“Prima di concludere voglio protestare ancora una volta. Non ho mai fatto la spia contro la Francia e non ho neanche mai tentato. Non ho mai scritto una lettera che non avrei dovuto scrivere. Non ho mai chiesto ai miei amici informazioni che non mi riguardavano e non sono mai andata in nessun luogo dove non sarei dovuta andare. […] Qualsiasi idea di spionaggio mi era estranea, soltanto le circostanze hanno deciso in modo diverso.”[stralci dall'interrogatorio di Mata Hari del 1° marzo 1917, da Mata Hari. Vita e morte di una spia bella di Sam Waagenaar, trad. di G. Mazzucchelli, Longanesi, 1972, p. 221]
E se vi dicessi che molto di quello che credete di sapere su Mata Hari è falso?
La baiadera più ammirata e desiderata agli inizi dello scorso secolo, fucilata in una nebbiosa mattina di ottobre del 1917, fu una spia doppiogiochista al servizio della Germania del Kaiser Guglielmo o la vittima di un errore giudiziario?
Nel suo libro-inchiesta, edito nell'ormai lontanissimo 1972 da Longanesi Sam Waagenaar tenta di dare una risposta conclusiva a queste e altre domande. Per farlo si avvale di interviste alle persone che l'avevano conosciuta, documenti ufficiali del processo, le carte dell'epoca e, tesoro inestimabile, i due album personali di Mata Hari che l'autore ricevette dalla sua cameriera, Anna Lintjiens, dopo un lungo pomeriggio passato a riesumare i ricordi del passato.
Considerazioni a margine: il titolo originale del libro di Waagenaar - l'omicidio di Mata Hari - è molto più esplicito sulla posizione dell'autore rispetto alla versione italiana. |
Sfrondando senza pietà illazioni, dicerie e vere e proprie fantasie che ancora oggi fanno di Mata Hari il sinonimo di una donna ambigua e fatale con il vezzo per il tradimento, in Mata Hati. Vita e morte di una spia bella [tit. originale De moord op Mata Hari], l'autore stabilisce una serie di punti fermi nella vicenda della ballerina. Una spia? Lo fu, o credette di esserlo, ma per la Francia e i francesi. Ebbe rapporti con i tedeschi? Almeno in due occasioni, ma in circostanze diverse da quelle che poi vennero stabilite durante il processo. Quando entrò nella prigione di Saint Lazare era già stata condannata a morte? Molto probabilmente, sì.
Sam Waagenaar traccia un resoconto scarno – a volte non molto lineare – ma preciso della vita di Mata Hari, al secolo Margaretha Geertruida Zelle. Non ne fa un'esegesi, ma neppure il suo è un libro di condanna a priori (sebbene, in maniera un po' troppo gratuita, la definisca più di una volta una stupida). Come ogni buon giornalista dovrebbe fare, l'autore mette insieme i fatti in suo possesso per ricavarne un ritratto il più fedele possibile all'originale.
Quello che colpisce, nell'affaire Zelle-Mata Hari, è la sua estrema solitudine durante i quasi nove mesi passati in prigione. La donna più desiderata al mondo, Venere alla Scala e Salomé per un pubblico privatissimo, la ballerina che eccitava Shiva sfogliando lentamente i petali della sua gonna, alla fine venne abbandonata da tutti.
Amici che si dileguano, promessi sposi che la considerano un'avventura senza peso, amanti che si voltano dall'altra parte. Uomini che la corteggiavano spudoratamente e che, all'improvviso, la giudicano niente più di una prostituta, neppure troppo interessante. I veri doppiogiochisti, nella vicenda che la vide protagonista, furono quegli uomini che si innalzarono sul banco dei testimoni e la ritennero meritevole di morte.
Mata Hari era nata attrice. Il suo mondo era quello degli spettacoli e delle illusioni. Sin da piccola aveva creato da sé la sua storia, incoronandosi principessa di un regno inesistente. Continuò per tutta la vita; mentì senza timori ai giornalisti che accorrevano per intervistarla, inventando di volta in volta storie più audaci sulle sue origini, sul suo passato, sulla sua arte. Le sue erano le menzogne dell'attore che ogni sera mette in scena uno spettacolo diverso. E ha del grottesco pensare che, dopo tutte le bugie accettate per vere, quando disse la verità non venne creduta.
La sua vita fu un lungo palcoscenico.
Che si chiuse con una tragedia.
“Il Terzo Consiglio di Guerra mi ha condannata a morte, ma si tratta di un grave errore. […] In questo momento tutto viene spiegato erroneamente e le cose più naturali vengono esagerate in modo assurdo. Ho chiesto la revisione del processo e mi sono appellata contro il verdetto, ma per quel che riguarda gli errori giuridici non potrò ottenere soddisfazione. […] Veramente non sono colpevole di spionaggio in Francia ed è terribile che non mi possa difendere.”
[lettera di Mata Hari alla legazione olandese, datata 2 settembre 1917, da op. cit. p. 294]
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