CENERE ALLA CENERE. La combustione umana spontanea

[Attenzione l'articolo che segue potrebbe urtare la vostra sensibilità per contenuti e immagini. Se ne raccomanda la lettura a un pubblico adulto]


La scena è sempre la stessa. Fumo acre, ceneri grasse e vischiose e una gamba intatta con ancora indosso una calza. Non resta molto altro delle presunte vittime della combustione umana spontanea, un fenomeno misterioso e inquietante che non ha mancato di affascinare studiosi, medici e perfino scrittori del calibro di Charles Dickens.

Corpi che all'improvviso si incendiano e in pochi istanti si riducono in cenere, come un vampiro sorpreso dall'alba. La combustione umana spontanea o autocombustione è oggetto di dibattito da almeno tre secoli. Da quando, cioè, si ha il primo caso documentato del fenomeno.



È il 14 marzo del 1731 quando la contessa Cornelia Zangheri Bandi, nonna del futuro papa Pio VI, si ritira nelle sue stanze. La mattina seguente, la sua dama di compagnia bussa alla porta per svegliarla. Non ricevendo risposta, decide di entrare.
La prima cosa che la colpisce è il denso fumo che riempie la camera unito a un odore sgradevole e soffocante. Mentre la donna raggiunge la finestra rischia più volte di scivolare sul pavimento unto.
Quando poi finalmente la luce del pieno mattino invade la stanza, la scena che le si presenta davanti agli occhi è raccapricciante. 

Non molto distante da dove si trova, accanto al letto sfatto, ecco le gambe della contessa intatte fino al ginocchio e con ancora indosso le calze. In mezzo a queste, la testa di lei per metà carbonizzata e tre dita annerite su un mucchietto di cenere scura. Dal soffitto gronda qualcosa che assomiglia a grasso fuso, lo stesso grasso che imbratta anche il pavimento.

La morte della nobildonna scatena dicerie e commenti, tra chi attribuisce la sua fine a un fulmine globulare e chi all'intervento del maligno.

Quello che resta della contessa Cornelia viene sepolto, ma non la sua storia, che diventerà un aneddoto ripreso, tra gli altri, da Giacomo Leopardi e da Charles Dickens.

Dickens cita la Bandi nella sua prefazione a Casa desolata e non lo fa a caso, dato che uno dei protagonisti del romanzo farà la stessa fine della nobildonna. “Di casi come questi”, scrive, “se ne annoverano più di trenta” [Casa desolata, prefazione, Charles Dickens, Einaudi] e cita, a sostegno della sua tesi, un altro episodio che precedette, ma non di molto, la morte della contessa.

autocombustione
Hellen Conway


È il 1725, lunedì di Pentecoste, e non siamo più a Cesena ma a Reims, in Francia, nella locanda “Leon d'oro”. Anche in questo caso la protagonista del fatto è una donna, moglie del locandiere, che la notte si appisola su una poltrona in cucina e il giorno dopo viene ritrovata completamente consumata dalle fiamme
Della morte di Nicole Millet viene inizialmente accusato il marito. In seguito scagionato grazie all'intervento di un giovane chirurgo, il dottor Le Cat. Le Cat è il primo a parlare della combustione spontanea umana come una possibilità scientifica e non soltanto una diceria da oratorio. In mancanza di prove, comunque, la morte della Millet viene ascritta alla visita del “fuoco divino”.

Mary Reeser

Il caso più celebre di sospetta autocombustione, il primo a essere fotografato, risale invece al 1° luglio del 1951 e ha per protagonista la settantasettenne Mary Reeser.

Quella sera Mary Reeser si appisola sulla sua poltrona preferita e scompare. Letteralmente. Il suo corpo si dissolve fatta eccezione per un piede infilato in una pantofola, un teschio rimpicciolito e un frammento di fegato attaccato a una vertebra. Stessa sorte tocca alla poltrona. Di entrambe resta, a testimonianza del rogo che le ha divorate, un buco sul tappeto e i soliti umori grassi che impregnano metà della stanza.

I resti di Mary Reeser

Né va meglio al medico in pensione John Irving Bentley, le cui ceneri vengono ritrovare nella sua stanza da bagno la mattina del 5 dicembre 1966. Novantadue anni, Bentely faceva uso del deambulatore e amava fumare la pipa. In bagno, oltre al deambulatore e a un buco nel pavimento, i testimoni rinvengono la parte inferiore di una gamba. La morte dell'ex-medico viene attribuita ad asfissia, con ustioni sul 90% del corpo.

John Irving Bentley


L'ultimo e più recente episodio di sospetta autocombustione risale al 2010 quando un pensionato irlandese di settatasei anni viene ritrovato carbonizzato nel salotto della propria abitazione. Nel suo referto, il medico legale scriverà: “Dopo aver accuratamente indagato sulle cause del rogo sono giunto alla conclusione che questo rientri nella categoria della combustione umana spontanea, per la quale non esistono spiegazioni soddisfacenti.”

Intervento divino? Uno scherzo del diavolo? Un accumulo eccessivo di metano nel corpo*? Un'improvvisa scarica di energia? O la spiegazione della combustione umana spontanea va piuttosto ricercata altrove e cioè fuori dal corpo che brucia e non al suo interno?

*che è quanto avviene in un episodio di South Park

Nel 1763 lo studioso Jonas Dupont, dopo aver sentito parlare della Millet, mette assieme un po' di casi di roghi misteriosi e dà alle stampe il De incendiis corporis humani spontaneis, primo documento ufficiale sulla combustione spontanea umana. Se non altro, Dupont ha il merito di aver dato concretezza a un fenomeno fino a quel momento ritenuto parente stretto delle leggende popolari.


Due secoli più tardi, nel 1976, è lo scrittore Michael Harrison a riportare alla ribalta l'autocombustione con il suo Fire from Heaven. L'opera, una collezione di casi di combustione spontanea umana, stabilisce tra gli elementi caratteristici del fenomeno il fatto che quasi mai i roghi si estendano al di là del soggetto in fiamme. 

Ma Harrison si spinge oltre, cercando di offrire una risposta alle autocombustioni, che dal suo punto di vista sono da attribuire a un'anomalia del cervello che indurrebbe il corpo a caricarsi di energia che lo consumerebbe dall'interno. E per corroborare la sua tesi ricorda i casi delle cosiddette “batterie elettriche umane”, uomini e donne in grado di generare scariche elettriche anche molto potenti. 


Di certo, quella di Harrison non è l'ipotesi più fantasiosa riguardo alle combustioni spontanee. C'è chi addirittura fa ricadere la responsabilità delle autocombustioni direttamente sulle famigerate ley lines o linee di prateria, quelle presunte linee di energia magnetica sulle quali sarebbero costruiti gli edifici religiosi.

Ma c'è anche chi ha cercato di offrire una spiegazione plausibile e, soprattutto, razionale al fenomeno.
Tra questi, vale la pena di citare l'esperimento del dottor de Haan, professore al California Criminalistic Institute. Fermamente deciso a svelare il mistero dell'autocombustione, de Haan ha sfruttato un maiale, un finto salotto e una sigaretta accesa per raggiungere il suo scopo.
Dopo cinque ore del maiale, che era letteralmente bruciato nel proprio grasso senza intaccare gli oggetti esterni, non rimanevano che le ossa incenerite e le zampe posteriori.

Il fenomeno studiato da de Haan viene definito “candela inversa” o effetto stoppino ed è, ad oggi, la tesi più accreditata per spiegare i casi di presunta autocombustione.

Le vittime dell'effetto stoppino vengono consumate come fossero fatte di cera. Il grasso si scioglie per il calore e penetra nei tessuti, alimentando così il rogo che può anche raggiungere temperature molto elevate, finché non si estingue spontaneamente. L'effetto stoppino spiega anche perché di solito l'incendio resti circoscritto alla vittima, e perché di questa non restino, alla fine, che le estremità.

Di solito, come visto, a morire sono spesso persone anziane che al momento della morte fumavano, o si trovavano vicino a fonti di calore. Nel caso della Reeser, inoltre, la padrona di casa testimoniò che la donna aveva assunto dei sonniferi perché non riusciva ad addormentarsi. È facile quindi immaginare che la Reeser non si sia accorta di nulla, scivolando inconsapevolmente dal sonno alla morte asfissiata dai fumi del suo stesso corpo che bruciava.

Bentley, al contrario, potrebbe non essersene andato così serenamente. Nel bagno in cui furono ritrovati i suoi resti, infatti, si scoprirono tracce di quelli che vennero ritenuti tentativi dell'uomo di spegnere l'incendio.

Sebbene non sia così spontanea, l'autocombustione resta nell'immaginario comune un fenomeno all'apparenza imprevedibile, che sembra trascendere il nostro controllo
I casi di cadaveri carbonizzati ritrovati in ambienti integri si legano direttamente a una delle paure più durature e ataviche dell'essere umano, quello della scomparsa definitiva e senza ritorno. La fine più completa.

L'autocombustione è un memento mori potente perché ci ricorda la nostra estrema fragilità, la nostra estrema piccolezza. Ci mette di fronte al fatto che, dopo la nostra morte, mentre noi saremmo ridotti a nient'altro che un mucchio di cenere, ciò che ci circonda continuerà a esistere. 
Che ci piaccia o meno.
E allora, tanto vale prenderla con filosofia.




2 commenti

  1. Articolo molto interessante ma anche molto angosciante >-<

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    1. Ciao Pigo! Eh, sì, in effetti è uno dei fenomeni più inquietanti di cui si abbia notizia. :D

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