Abbracciare la follia. DEGENERAZIONE di Kathe KOJA (Bompiani)


Degenerazione Kathe Koja recensione

c'erano molti, molti schizzi, ed egli li scorse velocemente, superficialmente, prima le sfingi, poi gli uomini con le parti posteriori e i genitali di cane, donne con la testa di alligatore, bambini che creavano melodie soffiando nelle ossa delle loro madri e che avevano spine di pesci morti tra i capelli, e cose ancora più selvagge e ancor meno definibili, cose che sfidavano qualsiasi tipo di classificazione, cose che avrebbero potuto provenire da luoghi in cui, come unici elementi, regnavano il sangue e l'acido, in cui il fuoco era l'aria e l'aria un mezzo infido da modellare […]. Non ricordava alcuna di quelle creature, assolutamente nessuna di esse, con i loro occhietti obliqui e le loro ganasce sorridenti, nessuna. Ma erano tutte sue, indiscutibilmente [Degenerazione, Kathe Koja, trad. di A. Tissoni, Bompiani, 1995, p. 202] 
 

Facciamo un po' di archeologia letteraria. 
Nel 1992 Kathe Koja ha trentadue anni. Ha esordito l'anno prima con The Cipher, romanzo inspiegabilmente ancora inedito in Italia, che in un solo colpo le fa vincere il premio Bram Stoker per l'opera prima (ex aequo con Prodigal di Melanie Tem – della quale spero di potervi parlare a breve), il premio Locus (stessa categoria) e la porta alla finale del Philip K. Dick Award. 

Nel '92 dà alle stampe Bad Brains, che Bompiani porta qui da noi nel '95 con il titolo di Degenerazione. Unica donna tra “gli squali” della casa editrice milanese, Kathe Koja non ha molta fortuna in Italia. Mentre la maggior parte dei suoi colleghi riesce a ritagliarsi un posto sullo scaffale delle librerie nostrane, Kathe, l'“astro nascente del nuovo horror americano” secondo la quarta di copertina, viene velocemente ficcata nel cestone dei libri in offerta dell'edicola e dimenticata. A quella prima edizione di Degenerazione non segue altro. Almeno in Italia. 

La verità, però, è che la quarta di copertina ha ragione: quello di Kathe Koja è un nuovo modo di concepire l'horror. Più vicino al new weird che all'horror da tascabile economico. Forse troppo moderno per gli anni '90. Degenerazione non è il solito romanzo mainstream; non è la copia della copia della copia di King che cannibalizza Matheson. 

L'horror di Kathe Koja è una visione. Lo è nel tema e nello stile. Degenerazione è un romanzo cerebrale e viscerale. Che parla tanto alla carne quanto alla mente. È un lento sprofondare nella follia e nella degradazione umana e spirituale di un individuo senza alcuna speranza di salvezza. Che, sostanzialmente, quella salvezza neppure la vuole. È assistere impotenti all'autodistruzione di un uomo che trascina nella sua corsa verso il nulla chiunque tenti di fermarlo.

Austen, il protagonista della storia, è un artista fallito. Un cadavere ambulante, che si trascina da un capo all'altro della città più per dovere che per reale interesse. Lavora in un negozio di magliette perché quello è capitato, passa le giornate nella vuota contemplazione dei suoi quadri invenduti, dei suoi ritratti rifiutati dai committenti. Non ha amici, se non il gallerista Peter. Tutto gli è indifferente. Tutto è assolutamente privo di senso, di scopo. Si potrebbe attribuire questo stato al recente divorzio (recente, poi, mica tanto: sono comunque passati due anni). La verità è che il divorzio è una conseguenza del suo atteggiamento autodistruttivo. Emily, la sua ex moglie, se n'è andata per non finire schiacciata da quella stessa inerzia che Austen sembra aver abbracciato con tutto se stesso. 

Quella di Austen è una non-esistenza. La sua è una vita votata all'abulia. Il suo continuo rimpianto di un passato irraggiungibile non è altro che uno scudo per non dover pensare al presente. Per non dover agire. Perché la corrente continui a muoversi attorno a lui, senza scalfirlo.

Ma poi Austen cade. Un incidente, che gli spacca in due il cranio e gli rivela la presenza di qualcosa al di là della comprensione umana. Il duende. Un qualcosa di indefinibile, di un colore prossimo all'argento, che comincia a perseguitarlo. Un'entità liquida, sfuggente, soffocante che è al tempo stesso dentro e fuori di lui. Che minaccia di governarlo. Di possederlo. E, infine, di distruggerlo. 

Quello di Austen è un lento, lentissimo, sprofondare nella follia. Che si trasforma in estro creativo e autodistruttivo. Simula pallidi tentativi di reazione, pellegrinaggi da un ospedale all'altro, che terminano quando gli viene revocata la polizza sanitaria. Austen allora si affida a chi passa. L'alcol, uno sconosciuto raccattato in un bar, una spogliarellista. Si lascia sballottare da santoni e ciarlatani. Fino all'incontro con il dottor Quiete, moderna rielaborazione di un Faust che non sa di aver appena aperto la porta del suo studio all'Inferno e che, anzi, farà di tutto per accelerare la rovina del suo paziente. E la propria. 

Degenerazione non è un romanzo semplice. Non è un'opera lineare. Una di quelle storie da gabinetto dalle frasi pulite quasi a livello chirurgico. É, al contrario, un romanzo pieno di gorghi, di sangue, di fluidi. Di vuoti di memoria. Di spazi vuoti. Di violenza. Una violenza feroce, bestiale e al di là di ogni controllo. Degenerazione è un romanzo destabilizzante, da leggere con calma, da metabolizzare parola per parola. Frase dopo frase. Un romanzo che racconta con forza il dolore, la sottile linea di confine che sta tra impeto artistico e totale pazzia, la corrosione progressiva di una mente già pesantemente compromessa. 
La mente di chi non desidera altro che farsi possedere e abbracciare il non essere. 
Per abbandonarsi ciecamente al nulla.

Note.
Di Kathe Koja e del suo romanzo ne ha parlato anche Lucia Patrizi sul suo blog: ilgiornodeglizombi

2 commenti

  1. Ho letto questo romanzo alla sua uscita (all'epoca non avevo una lira e mettevo da parte i soldi come una formichina per potermi permettere un libro ogni tanto, ma sono stati soldi ben spesi) e devo dire che mi ha impressionata, e perfino ossessionata per un po' tempo. In effetti mi sono sempre chiesta come mai non sono mai incappata in un'altra opera della Koja e oggi mi hai dato la risposta. Non so perché, nella mia mente l'ho sempre associato a "Terra di morte" di Jeter, un romanzo molto diverso con cui condivide però (imho) un'atmosfera molto tesa e malsana.

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    1. Ciao Simona, sai che il romanzo di Jeter non lo conoscevo? Con un titolo del genere mi ha già presa *_* Questo di Koja l'ho cercato per anni, adesso devo dire si trova più facilmente tra l'usato, ma è un vero peccato che nessuno abbia voluto continuare a investire su di lei. Io spero ancora di riuscire a leggere The Cipher in italiano, altrimenti me lo gusterò in inglese, e pazienza.

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