WEIRD SCIENCE! Incubi tra fantascienza e pulp di Aa. Vv. - a cura di Ivo Torello

Eppure sembrava non esserci nulla, nulla di tangibile a parte le vaghe impressioni. Sentiva di essere in un punto cieco dello spazio, un luogo senza dimensioni, senza tempo, dove esistevano esseri aborriti dalla natura, cose che non avevano mai sviluppato leggi dimensionali.
[Tom Curry, La dimensione infernale in Weird Science! Incubi tra fantascienza e pulp, trad. di E. Furlan, Edizioni Hypnos, 2015, p. 184]



Era il 2017 e mi trovavo a Stranimondi per la prima volta. Ero lì sia in veste di autrice (per la presentazione di Zappa e Spada, l'antologia di fantasy da menare edita da Acheron Books), che in qualità di lettrice compulsiva.

A Stranimondi quel giorno letteralmente si stramazzava dal caldo, non soltanto per merito di una febbre quantomai intempestiva, ma anche perché i convenuti all'incontro erano molti più di quanto avessi osato immaginare.

E ovviamente c'erano libri. Tanti, tanti libri.

Del mio bottino di quell'anno fa parte anche questa raccolta, curata da Ivo Torello per la traduzione di Elena Furlan e pubblicata dalle Edizioni Hypnos.

Nonostante bazzicassi da mesi attorno a Weird Science! come una mosca attorno a Jeff Goldblum, mi ci sono voluti due anni per decidermi a leggere questa antologia di “incubi tra fantascienza e pulp”. Dannata aplestia letteraria.

Ivo Torello, curatore dell'antologia, ha raccolto in questo volume sette racconti che hanno per protagonisti altrettanti mad doctors (compreso un premio Nobel completamente impazzito) e che vanno dal 1843 – anno di pubblicazione del racconto di apertura, firmato da Nathaniel Hawthorne – al 1939.

Come è facile immaginare, la distanza temporale e il conseguente gap culturale hanno reso alcuni dei racconti contenuti nella raccolta desueti, a tratti cartooneschi, e il lettore di oggi che avesse intenzione di approcciarvisi dovrà tenere necessariamente conto del fatto che sta leggendo opere scritte quasi un secolo fa. Così come lo stile ridondante va inquadrato facendo riferimento al tipo di rivista per il quale erano destinati questi racconti di fantascienza vintage, ovvero le riviste pulp degli anni '30 che pagavano le opere un tot a parola, costringendo gli autori a fare qualcosa che oggi nessun editor ammetterebbe più: sovrabbondare con aggettivi, avverbi e perifrasi.




Uno dei fiori all'occhiello dell'antologia è sicuramente il ciclo di "Herbert West, rianimatore", lo scienziato negromante creato da Lovecraft nel 1922. Sebbene il solitario di Providence non considerasse questi tra i suoi racconti più riusciti, c'è in ogni tassello che compone la storia di West una invidiabile capacità di suscitare terrore semplicemente mostrando al lettore ombre in movimento, grida che sgorgano da una cantina riadattata a laboratorio o ripetuti colpi di pistola che esplodono nella notte. È una sequenza di chiaroscuri, di luci che fanno splendere un occhio fisso e cieco su un mezzo teschio, di corpi privi di testa che continuano a muoversi verso il lettore. C'è, in questi racconti, buona parte dell'iconografia del non-morto che ritroveremo anni dopo nei primi film aventi per protagonisti gli zombi. Così come Herber West incarna meglio di altri la figura dell'uomo di scienza completamente pervertito dalle proprie capacità mentali da trasformarsi in una sorta di divinità impazzita.

Interessante il racconto di Hawthorne ("La macchia"), dove un medico-alchimista, nel tentativo di rendere perfetta la propria moglie sulla cui guancia si trova una voglia a forma di mano, ne decreta la morte e quello di Arthur Conan Doyle ("Il grande esperimento di Keinplatz") che, soffuso di una generale ironia, porta due uomini a scambiarsi l'anima con conseguenze naturalmente comiche.

Degno di nota il racconto di A. Hyatt Verrill, "La piaga dei morti viventi". Verrill, che nella vita fu non solo scrittore ma anche esploratore, illustratore e zoologo, porta in scena un medico compassato, diametralmente opposto al West di Lovecraft, ossessionato dalla possibilità di allungare la vita dell'uomo. Scoprirà ben presto che il suo siero non solo blocca il processo di invecchiamento ma rende i soggetti trattati refrattari alla morte. Il problema sorge quando il nostro buon dottore decide di testare il siero su persone già cadavere. Anche in questo caso ci troviamo ad affrontare la minaccia zombie, ma l'orrore degli smembramenti - e delle ricomposizioni di queste entità in patchwork umani davvero ingegnosi - è compensato da un umorismo sottile che permea tutta la narrazione. Sebbene la soluzione finale per sbarazzarsi dei non morti viri decisamente troppo sul lato del cartoon fantascientifico, va dato atto a Verrill di aver dato vita a creature a loro modo uniche non soltanto perché non morte, ma perché assolutamente immortali e in grado di riprodursi, passando il gene dell'immortalità alla propria discendenza.

Con "La dimensione infernale" Tom Curry spinge il suo scienziato in una piega spazio temporale fuori dalle consuete leggi della fisica, in un altro mondo popolato da esseri spettrali e crudeli che può essere visto come il prodromo delle dimensioni infernali della narrativa a noi contemporanea. E se l'inizio hard-boiled (Curry viene dalla nera e si specializzerà successivamente nel western), e il finale da commedia romantica possono risultare piuttosto deboli se rapportati agli standard attuali, la parte riguardante il viaggio in quel mondo composto di sensazioni è un vero piacere per gli occhi.

A convincermi di meno sono stati i racconti di Carl Jacobi ("Il mondo in una scatola") e di Ed Earl Repp ("Sotto il polo Nord"). Nel primo, l'idea di un micromondo realizzato in una scatola di vuoto pneumatico, con relativo miniaturizzatore, è accattivante. Soprattutto se siete fan di Rick e Morty. Ma quello che avrebbe potuto essere un racconto interessante viene, a mio parere, sviluppato in maniera sciatta con un finale deludente e anticlimatico. Stessa cosa per il racconto di Repp. In questo caso a un incipit avvincente, con un polo nord magnetico impazzito e il mondo che perde – letteralmente – la bussola, segue una storia che mette in scena un villain degno del migliore James Bond le cui motivazioni sembrano però poco credibili e comunque deboli rispetto all'impegno posto in atto per realizzare il suo piano. Premio al miglior personaggio inutile va alla nipote dello scienziato, la cui presenza nella storia sembra essere giustificata solo da esigenze di spendibilità del racconto all'interno della rivista.

A conti fatti, Weird Science! Incubi tra fantascienza e pulp si è rivelata una lettura in generale gradevole e interessante, un piccolo tuffo nel pulp anni '30 che avrebbe beneficiato di una bio introduttiva dei vari autori, molti dei quali ormai semisconosciuti
Fosse per me, lo suggerirei a chi vuole approcciarsi al genere ma anche agli appassionati che vogliono aggiungere alla propria collezione un tassello di pura narrativa vintage, tenendo bene a mente che si tratta di opere di fantascienza scritte quando i computer erano al di là dall'essere persino immaginati.


Il suo interesse divenne una dipendenza infernale e perversa per le anormalità demoniache e repellenti: gongolava placidamente su mostruosità artificiali che farebbero stramazzare per la paura e il disgusto uomini in buona salute; divenne, dietro la sua aria da intellettuale smunto, un pignolo Baudelaire dell'esperimento fisico, un languido Eliogabalo dei sepolcri. [H. P. Lovecraft, Herbert West, rianimatore in op. cit., p. 98]

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