[Seconda parte dell'articolo dedicato a Mata Hari. La prima parte potete leggerla qui]
All'improvviso, la guerra
Verso la fine di febbraio del 1914, Mata Hari è di nuovo a Berlino. La guerra è a un passo dall'esplodere, ma in Europa sono pochi a sentire lo stridio delle baionette che vengono affilate. Riesce a firmare un contratto per il teatro Metropole per il 1° settembre, ma non danzerà mai.
Il 28 giugno Gavrilo Prinzip uccide l'arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie. Un mese dopo, l'Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia. Il 1° agosto la Germania entra in guerra contro la Russia.
Mata Hari non sa cosa fare. Decisa a rientrare a Parigi attraverso la Svizzera, viene respinta alla frontiera e si ritrova senza più bagaglio, gli indumenti sequestrati. All'improvviso, i suoi documenti non sono più validi. Il 14 agosto riesce fortunosamente a lasciare Berlino e raggiunge Francoforte sul Meno, dove finalmente ottiene un documento di viaggio dal consolato olandese.
In Olanda e senza un soldo, Mata Hari sopravvive grazie al suo amante e ad alcuni ingaggi racimolati nei teatri. Ma l'atmosfera del suo paese natale la infastidisce, desidera tornare a Parigi.
Il 15 maggio 1916 ottiene un nuovo visto d'ingresso per la Francia. A giugno, dopo le prime difficoltà incontrate per entrare nel paese provocate dai sospetti di Scotland Yard su di lei, Mata Hari è di nuovo a Parigi.
Spia per caso
A Parigi Mata Hari, che continua la sua vita di sempre tra ricevimenti e amanti, si innamora di Vadim de Massloff, capitano del primo reggimento speciale imperiale russo, di stanza a Vittel. Per stare accanto al suo uomo, nell'agosto del 1916 progetta di trascorrere alcuni giorni nella località, rinomata per le sue acque termali. Ma Vittel è una zona calda, sede di importanti operazioni, non molto distante da Contrexeville dove si sta costruendo un aeroporto militare, per cui è necessario un permesso speciale per accedervi.
Su consiglio di un amico, Mata Hari si rivolge all'ufficio militare per gli stranieri per ottenere il visto. E qui incontra il il capo dei servizi segreti francesi, il capitano Ladoux.
Ladoux comincia un interrogatorio formale sui suoi sentimenti nei riguardi della Francia. “Accettereste di lavorare per noi?”, è la domanda finale. Mata Hari non si sbilancia, prende tempo e qualche giorno dopo parte per Vittel sorvegliata a vista dal controspionaggio.
Due settimane più tardi, rientrata da Vittel, Mata Hari ha un nuovo colloquio con Ladoux durante il quale accetta di fare la spia per la Francia. La somma richiesta per la sua collaborazione è di un milione di franchi. Il capitano tergiversa e la invita prima a dimostrargli cosa è in grado di fare.
Nel novembre di quello stesso anno, nella sua nuova veste di spia per la Francia Mata Hari si imbarca sull'Hollandia diretta, ancora una volta, nel suo paese natale per poi proseguire, in base agli accordi presi con Ladoux, verso Bruxelles.
Clara Benedix
Quando si trova a passare la Manica, però, la nave viene intercettata e obbligata a un attracco forzato nel porto di Falmouth dalla marina britannica. Non si tratta di un evento inusuale, ma di un controllo a campione che viene eseguito quotidianamente dalla Gran Bretagna sulle imbarcazioni civili.
Sulla nave salgono alcuni ufficiali dei servizi segreti di Sua Maestà che, nel controllare equipaggio, carico e passeggeri, arrestano Mata Hari con l'accusa di essere Clara Benedix, presunta spia tedesca proveniente da Amburgo.
A nulla valgono le proteste sue e del capitano: il 13 novembre Mata Hari viene consegnata nelle mani di Scotland Yard per essere interrogata.
Ma se all'inizio le autorità britanniche sono convintissime di aver messo le mani sulla ricercatissima Clara Benedix, tanto da comunicarlo via telegramma al primo ministro olandese, meno di ventiquattro ore dopo ci ripensano. Quella donna è veramente Mata Hari, ma il suo arresto è comunque giustificato per “gravi sospetti di atti non neutrali”.
Informati dalla stessa Mata Hari di essere in missione per conto della Francia, i britannici contattano immediatamente i servizi segreti francesi che così rispondono, per il tramite di Ladoux: “Non capisco. Rimandate Mata Hari in Spagna”.
L'11 dicembre 1916 Mata Hari si trova a Madrid, dove vi rimarrà per tre settimane.
Qui, memore degli accordi presi con il capitano e desiderosa di mettere le mai su quel milione di franchi necessario per sposare il “suo” Vadim, Mata Hari riesce a penetrare nella camera privata dell'addetto militare Van Kalle, dal quale apprende alcune importanti informazioni sulle operazioni tedesche. Comunica la notizia al capitano Ladoux via telegramma e direttamente al colonnello Denvignes, capo dello spionaggio dell'ambasciata francese a Madrid.
Il 2 gennaio 1917, mentre da Parigi tutto tace, una Mata Hari furibonda parte per la Francia decisa a far rispettare il contratto con Ladoux. Che prima non la riceve e poi le dice di non sapere di cosa sta parlando. Lui non ha mai autorizzato nessuna missione, e lei non è mai stata davvero ingaggiata come spia.
Un mese più tardi, il 13 febbraio, Mata Hari viene arrestata nella sua camera all'Elysée Palace Hotel dal capo della polizia Priolet e condotta alla prigione di Saint Lazare. Sulla sua testa pende un atto di accusa pesantissimo:
“Zelle Marguerite, nota come Mata Hari […] è accusata di spionaggio, collaborazione e connivenza con il nemico, allo scopo di facilitare le sue operazioni.”
Agente H-21
Il capitano Bouchardon, ufficiale investigatore chiamato a occuparsi degli interrogatori, non ha dubbi sulla sua colpevolezza. Mata Hari ha viaggiato per mezza Europa, conosce molto bene il francese e il tedesco ed è un'abile seduttrice. È, per dirla con le parole del capitano “una donna internazionale”, e il cliché della spia perfetta. Con simili presupposti, gli interrogatori sembrano avere il solo scopo di mettere in ordine i capi di accusa e le responsabilità della prigioniera.
Chiusa in una cella imbottita, senza servizi igienici e isolata dal mondo, Mata Hari protesta duramente per il trattamento subito. Forse non ha ben chiaro cosa implicano le accuse che le sono rivolte. È convinta di non aver fatto nulla di male, di essersi comportata sempre lealmente nei confronti della Francia, e di aver eseguito gli ordini che le erano stati dati.
Non è così, e nel corso dei quattordici interrogatori cui viene sottoposta emerge una realtà diversa.
Mentre un disinfettante per le irrigazioni vaginali viene scambiato per inchiostro simpatico e acquisito come prova della sua attività da spia tedesca, nessuno si prende la briga di informare la legazione di Olanda dell'arresto di una cittadina olandese, che verrà a conoscenza dell'incarcerazione solo il 22 aprile. Ma, del resto, l'ambasciata può fare ben poco se non, all'indomani della condanna, appellarsi alla clemenza del Presidente per una grazia che non verrà mai concessa.
Durante uno degli interrogatori, quello che poi peserà fortemente nel processo e nella condanna, Mata Hari ammette di aver ricevuto denaro da uno dei consoli tedeschi ad Amburgo perché entrasse nello spionaggio con il nome in codice di agente H-21. Il console le aveva consegna toventimila franchi assieme ad alcune boccette di inchiostro speciale. Mata Hari incassa i primi e getta in mare le seconde.
Quel denaro, spiegherà più volte durante gli interrogatori, lo considerava un risarcimento per i guai subiti a causa dello scoppio della guerra, tra cui il sequestro delle pellicce, quando ancora si trovava a Berlino.
Non le credono. Né credono alla sua buona fede quando racconta delle informazioni carpite a Von Kalle e passate allo spionaggio francese. Notizie che riguardano lo sbarco tramite sommergibile di soldati tedeschi e turchi sulla costa francese del Marocco, e la presunta decifrazione del codice segreto dei francesi. Bouchardon e Ladoux contestano le sue dichiarazioni mentre il colonnello Denvignes se ne appropria, dichiarando che si tratta di informazioni che ha acquisito autonomamente.
A nulla serve ribadire più volte che si è comportata esattamente come le aveva suggerito Ladoux e come in quel periodo stava facendo la pluridecorata Marthe Richards, sempre a Madrid: fingere collaborazione con i tedeschi per passare le informazioni ai francesi. Doppiogiochista, sì, ma per la Francia e i francesi. Per tutti, ormai è una spia al soldo dei tedeschi. La sua condanna è già scritta prima ancora che si pronuncino i giudici.
"Per riassumere, ho fornito a von Kalle soltanto notizie superate e ho fornito al vostro paese informazioni importanti e completamente nuove. Almeno lo erano quando le ho date al colonnello Denvignes. E adesso tutto il merito va a lui e io mi trovo in prigione."
Il 24 luglio 1917 comincia il processo davanti al tribunale militare. Processo che si conclude il giorno dseguente, con una camera di consiglio di appena quarantacinque minuti. Mata Hari è condannata a morte.
A occhi aperti - 15 ottobre 1917
Dopo la richiesta di riesame, mentre i giorni passano, Mata Hari comincia a capire che tutto è inutile.
Sono le 4 di un freddo mattino di ottobre quando il capitano Bouchardon arriva a Saint Lazare. Non è solo. All'interno della prigione si trovano alcuni funzionari, il dottor Bizard e Maitre Clunet, l'avvocato e primo amico di Mata Hari durante la sua avventura parigina.
Nella cella numero 12 Mata Hari dorme, pesantemente sedata dal dottor Bizard. Quando la svegliano e capisce cosa sta per accadere, scuote la testa. “È impossibile! È impossibile!”, esclama. Ma poi aggiunge, rivolta alla suora che le ha tenuto compagnia durante quegli ultimi mesi:
“Non abbiate paura, sorella, saprò morire”.
Per la sua uscita di scena, Mata Hari sceglie con cura cosa indossare: un abito grigio perla, un cappello con veletta, guanti, scarpe e un mantello. Dopo aver passato mezz'ora in compagnia del reverendo Arboux, è finalmente pronta. Sottobraccio a suor Leonide raggiunge il Pont d'Avignon dove, prima di essere consegnata alle autorità militari, chiede di poter scrivere alcune lettere, una delle quali destinata a Non.
Lettere che nessuno riceverà mai e che, in base alle ricerche di Waagenaar, sembrano essere andate irrimediabilmente perdute.
In auto con suor Leonide e il reverendo Arboux, Mata Hari attraversa Parigi un'ultima volta. La città è livida nella luce spenta del primo mattino, il sole comincia a sorgere appena mentre l'auto raggiunge il poligono di Vicennes.
Un palo è conficcato al centro di uno spiazzo erboso. Mata Hari lo raggiunge e aspetta mentre il capitano Thibaud, membro del Consiglio di Guerra, legge la sentenza.
Chiede di non essere legata, non scapperà. Vuole avere le mani libere, come si conviene a chi muore innocente. Le passano una corda attorno ai fianchi per sostenere il corpo, quando i fucili finalmente si azzittiranno. Non ha bisogno neppure della benda. Non vuole morire al buio, come se non ci fosse nessuno intorno a lei. Lei, che sin da piccola è stata circondata da occhi pieni di ammirazione, morirà come ha vissuto.
Due file da sei di soldati del quarto reggimento degli zuavi le stanno davanti. Poco più in là, i suoi accusatori, suor Leonide, il reverendo e il dottore.
Mata Hari vede tutto e tutti. È il suo ultimo, grande spettacolo per un pubblico ristretto. Come agli inizi della sua carriera, quando danzava nei salotti e lentamente lasciava cadere uno dopo l'altro i veli attorno ai fianchi.
È stata Venere, Salomé e Cleopatra. Ancora pochi istanti, e anche lei rinascerà come mito.
L'ufficiale che comanda il plotone alza la sciabola. Dodici fucili rimbombano nel silenzio perfetto di quel mattino di ottobre. Segue un sordo colpo di pistola. L'ultimo. Sono le sei e quindici. È da poco sorto il sole.
E Mata Hari è morta.
Un'ultima volta sotto gli occhi di tutti
Che ne è stato del corpo di Mata Hari? Se state pensando di portare un fiore sulla sua tomba, spiacente di deludervi: non la troverete.
In quel 1917 fatto di sospetti e di panico, nessuno reclamò i suoi resti per il timore di subire lo stesso trattamento. Nessuno pianse a un funerale che non venne mai celebrato.
Gli ultimi amanti di Mata Hari furono i medici e gli specializzandi di un ospedale municipale di Parigi. Il suo corpo, così desiderato, finì sul tavolo settorio e fu dissezionato, manipolato e scrutato dentro e fuori come nessuno aveva mai fatto fino ad allora. Infine, quando ebbe esaurito il suo compito, venne ceduto alle fiamme.
"La danza è una poesia, e ogni gesto è una parola" - Mata Hari [7 agosto 1876 - 15 ottobre 1917]
N.d.A. Le citazioni presenti in questo articolo e nel precedente sono tratte da Sam Waagenaar, Mata Hari. Vita e morte di una spia bella, Longanesi, 1972
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