Il vampirismo come deriva genetica. Olalla di Robert Louis Stevenson (1885)


Foto di Yatheesh Gowda da Pixabay


Sono trascorsi due secoli da quando Il vampiro di Polidori ha visto la luce. Da allora, i vampiri non ci hanno mai lasciati. Freschi come un cadavere non ancora entrato in rigor mortis, continuano a essere tra le creature soprannaturali più citate – e sfruttate – in letteratura. Con #asanguefreddo li seguiremo in un viaggio che, dai Balcani, ci condurrà fino in Islanda, per scoprire se e come sono cambiati da quel lontano 1819.



Sono le mani dei morti che ho nel petto; esse mi muovono, mi trascinano, mi governano; sono una marionetta alla loro mercé; niente altro che la reincarnazione di fattezze e attributi a lungo serbati dal male nella quiete della tomba. È me che amate, amico mio? O la stirpe che mi ha generata? [Olalla, Robert Louis Stevenson, trad. di Jessica Pelide, Vento dell'Est, 2016] 



Per prima venne Filinnio, il cui racconto tra eros e thanatos, mutilo della prima parte, ci viene offerto da Flegonte di Tralle nel suo Libro delle Meraviglie. Quella di Filinnio non è propriamente una storia di vampiri, sebbene siano presenti al suo interno alcuni dei topoi classici della leggenda del vampiro. 

Filinnio è piuttosto l'antesignana della sposa cadavere; una giovane donna, morta poco dopo le nozze, che torna dalla tomba per legarsi a un uomo nella speranza che il suo amore possa riportarla in vita. 

Fu Goethe, con La sposa di Corinto (1797), a trasformare Filinnio in una vampira. Nella ballata del poeta tedesco, Filinnio si manifesta come uno spirito furente, affamata tanto d'amore quanto di sangue, come di sangue, del resto, erano affamati gli spettri dell'Ade. Scoperta dalla madre tra le braccia del fidanzato di sua sorella, Filinnio le rinfaccia di averle strappato lo sposo e la vita, sacrificandola a un Dio che non riconosce*. Prima di morire nuovamente, tuttavia, chiede che le venga concessa la grazia del rogo, che per Filinnio rappresenta anche l'ultima ribellione contro il Dio dei cristiani e la riconferma della propria adesione al paganesimo. La ballata, che costò a Goethe una furibonda shitstorm da parte di chi lo accusava di aver scritto un'opera anti-cattolica, è anche uno dei primi esempi di narrativa vampirica (il primissimo in assoluto, per quel che ne so, è Der Vampire, poesia di Heinrich August Ossenfelder pubblicata su una rivista scientifica nel 1748). 


Carmilla Sheridan Le Fanu




Meno di un secolo dopo Goethe, fu la volta di Le Fanu e di Carmilla (1872), archetipo di tutte le vampire che verranno. Creatura sfuggente, indolente come una pantera (e non c'è forse un po' di Carmilla nella Irena Dubrovna di Cat People?), così appassionata da togliere il fiato, Carmilla Karnstein è la regina dei vampiri che fanno della seduzione uno strumento di caccia. In lei, e nonostante gli ovvi vincoli morali imposti dall'epoca, Le Fanu riesce a realizzare l'amalgama perfetto tra sangue e sesso. La morte, in Carmilla, è un fatto erotico. E non c'è differenza tra il languore dell'orgasmo e quello dell'agonia: 


"era come se calde labbra mi baciassero, a lungo, sempre più a lungo, e con maggior passione man mano che raggiungevano la gola, dove si concentravano le carezze. Il cuore accelerava, il respiro si accorciava e si contraeva; sopraggiungeva allora un singulto, che culminava in un senso di soffocamento, e si trasformava poi in un'orribile convulsione, durante la quale i sensi mi abbandonavano e perdevo conoscenza". [Carmilla, Sherian Le Fanu, trad. di Stella Sacchini, Feltrinelli, 2016, pp. 147/148] 



Debitrice di Goethe, come della Christabel di Coleridge e di Erzsébet Bathory (il cui ritratto è forse ravvisabile nella Contessa che accompagna Carmilla, mentre la vecchia che ghigna nella carrozza potrebbe essere la controparte letteraria della “strega” Dorka), Carmilla è però un personaggio a sé stante, che non fa del prestito un calco ma piuttosto rielabora e raffina il materiale originario, miscuglio perfetto di orrore grandguignolesco, quando il termine non era ancora stato inventato, e perturbante. 

Olalla Robert Louis Stevenson



All'opposto di Carmilla troviamo la Olalla di Stevenson. Tanto Carmilla è ardente e fiera della propria natura, quanto Olalla è scialba e spaventata dal proprio retaggio. 

Pubblicato per la prima volta nel 1885 sulle pagine di The Court and Society Review, Olalla rientra in quel filone di racconti dell'orrore dagli intenti moraleggianti che, in Inghilterra, vengono tradizionalmente letti durante la vigilia di Natale. 

La storia, ambientata in Spagna, racconta di un uomo, un soldato ferito, che accetta di trascorrere alcune settimane della propria convalescenza nella residencia di una famiglia di nobili spagnoli da tempo decaduti. Completamente isolato dal resto del mondo, fatta eccezione per i suoi strani anfitrioni, e immerso in un'atmosfera in bilico tra il sogno e l'incubo, il soldato si imbatterà in Olalla, ragazza misteriosa, che sembra del tutto estranea al suo ambiente familiare, e verso la quale si sentirà irrimediabilmente attratto. 

Come Carmilla, anche Olalla ha il potere di sedurre e affascinare con una sola occhiata. Ma a differenza di Carmilla, Olalla non se ne serve. È una vampira remissiva, penitente, che rinuncia all'amore per non infettare il mondo con i propri discendenti. È il senso di colpa a gravare su Olalla, non la brama di sangue. È il disprezzo di sé stessa, non l'orgoglio, ad animarla. 

Al contrario di Carmilla, Olalla è un vampiro fiaccato e mortificato dal suo stesso autore, che sembra gestire con una certa goffaggine il potenziale erotico del suo personaggio, perennemente in bilico su un vorrei ma non posso davvero poco soddisfacente. 

La stessa madre di Olalla, sulla cui natura da vampira Stevenson non lascia adito ad alcun dubbio, vaga per tutto il racconto come una sonnambula, come una grassa e pigra lumaca che striscia da un lato all'altro della corte alla ricerca di un po' di calore. Il languore seducente di Carmilla si trasforma qui nella molle stolidità della fumatrice d'oppio, della narcotizzata. 

Così, mentre Olalla e sua madre si muovono per la maggior parte del racconto come creature eteree e fiaccate, prive di un vero scopo, il solo personaggio d'azione e con un po' di spessore risulta essere Felipe, il fratello idiota di Olalla. Più che a un vampiro, Felipe assomiglia a una sottospecie di lupo mannaro sia nei modi e negli imprevedibili scatti di violenza che nell'aspetto ferino, finendo per ridursi a un  pallido alter ego di quello che sarà il futuro Mister Hyde.

Anche in Olalla, come già accadeva in Il sangue del vampiro di Florence Marryat,  il tema principale è quello della degenerazione della stirpe; anche qui, il sangue è importante non come alimento ma come elemento di corruzione. Olalla e Felipe sono dei “bastardi” perché nati fuori dal matrimonio, e il fatto di essere stati concepiti fuori dal vincolo matrimoniale li qualifica automaticamente come “impuri” e “non esseri umani”. Più volte il protagonista riflette sul progressivo impoverimento genetico della famiglia che lo ospita, arrivando a sospettare – più che un sospetto, in realtà, si tratta di un'intima certezza – la sussistenza di relazioni endogamiche.

Il vampirismo e la licantropia, mai esplicitamente dichiarati ma presenti in maniera surrettizia per tutto il racconto, sono il risultato di un sangue corrotto non già da pratiche esoteriche, ma da comportamenti socialmente aberrati. 

C'è un pregiudizio morale di fondo ad animare Olalla, pregiudizio che impedisce a Stevenson di sfruttare appieno le potenzialità distruttive della protagonista e di sua madre. 

Olalla è una Carmilla disossata, snervata, ridotta a ricettacolo di sensi di colpa. È l'ombra di Camilla. Si ha quasi l'impressione che Stevenson non avesse desiderio di confrontarsi con un personaggio femminile forte, perfino più forte del suo protagonista. Privo di un degno antagonista, però, il racconto non mette in scena nessun vero conflitto, la storia risulta debole, sfilacciata. Abulica, come la señora

In mancanza di una buona caratterizzazione dei personaggi, sono gli elementi di contorno, la scenografia, le sontuose descrizioni del paesaggio, degli ambienti, dei rumori e dell'azione degli agenti atmosferici sulla psiche personaggi a non fare affondare completamente un racconto che dà l'impressione, dall'inizio alla fine, di essere stato scritto con le manette ai polsi.

Nessun commento

I commenti sono ciò di cui un blog si ciba.

Perché il tuo commento sia pubblicato ricorda di mantenere un tono civile e di rimanere in topic rispetto all'argomento del post, e mi raccomando: non inserire dati sensibili come email o altro.

Prima di essere pubblicati tutti i commenti sono sottoposti a moderazione.

Grazie