Viaggio al centro della Terra. Breve esplorazione delle Terre interne




State pur certi che esiste in basso tutto ciò che esiste in alto. Vi sono ampie [caverne], immensi recessi e spazi vuoti, sovrastati da monti che incombono da ogni lato. Vi sono baratri spalancati sull’abisso che inghiottono spesso le città che cadono in essi. Queste rientranze sono piene d’aria, poiché in natura non esiste il vuoto; attraverso i loro ampi spazi si estendono acquitrini sui quali incombono tenebre eterne. Anche gli animali vengono in essi prodotti, ma sono privi di forma e dai movimenti molto lenti; l’aria che li ha concepiti è oscura e viscida, le acque pigre per la lunga inazione.

[Seneca (?) tratto da Mondi sotterranei. Il mito della Terra cava di Walter Kafton-Minkel, Edizioni Mediterranee, 2013] 

A partire dall'antichità più remota grotte, cunicoli e cenote hanno rappresentato il collegamento diretto tra gli esseri umani e i mondi sotterranei. 

Mondi profondissimi, mostruosi e terrificanti come mostruose e terrificanti erano le divinità che li governavano. 




I miti della creazione ci insegnano che l'uomo nasce dalla Terra. 
In molti di questi miti la Terra è una madre gelosa e apprensiva – quando non una mostruosa divoratrice come nell'immaginario mitologico dei Nahua. Per emergere e ottenere il diritto all'indipendenza e alla conoscenze gli uomini devono lottare, spesso facendo ricorso all'intervento di un eroe o di una seconda divinità. 
Coloro che non riescono a lasciare per tempo le cavità della madre Terra, sono destinati a trasformarsi in creature repellenti o a regredire in forme animalesche. Draghi e bigfoot, orchi, troll e nani non sarebbero altro che forme corrotte di quei primi umani intrappolati. 

All'arrivo della morte, poi, è di nuovo alla Terra che tendiamo, e nel suo utero di fango torniamo a rannicchiarci. 
Così, per secoli abbiamo stabilito i nostri Aldilà nel sottosuolo. Dall'Ade al Tartaro, dall'infernale Xibalba dei Maya all'Hel dei norreni, dalla Kurnugia, il paese del non ritorno, dei sumeri all'infuocata e infernale Gehenna. Del resto, è la stessa parola “inferno” a collocarlo lì, in basso, sotto i nostri piedi. 



Ma non è di mitologia che voglio parlarvi. Non oggi. 
Il problema su cosa si nasconda sotto la superficie terrestre viene affrontato da un punto di vista squisitamente scientifico a partire dal XVII secolo. 



Ispirato idealmente al sistema circolatorio, il Mondo sotterraneo di Athanasius Kircher è un pianeta a forma di groviera, crivellata di fori, caverne, cunicoli. Presenta due voragini poste ai poli, che fungono da valvole di ricircolo per le acque terrestri, ed è interamente percorso da fiumi di lava incandescente, il cui sbocco naturale è rappresentato dai vulcani. Il sottomondo di Kicher è un luogo infernale nel suo senso più autentico, ricco di una vegetazione mostruosa e popolato di draghi – dei quali l'autore era un autentico esperto. 

Meno complesso del mondo immaginato da Kircher, ma decisamente più poetico è il nucleo della Terra ipotizzato nel 1667 dal matematico Donato Rossetti. In una curiosa mescolanza di scienze moderne e metafisica animista, Rossetti attribuisce alla Terra un cuore pulsante, collocato al suo centro, il cui battito incessante si può percepire nel mutare delle maree e nel flusso dei venti. 



Approdiamo a Edmund Halley, che sulla questione si pronuncia nel 1692. 

Il papà della cometa più famosa del mondo non solo sottrae al pianeta il cuore di Rossetti ma, per necessità magnetiche, la rende completamente cava. 

Ossessionato dalle oscillazioni dei poli magnetici, Halley immagina la Terra come una matrioska di sfere cave separate l'una dall'altra da circa 800 chilometri di atmosfera, e gravitanti attorno a un nucleo centrale delle dimensioni di Mercurio. Sarebbe proprio la differente velocità di rotazione delle sfere inferiori a giustificare le fluttuazioni dei poli magnetici sulla superficie. 

Ignorando gli aperti sberleffi dei colleghi, Halley si terrà stretto alla sua ipotesi di una Terra concentrica fino alla morte, arrivando a vedere nelle autore boreali – che ritiene generate dalla fuoriuscita delle atmosfere interne dalle sottili superfici dei Poli - una chiara prova della sua teoria. 



Caduto nell'oblio per più di un secolo, se si ignorano opere come Il Messia di Friedrich Gottlieb Klopstock, con un centro della Terra assurto a polo logistico degli angeli, agli inizi del 1800 il mito della Terra cava ha un curioso revival per merito non di uno scienziato, bensì di un militare: John Cleves Symmens. 


È il 1818 quando Symmes pubblica a sue spese e fa recapitare a accademie, università e governatori una circolare, nella quale illustra la sua scoperta: 

Dichiaro la Terra vuota, e abitabile all'interno; essa contiene un numero di sfere concentriche, una dentro l'altra, ed è aperta ai poli tra i dodici e i sedici gradi; consacro la mia vita a sostegno di questa verità, e sono pronto a esplorare il vuoto, se il mondo sarà disposto a sostenermi e aiutarmi nell'impresa. 

["I declare the earth is hollow, and habitable within; containing a number of solid concentrick spheres, one within the other, and that it is open at the poles 12 or 16 degrees; I pledge my life in support of this truth, and am ready to explore the hollow, if the world will support and aid me in the undertaking".] 


Quella che verrà in seguito ribattezzata “Teoria delle sfere concentriche, dei vuoti polari e dei poli aperti” o anche, in maniera meno elegante, "Teoria del buco di Symmens" è, in sostanza, una rivisitazione della teoria di Halley integrata con l'ipotesi di flussi circolari di Kircher. 

La tesi di Symmens si basa sull'assunto che ogni cosa in natura sia costituita da atomi concentrici – come l'autore rileva osservando gli anelli di Saturno. Rispetto ad Halley, Symmens moltiplica il numero di sfere sotterranee e ipotizza un'atmosfera costituita da minuscole sfere concentriche, che formano una specie di cuscinetto tra i vari mondi interni. Tutti, a suo dire, perfettamente abitabili e pronti per la conquista da parte del governo americano.
Per accedervi, non ci sarebbe altro da fare che raggiungere i poli, trasformati per l'occasione in fori polari, il cui diametro oscillerebbe tra i 6500 chilometri del polo nord – tale da comprendere parte di Alaska, Siberia e Groenlandia - ai 10000 del polo antartico. 

A chi gli domandava perché nessuno degli esploratori che si erano spinti verso nord avesse mai notato tali voragini, Symmens, fideisticamente convinto della bontà della propria tesi, rispondeva che in realtà quelle persone avevano varcato, senza saperlo, i fori ma che “l'attraversamento del margine diventa evidente solo dopo che la nave l'ha superato di centinaia di kilometri”. 

Symmens consacrerà davvero la vita alla sua teoria. 
Oratore mediocre, non riuscirà mai a ottenere un largo consenso di pubblico né i fondi necessari a organizzare una spedizione polare. Almeno fino all'incontro con Jeremiah N. Reynolds. Quest'ultimo, affascinato più dalle possibilità dell'esplorazione antartica che dalla teoria del maestro, nel 1829 organizzerà finalmente la tanto agognata spedizione per l'Antartide nella quale la ricerca del foro per il centro della Terra non è che una parte marginale. 

Purtroppo, non solo Reynolds non raggiungerà mai la Terra interna, ma non si avvicinerà neppure alle coste del polo Sud. Alle prime manifestazioni dello scorbuto, infatti, l'equipaggio si ammutina e Reynolds viene fatto sbarcate al largo del Cile. Dove resterà per due anni. Da quell'esperienza trarrà il materiale per la stesura di Mocha Dick. Libro che, successivamente, fungerà da fonte di ispirazione per Melville. 


I fanatici dei fori aperti, continueranno per anni a contestare le scoperte polari. Tra questi, merita una menzione Marshall B.Gardner, che nel 1913 pubblica un libretto dal titolo significativo: Have the poles really been discovered 

Gardner, come Symmens convintissimo sostenitore del terracavismo, lascia perdere gli anelli di Saturno per addentrarsi nel mistero delle galassie. A suo dire, la Terra si sarebbe formata da una galassia in contrazione, ristrettasi attorno a un sole che ne costituisce il nucleo. 
L'unica Terra sotterranea è un mondo di estate perenne, dove le piante fioriscono e germogliano in continuazione. Un mondo fertile, affatto spaventoso, abitato certamente da esseri umani, certamente umani selvaggi e pertanto necessitanti di civilizzazione. Come per Symmens, la Terra interna di Gardner si offre come un'ottima piattaforma per una nuova fase di conquista e colonizzazione

E già Symzonia, romanzo satirico erroneamente attribuito a Symmens, poneva ironicamente l'accento su questa foga colonizzatrice dei mondi interni. 



Contro questo desiderio espansionistico si pone il medico eclettico Cyrus Read Teed che nel 1870, a seguito di una visione, cambierà nome in Koresh e darà vita alla setta dei Koreshani. 

È Dio stesso – un dio contemporaneamente essenza femminile e maschile – a rivelargli l'arcano: la Terra è cava, ma non è sotto di noi, perché “Noi viviamo all'interno”

Questo sarà il mantra dei koreshani, dal 1870 al 1908, anno della morte del loro leader. 

Quello di Teed è un universo racchiuso in una sfera di 13000 kilometri. Una Terra utero, che richiama i miti di emersione, e convessa. 
Il centro della Terra è l'universo, con il Sole ridotto a una batteria elettromagnetica che rotea al suo interno in cicli di 24 anni. Il sole, la luna e il resto degli astri non sono che un riflesso nell'atmosfera. 
Al di là degli strati più esterni di questo mondo uterino non c'è altro che il nulla. 

L'obiettivo di Koresh, autoproclamatosi nuova incarnazione di Gesù Cristo, non è l'espansione, la conquista, la voluttà civilizzatrice. Non essendoci nulla né sottoterra né in cielo, né al di là dell'utero terrestre gli uomini non hanno bisogno di conquistare, civilizzare o uniformare nulla. Ciò a cui Koresh ambisce è la fondazione di un paese socialista, comunitario e egualitario, senza distinzioni di sesso, censo e colore della pelle. Sogno che si interromperà brutalmente sotto i pugni di un poliziotto nel 1906.

La setta, all'inizio contante poche unità – inclusa la sorella e la cugina del maestro – conoscerà una notevole espansione sul finire del XIX secolo, grazie anche alla creazione del primo villaggio koreshiano, oggi parco pubblico ma alla morte del capo subirà un grandioso tracollo, conoscerà guerre interne e finirà con il disperdersi. Come il corpo di Teed, che nel 1921 verrà spazzato via da un uragano.


Fonti.

Mondi sotterranei. Il mito della Terra cava di Walter Kafton-Minkel, Edizioni Mediterranee, 2013

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