Fin dal primo giorno in cui ho messo piede sul palco del Grand Guignol sono morta di mille morti violente, in ogni modo possibile. Non c'è una parte del mio corpo che non sia stata esposta agli spasmi della tortura e abbia tremato in uno strano parossismo. Mi hanno sparato, sono stata bruciata, avvelenata, denudata e fustigata, morsa dai serpenti, smembrata sul bancone di un macellaio, strangolata, dissanguata a morte – tutto in base al capriccio degli sceneggiatori. [Paula Maxa, I am the maddest woman in the world in Theatre of Fear and Horror, di Mel Gordon, Feral House, 2016, p. 153]
C'era una volta la Parigi della belle époque.
E in questa Parigi sordida e viziosa, impregnata dell'odore del laudano e di quello dell'assenzio, c'era un teatro ricavato da una cappella sconsacrata dove, a frotte, si riversavano mesdames e messieurs - quegli stessi che si accalcavano ai freak show o che passavano i pomeriggi a girovagare per la morgue di Parigi - desiderosi di trascorrere qualche ora in gioiosa compagnia mentre sul palco attori e attrici venivano mutilati e morivano tra atroci sofferenze.
È il 13 aprile del 1897 quando Oscar Méténier, autore di opere teatrali dall'acceso realismo che hanno per protagonisti i reietti della società, procede all'inaugurazione del Grand Guignol.
Il Teatro prende il posto di una vecchia cappella famosa per le prediche infervorate di un vecchio padre domenicano, mantenendone gli interni originali e l'atmosfera tra il sacro e l'opprimente, con i cherubini di legno alle pareti e i lunghi candelabri carichi di fumo.
Il nome lo riceve invece da un famoso burattino dell'epoca, Guignol. Che diventa “Grand Guignol” per indicare sia la tipologia di pubblico al quale il teatro è destinato che i tipi di spettacolo che vi verranno rappresentati. Se nel teatro delle marionette Guignol pesta bonariamente Gnafron con un bastone, nel Grand Guignol vere marionette umane si picchiano fino a far sprizzare il sangue dalle teste tumefatte.
Siamo ancora al di là dagli spettacoli che daranno vita al termine “grandguignolesco”, ma Méténier ha già ben chiaro quali opere desidera mettere in scena nel suo nuovo teatro. Si tratta di “porzioni di vita”, di quella vita che i parigini rispettabili evitano di vedere girandone alla larga. La vita dei poveracci, dei messi male, di quelli che vivono di espedienti. È lo squallore, più che l'orrore, a farla da padrone in questa prima stagione inaugurale.
Quattro anni più tardi, con il Grand Guignol diventato già un punto di riferimento per le serate parigine, di punto in bianco Méténier cede il teatro a Max Maurey, il quale si rende subito conto che gli spettacoli più graditi al pubblico sono quelli dove i tabù vengono infranti. Maurey decide così di calcare la mano e di trasformare il Guignol in un teatro degli eccessi, con spettacoli che facciano sensazione e siano in grado di richiamare una folla sempre più numerosa.
Al realismo spinto e degradante di Méténier subentra quindi l'orrore di Maury, che peraltro continua a usare la formula collaudata dal suo predecessore di alternare spettacoli grotteschi a sketch più leggeri. Un meccanismo che, se da un lato permette di stemperare la tensione tra il pubblico, dall'altro accresce l'apprensione per ciò che accadrà sul palco una volta esaurito il siparietto comico.
È un gioco sadico, quello tra l'impresario e gli spettatori del Guignol, ai quali in questa seconda stagione di follie non viene risparmiato nessun orrore: dalle perversioni alle parafilie, dagli stupri agli squartamenti. Il Guignol si trasforma in un vaudeville di morte e sadismo. Tanto che sceneggiatori come Andre Lorde, il cui obiettivo era quello di scrivere un'opera così raccapricciante che nessuno sarebbe stato in grado di resistere in sala fino alla fine della rappresentazione, misurano il successo delle proprie sceneggiature dal numero di svenimenti registrati nel corso dello spettacolo.
Ed è proprio come spettatrice che Paula Maxa fa il suo primo ingresso nel Grand Guignol. Lo spettacolo in scena è tratto da il “Club dei suicidi” di Stevenson, e Paula ne resta così affascinata da decidere che da quel momento in poi farà di tutto per poter recitare su quel palcoscenico.
“Avevo la gola secca e il cuore che mi batteva per l'eccitazione la prima volta che entrai in quel teatro. Con me c'era mio marito. Stranamente, a differenza degli altri spettatori non rimasi né turbata né spaventata dagli orrori messi in scena. Le esibizioni di crudeltà e perversione mi resero alquanto felice. Fu la prima volta in cui avvertii chiaramente il mio legame con la tortura fisica.” [Paula Maxa, op. cit., p. 153]
Paula Maxa, nome d'arte di Marie-Thérèse Beau, nasce a Parigi nel quartiere di Montmartre nel dicembre del 1898. La sua è la classica famiglia medio-borghese e Marie-Thérèse cresce in un ambiente protetto, che ignora o finge di ignorare le passeggiatrici, i borseggiatori e le ragazzine che vendono cartoline pornografiche agli stranieri appena voltato l'angolo di casa. La futura “Sacerdotessa del peccato e dell'orrore” impara le buone maniere e sogna di diventare una famosa pianista quando, ad appena quindici anni, viene aggredita dal suo fidanzato che prima tenta di violentarla e poi l'accoltella. Quando si risveglia in ospedale, scopre che il ragazzo si è suicidato.
Questa esperienza mi segnò per sempre. Tortura, violenza e dolore fisico divennero un sinistro destino dal quale non avrei mai più potuto fuggire. […] Divenni una calamita per ogni sorta di maniaco e pazzoide. Anche durante la mia carriera di attrice avvertii questa maledizione. Fin dall'inizio mi vennero assegnati ruoli da vittima. Non stupisce che la maggior parte dei miei ammiratori avessero a che fare con omicidio, sadismo e diaboliche perversioni. [Paula Maxa, op. cit., p. 151]
L'anno seguente si sposa, ma ben presto la vita coniugale le viene a noia. Nel 1917, quando da un paio d'anni la gestione del teatro è passata nelle mani di Camille Choisy arricchendosi delle nuove tecnologie come i gas nervini e l'elettricità usata per scopi sadici, Paula Maxa riesce finalmente a ottenere una parte nel Grand Guignol.
Si ritrova a interpretare la moglie del diabolico chirurgo in “Il Laboratorio delle Allucinazioni”. Sebbene la sua sia una parte minore, il successo è pressoché immediato. I giornali dedicano lodi sperticate alla “Principessa sanguinaria” mentre il pubblico, estasiato dell'estremo trasporto della nuova e sconosciuta attrice, la reclama per i successivi spettacoli.
Nel corso della sua carriera, la “donna più assassinata del mondo” verrà uccisa 10000 volte in più di 60 modi diversi, tra i quali: divorata da un puma, fatta a pezzi e poi riassemblata, schiacciata da un rullo compressore, bruciata viva, squartata da un commesso viaggiatore con il feticismo per gli intestini.
Combinando la sua passione con l'iperrealismo di Choissy, per sedici anni, fino al 1933, Paula Maxa sarà la regina indiscussa del Grand Guignol. Un'attrice capace di catturare con lo sguardo lo spettatore e di trascinarlo assieme a lei nei più profondi recessi della follia.
"A poco a poco, questi ruoli mezzo folli finirono per intossicarmi come una potente droga. […] La mia vita passata mi sembrò allora solo un'illusione, una maschera, un errore... Le mie parti divennero la mia vita reale. Divenni un'autentica creatura dell'orrore, una donna che degenerati e maniaci sognavano di violare e torturare, e che tutte le persone sane di mente evitavano come oscena e terrificante". [Paula Maxa, op. cit. p. 153]
Paula si lega a personaggi poco raccomandabili, uomini spesso instabili che più volte attentano alla sua vita anche fuori dalle scene. Lo stress a cui si sottopone è tale che cede all'oppio, nel tentativo di mitigare la forte tensione emotiva che sente crescere dentro di sé e sulla quale neppure il teatro sembra essere più in grado di agire come valvola di sfogo.
"Abitavo solo a pochi isolati dal Grand Guignol e di solito tornavo a casa a piedi dopo gli spettacoli. […] Ero terrorizzata dai passanti e sospettavo di tutto e di tutti. Ero presa dagli incubi, e avevo visioni di tutti i ruoli che avevo interpretato negli ultimi anni. Mi ritrovavo di nuovo nel folle manicomio dove mi avevano inoculato il virus della rabbia; rivedevo la bara nella quale ero stata sepolta viva, la sinistra cornice della ghigliottina lucida di sangue a causa della quale avevo perso la testa, il laboratorio nel quale maniaci sessualmente deviati mi avevano torturata scientificamente... rivivevo da capo ogni sorta di orrore mentre camminavo nella stradina scarsamente illuminata e disseminata di ombre". [Paula Maxa, op. cit. p. 155]
Nel 1933 Paula viene licenziata da Jack Jouvin, che è subentrato a Charles Zibell, socio di Choissy, ma non rinuncia al teatro. Ne fonda uno proprio, a Montmartre. Ma il “Teatro del Vizio e della Virtù” non resiste che per poche stagioni. Del resto non va meglio al Grand Guignol, che comincia a risentire del nuovo antagonista per eccellenza: il cinema.
Nel 1937, sotto la nuova direzione di Eva Berkson, Paula Maxa torna brevemente a calcare le scene del teatro che l'aveva proclamata "Sacerdotessa del Terrore" ma la rentrée si rivela sfortunata: a causa di un urlo prolungato, Paula si ritrova le corde vocali danneggiate e la voce irrimediabilmente compromessa.
Nel frattempo, ci pensano la guerra e l'occupazione nazista a dare il colpo di grazia al Grand Guignol. I nazisti non disdegnano di presenziare agli spettacoli, sebbene li considerino espressione di un'arte degenerata.
Né la pace può nulla contro un declino ormai inevitabile. “Non potremmo mai eguagliare Buchenwald. Prima della guerra, ciascuno di noi sentiva che quanto accadeva sul palco era impossibile. Ora sappiamo che queste cose, e di peggiori, sono possibili nella realtà”, dichiarerà con mestizia l'ultimo impresario del Guignol, Charles Nonon.
Nel novembre del 1962, il Grand Guignol cala definitivamente il sipario. Nel marzo dell'anno successivo il portico e l'entrata principale del teatro vengono demoliti a colpi di scalpello e martello.
E Paula Maxa? Scomparsa dalle scene, la donna più assassinata del mondo morirà un'ultima volta il 23 settembre del 1970. E, per una volta, la sua morte sarà un affare squisitamente privato.
"Una volta una famosa indovina mi ha detto che morirò di una morte violenta. Potrebbe avere ragione. […] La morte sarà la mia ultima storia d'amore." [Paula Maxa, op. cit., p. 155]
Dalla vita di Paula Maxa, indimenticabile interprete del Grand Guignol, nel 2018 è stato tratto un film, La donna più assassinata del mondo (La femme la plus assassinée du monde) diretto da Franck Ribière e disponibile su Netflix.
Note.
Le citazioni di Paula Maxa presenti nel post sono mie libere traduzioni di brani tratti dall'articolo contenuto in Theatre of Fear and Horror, di Mel Gordon, Feral House, 2016.
Sulla Maxa è difficile recuperare informazioni. Oltre all'articolo presente nel volume, ne ho scovato solo un altro che la riguarda. Questo comunque non sarà l'unico post dedicato al Grand Guignol ;)
Ho visto ieri sera il film... Mi sono stupita che Paula fosse davvero esistita e, trattandosi così di personaggi reali, la pellicola mi è piaciuta ancora di più. Non conoscevo la storia di questa magnetica attrice e, grazie al tuo articolo davvero ben fatto e scritto in italiano corretto (raro, ormai) ho approfondito giustamente la sua essenza. Capisco perché le abbiano dedicato un film! Peraltro, il suo collega che si occupava di effetti speciali e di produrre il sangue x le scene di violenza, ha messo a punto una ricetta talmente ben fatta che ancora in tempi recenti la si usa nei teatri. Brava!!!!
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Grandissimo post!
RispondiEliminaGrazie Nick :)
EliminaDel Grand Guignol avevo letto qualcosa anni fa. Ma nulla sapevo della vita di Paula Maxa. Assurdo si può dire?
RispondiEliminaSulla Maxa è difficile recuperare informazioni. Oltre all'articolo presente nel volume, ne ho scovato solo un altro che la riguarda. Questo comunque non sarà l'unico post dedicato al Grand Guignol ;)
EliminaHo visto ieri sera il film... Mi sono stupita che Paula fosse davvero esistita e, trattandosi così di personaggi reali, la pellicola mi è piaciuta ancora di più. Non conoscevo la storia di questa magnetica attrice e, grazie al tuo articolo davvero ben fatto e scritto in italiano corretto (raro, ormai) ho approfondito giustamente la sua essenza. Capisco perché le abbiano dedicato un film! Peraltro, il suo collega che si occupava di effetti speciali e di produrre il sangue x le scene di violenza, ha messo a punto una ricetta talmente ben fatta che ancora in tempi recenti la si usa nei teatri. Brava!!!!
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