Largo! Largo! - I topi di Calhoun e i sopravvissuti di Harry Harrison [Una recensione con molti spoiler]

 

"Un tempo avevamo il mondo intero nelle nostre mani, ma ce lo siamo mangiato, bruciato. Ora è finito". [Largo! Largo! Harry Harrison, Editrice Nord, 1983, p. 199]




Se avete mai sfogliato un fumetto di Mafalda, magari vi sarà capitata sotto gli occhi la striscia in cui Mafalda scopre con orrore che, entro quarant'anni dal momento in cui legge, sulla Terra saremmo stati sette miliardi. Mafalda, com'è nella sua natura, si preoccupa. Ci staremmo tutti? La Terra reggerà tutto quel peso?



Oggi, che siamo arrivati a otto-e-passa miliardi di anime (c'è un sito divertente – worldometers.info - che vi fa la conta al secondo, tra nuovi nati e nuovi morti), la cosa non pare preoccupare più nessuno a parte, forse, i malthusiani. E gli ambientalisti.



Ma negli anni Sessanta il problema rappresenta un interessante argomento di dibattito e speculazione non solo per Quino, ma anche per studiosi come l'etologo John Calhoun.



Per il suo esperimento, che passerà alla storia come Universo 25, Calhoun parte da una premessa che è l'opposto di quanto teorizzato da Malthus: che effetti ha la sovrappopolazione in un mondo finito ma dalle risorse illimitate, dove malattia e carestia sono state completamente debellate (in pratica, una doratissima società dei consumi, un Paradiso in Terra nel quale le esigenze dell'individuo sono soddisfatte senza gli affanni che poteva patire un povero Cristo nato all'alba dell'Ottocento)?


fonte Wikipedia

Universo 25 è una fossa di 270 cm di larghezza per 140 cm di altezza, dotata di nidi confortevoli, tramogge per il cibo sempre piene e distributori d'acqua potabile aperti h24. In questo Universo idealmente perfetto (non ci sono predatori, i topi malati vengono prontamente rimossi, cibo ce n'è in abbondanza ed è sempre primavera) Calhoun rilascia, siamo nel luglio del 1968, otto topi albini (e voglio immaginare che fosse un uomo dotato di sufficiente spirito da benedirli con un biblico "andate e moltiplicatevi").



Inizialmente i topi fanno quello per cui Madre Natura li ha resi eccellenti: si abboffano di cibo e danno alla luce centinaia di topoletti sanissimi e robusti che, a loro volta, si accoppiano e procreano. 



In circa 600 giorni la colonia arriva a contare 2200 individui. Ed è propri a quel punto, nonostante Universo 25 non sia neppure al massimo della sua capienza, che la colonia smette di crescere e che i topi danno il via a quella che Calhoun ribattezzerà "fogna del comportamento": una serie di comportamenti asociali e aberranti che trascinerà i topi di Universo 25 all'estinzione.



Nei topescamente naturali scontri tra maschi per il controllo dei nidi e delle femmine, i dominanti scacciano quelli più deboli, emarginandoli. Fuori da Universo 25, i topi sconfitti si sarebbero dileguati per tentare di costruire una propria colonia altrove, ma Universo 25 è un mondo chiuso e i sottomessi, i reietti, non possono fare altro che ammassarsi sul fondo della fossa. La frustrazione li porta da principio ad aggredirsi tra di loro e, in un secondo momento, a fare razzia nei nidi altrui. I dominanti per un po' resistono, poi cedono e rinunciano agli scontri abbandonando le femmine al proprio destino.



Prive di protezione, costrette a difendere da sole se stesse e la prole, le femmine finiscono per uccidere i cuccioli o li scacciano dal nido prima della fine dello svezzamento. I cuccioli che sopravvivono e raggiungono un'età adulta sono però totalmente ineducati e incapaci di socialità. Le giovani femmine di queste nuove nidiate allontanano i maschi e fanno blocco, rifiutando di accoppiarsi, mentre i maschi (che Calhoun ribattezza "quelli belli"), come tanti piccoli Nerone durante l'incendio di Roma, si ritirano in nidi appartati dove si preoccupano solo di loro stessi e, gozzovigliando, aspettano la fine di tutto.



In meno di due anni il Paradiso dei Topi si è trasformato in un Inferno alla Mad Max finché, nella primavera del '73, Universo 25 muore definitivamente con la morte dell'ultimo discendente degli otto topini originari.



Tra le tante interpretazioni che, nel corso degli anni, sono state date all'esperimento, c'è quella secondo la quale l'abbondanza di risorse, lungi dall'essere un bene, rappresenta essa stessa una fonte di stress e che, non dovendo più lottare per sopravvivere, la società finisce per rivoltarsi contro se stessa attraverso una serie di comportamenti violenti che altro non sono se non "autofagia sociale".



Troppo benessere aveva fatto impazzire i topi non come singoli, ma come società. Erano tanti, erano ben nutriti, erano ben curati.

E non avevano uno scopo.


fonte Wikipedia


Largo! Largo! [Make room! Make room! il titolo originale] romanzo di fantascienza ecologista che pure lui si interroga sul futuro di un mondo sovrappopolato, anticipa l'esperimento di Calhoun di un paio d'anni.



Viene pubblicato nel '66 in patria e approda in Italia nel '72 per il tramite di Editrice Nord, che ne cura anche la seconda e ultima ristampa nell'ormai lontanissimo 1983.



Nella sua premessa al romanzo, Harry Harrison scrive: 


"Alla fine di questo secolo la popolazione del nostro Paese, se mantiene lo stesso ritmo di aumento numerico, avrà bisogno di consumare oltre il 100% delle risorse totali del nostro Pianeta. Il che è matematicamente impossibile, senza contare che vi saranno allora sette miliardi di persone sul globo, ed è probabile che anch'esse vogliano avere un po' di materie prime. Nel qual caso, come sarà il mondo?"


Si tratta, a ben vedere, di una domanda del tutto retorica: da un lato Harrison è sinceramente preoccupato, dall'altro pare non avere una gran fiducia nella possibilità di un cambiamento, di una inversione di rotta nei consumi o negli stili degli allora due blocchi continentali, e così tutto il romanzo finisce per assomigliare a un lungo e funesto vaticinio sul mondo che verrà. Un mondo lugubre, sporco e soffocante, nel quale non c'è posto per la pietà, per la giustizia, per la speranza.



Harrison conosce troppo bene la macchina umana, forse, per farsi illusioni di sorta e perfino la fede in un'Apocalisse che spazzi via il mondo attuale per ricrearne uno migliore (non a caso il romanzo è ambientato nel 1999, quello che per molti fu davvero l'anno della possibile fine-del-mondo, col suo millennium bug e i suoi millenaristi redivivi) si consuma all'esaurirsi degli ultimi fuochi d'artificio.


"- Non c'è mondo, è il millennio, e tutti saremo giudicati. I mille anni sono compiuti e Cristo ritorna glorioso a regnare sulla terra.

- Forse avete sbagliato secolo, - disse Andy tenendo l'uomo per il gomito e guidandolo fuori della folla. - È passata la mezzanotte, il nuovo secolo è già cominciato, nulla è cambiato.

- Nulla è cambiato? - gridò Peter. - Ma questa deve essere la Fine del Mondo, il Giudizio Universale! Deve esserlo! [...] Come può, un mondo come questo, andare avanti per un altro migliaio di anni, così? Così?" [p. 232]


La Terra del 1999 immaginata da Harrison è un'immensa bidonville nella quale gli uomini languiscono e si arrabattano per sopravvivere. La sovrappopolazione ha ormai raggiunto livelli incontenibili, flora e fauna cono irrimediabilmente compromesse mentre di risorse non ce n'è più e le poche riserve sono centellinate dal potere. I nuovi condomini sono chilometri su chilometri di parcheggi dismessi, nei quali l'umanità si adatta a dormire nelle carcasse di auto da tempo divenute obsoleti artefatti di un passato che sembra lontanissimo e non lo è.


"Tutto è stato inghiottito, distrutto, consumato, esaurito. Che cos'è rimasto, qual è l'unica nostra risorsa naturale? I parcheggi in disuso, ecco che cosa è rimasto. Tutto il resto è stato consumato, e cosa abbiamo da mostrare in cambio? Un paio di miliardi di vecchie automobili arrugginite." [p. 199]

L'acqua potabile è razionata e non la si usa per cose frivole come lavarsi. Il cibo è ridotto a una scelta di gallette alle alghe, brodo di plancton e margarina ricavata dall'olio motore. Vivere in un appartamento di due stanze è roba di lusso che può permettersi ormai solo chi ha una famiglia regolarmente registrata. D'altra parte, il concetto stesso di povertà è stato abolito visto che tutti, tranne l'immarcescibile congrega di mafiosi, politici e plutocrati di varia razza, sono alla fame. Anche il problema del clima è roba del passato, ora che non c'è più modo di risolvere la crisi climatica globale: a estati roventi si alternano inverni proto-glaciali e l'unica è farci il callo o crepare.


"Spalmò la margarina con parsimonia e al primo morso arricciò il naso: - Credo che questa margarina sia rancida.

- Come fai ad accorgerti? - brontolò Sol, addentando anche lui uno di quei crackers. - In primo luogo, tutto ciò che è fabbricato con olio di motori e grasso di balena sa di rancido.

- Tu ragioni come un naturista, - disse Andy, mandando giù il suo cracker con un sorso di acqua fredda. - I grassi derivati dai petrolchimici non hanno alcun sapore e sai benissimo che di balene non ce ne sono più al mondo e quindi non c'è più olio di balena da usare. Questo non è altro che un buon olio di alga clorella.

- Balene, plancton, olio di aringa, è tutt'uno. Sa di pesce. Io mi mangio il cracker liscio, per essere sicuro che non mi spuntino le pinne." [p.7]


Siamo nel 1999 e in questa New York infernale, dove l'umanità vive spalla a spalla non per socialità ma perché lo spazio è quello che è, Harrison piazza Andy, un poliziotto male in arnese, un trentenne che ha il fisico rachitico di un Winston Smith appena rilasciato dal MinVer, con l'incarico di trovare, e in fretta, l'assassino di un mafioso.



Il mafioso non piaceva a nessuno, neppure a quelli che fanno pressione sul capo della polizia perché Andy si sbrighi a ficcare un paio di manette ai polsi di chi l'ha accoppato, e tutto è frutto di un ridicolo scambio di persona.



Gli ex soci dell'ucciso, eminenze grigie di cui non si sa nulla, sono convinti che a farlo fuori sia stato un boss rivale, così il killer, un ragazzetto che si era intrufolato nell'appartamento per fregare l'argenteria e s'è trovato assassino per legittima difesa, diventa di punto in bianco l'uomo più ricercato d'America dai tempi di Zodiac.



Indagando, Andy finisce per innamorarsi della compagna del morto, un'ex reginetta di bellezza che ha imparato a capitalizzare l'unico bene che possiede - la bellezza, appunto - per sopravvivere. Sinceramente innamorata di Andy, la ragazza accetta di seguirlo nel tugurio che condivide con Sol, un residuo del mondo che è stato, e per un po' pare che le cose possano funzionare. Nonostante gli stenti, il caldo impossibile, il gelo che spacca le mani, la scarsità d'acqua e la penuria di cibo.



Ma l'amore, l'amore da solo, non basta; non basta a noi, che tutto sommato ce la passiamo meglio dei personaggi di Harrison, figuriamoci quanto possa bastare a chi vive in un mondo nel quale il concetto stesso di speranza è diventato incomprensibile, perché non c'è più nulla in cui sperare. Nessun luogo dove andare.



La macchina è andata avanti, senza freni e con l'acceleratore bloccato, verso il precipizio. Ormai siamo oltre, in un lungo fermo immagine del salto e preghiamo che nessuno schiacci play, perché sappiamo tutti come andrà a finire.

La Terra di Harrison è il nostro Universo 25.



L'indagine di Andy, la sua relazione con Shirl, la lunga fuga dell'assassino non sono che un pretesto per permetterci quell'immersione profonda nell'immondezzaio che è la Terra del futuro, fulcro del vero interesse di Harrison. Il suo personale "peniteziagite!" contro il potenziale sfascio della Terra e tracollo dell'umanità (un'originale quanto afona voce che grida nel deserto). 



New York è una favela, una suburra di corpi che si squagliano al sole sui marciapiedi, di poveracci con le costole che spuntano dai brandelli di camicia che sbarcano il lunario trascinandosi dietro, su biciclette scassate, degli scassati risciò. Di puzza d'alghe e condomini signorili convertiti in fortezze dove la bella società, l'unica che abbia ancora un qualche diritto allo spreco, si isola dal mondo in rovina. Un luogo in cui una scatoletta di tonno vale un capitale e possedere un secchio d'acqua potabile fa di te la vittima ideale per una rapina a mano armataVoi direte: una città di poveri, ma si può parlare di poveri se tutti, in tutto il globo, vivono allo stesso modo, nelle stesse condizioni? È l'umanità stessa che si è impoverita, come una colonia di topi reclusi nel loro universo dorato. 



In quest'ottica, tutti e tre i protagonisti del romanzo sono qualcosa di più di un personaggio: sono un'allegoria.


Andy è il potere politico che dice: sì, le cose vanno male, ma non così male. C'è tempo per preoccuparsi, tempo per agire. Stiamo calmi, signori, non affolliamo le uscite di emergenza: è vero che le sedie hanno cominciato a bruciare, ma la stanza non è ancora completamente a fuoco.


Shirl è l'angoscia del futuro, il singolo che qualcosa vuole fare, ma non sa cosa e, senza alcuna guida, finisce per pensare a salvare almeno se stesso.


Sol è il passato, è Harrison ma siamo anche noi. Sol è rappresentanza di chi avrebbe potuto/dovuto agire per impedire il disastro e invece non ha fatto nulla, per quieto vivere, perché è difficile rinunciare al superfluo quando la minaccia appare tanto lontana, perché correre in discesa è più agevole che avventurarsi lungo una mulattiera in salita. E allora non è neppure un caso che Sol muoia proprio quando, in un impeto di orgoglio e rabbia, decide finalmente di scollarsi di dosso l'apatia e il cinismo e di muoversi per tentare di arginare una catastrofe che non si può più contenere.



Sol non può fare a meno di morire anche perché Largo! Largo! è uno di quei romanzi di narrativa d'anticipazione che non ha nessun interesse a dire al lettore: "tranquillo, andrà tutto bene". Lo vedi da solo, lettore, che non c'è un cazzo che vada bene, come puoi pensare di risolvere la situazione? Quello che si poteva fare, quando c'era ancora del tempo e un futuro in cui sperare, non è stato fatto; quello che si potrebbe fare non si farà. La discesa s'è fatta troppo ripida. Noi siamo i morti.


Quando Sol muore, essendo quello di Largo! Largo! un mondo afflitto dalla persistente penuria di alloggi, la sua camera viene assegnata a una famiglia di disadattati che preferiscono far cagare i figli sul pavimento piuttosto che condurli ai gabinetti comuni. E se non è una metafora questa, non so proprio cosa possa esserlo.


Così come metafora è il rapporto che viene a crearsi tra Shirl e Andy subito dopo l'arrivo dei nuovi coinquilini. Shirl cerca in tutti i modi di far capire a Andy che è necessario intervenire; lui, il potere, potrebbe almeno costringerli a rispettare gli spazi comuni, a comportarsi civilmente perché l'appartamento si conservi un luogo sano e sicuro in cui vivere.


Lui non riesce a capirla e le chiede di pazientare. Di sopportare, perché c'è chi sta peggio di loro. Che non è poi così male e con un po' di buona volontà ci si può abituare a tutto: alla puzza, alle urla, ai liquami che inzaccherano gli angoli della cucina. È più comodo, abituarsi. Costa meno fatica dell'altra opzione. È meno rischioso.


Come Sol, Andy è un cirripede dello status quo. E Shirl non può fare altro che lasciarlo. Lei ha ancora delle possibilità, finché la bellezza l'assiste, mentre lui è solo l'ennesimo povero stronzo che affolla il pianeta e mette assieme un passo dopo l'altro in attesa di una pensione che non arriverà mai, di un futuro che sarà sicuramente peggiore di quel passato che si è lasciato alle spalle un minuto prima perché quello è l'unico mondo che hanno.

La loro invalicabile fossa dei ratti.


"era deciso ad abbandonare quella giungla arrugginita e crollante, ma non riusciva a trovare la via dell'uscita. Un sole torrido gli batteva sul capo e rimbalzava intorno a lui, riflesso dal selciato screpolato. Percorse l'orlo di un immenso bacino di carenaggio vuoto, asciutto e dimenticato, una specie di canion silenzioso, colmo di rifiuti, e si sentì come un misero insetto che striscia sull'orlo del mondo". [p. 137]





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