmente in un luogo appartato e chiuso agli occhi degli indiscreti. 

Ed è difficile dire, oggi, quanto di questo pudore fosse da associare al rispetto dei cadaveri e quanto, invece, a una progressiva sensibilità dei vivi, che avevano cominciato a sottrarsi indignati alla viscida carezza dell'Oscura signora, al suo sguardo insistente.

“La Morgue è chiusa per tutti coloro che, non essendovi più esecuzioni capitali, non potendo più assistere al declic della ghigliottina, appagavano la loro degenerazione, andando a impallidire o a ridere davanti ai cadaveri degli assassinati dagli apaches, ai cadaveri degli annegati della Senna [...] E l’onta crudele dell’ultima esposizione sarà risparmiata a coloro che perirono, nell’ombra, nella notte, vinti nella estrema loro lotta col destino cruento.” [ibidem]

Oggi, al suo posto si trova il Memoriale dei Martiri della Deportazione, inaugurato nel 1964. 

Così, anche se con compagni diversi, la Morte continua ad alloggiare sull'Île de la Citè.

3 commenti

  1. Se penso che pochi anni dopo in occasione del mio viaggio di nozze quando siamo andati a Parigi siamo passati spesso nella fermata del Metro dello Chatelet. Un luogo pulitissimo e quasi asettico, come cambiano i tempi!

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    1. A leggere in giro, lo Chatelet era davvero un'anticamera dell'inferno. Non oso immaginare come dovesse essere finire nella "fossa", per dire. Comunque Parigi sembra essere la città del passato insospettabile. Ora, per esempio, sto leggendo un bel saggio sulla ghigliottina e ti stupiresti di quanti luoghi, che oggi vengono frequentati con noncuranza, sono stati inondati da fiumi di sangue appena pochi secoli fa.

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  2. Anni fa sono stato a Parigi in occasione del mio viaggio di nozze, con il Metrò parigino scendevamo spesso alla fermata dello Chatelet, niente faceva pensare a com'era la situazione da te descritta nel post solo duecento anni prima, mai vista una stazione così pulita ed asettica.
    I tempi cambiano, per fortuna...

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