Ti sorrido mentre affoghi - CHI Ѐ PARTITO E CHI Ѐ RIMASTO di Barbara COMYNS

Avrebbe voluto con tutto il cuore vedere qualcuno che credeva di essere inseguito dai mostri. Fino ad allora c'erano stati cinque casi, ma ce ne sarebbero stati altri; era sicura che ce ne sarebbero stati altri. Una delle domestiche sarebbe potuta essere la prossima vittima, o persino il Vecchio Ives. Il pensiero del Vecchio Ives divorato da mostri immaginari la tirò considerevolmente su di morale, e trotterellò verso il capanno per vedere se mostrasse segni di stranezza. [Chi è partito e chi è rimasto, Barbara Comyns, trad. di C. Pascotto, Safarà editore, 2018, p. 63]

Ho fatto un esperimento. 
Ho provato a immaginare Chi è partito e chi è rimasto di Barbara Comyns come un lungo sketch dei Monty Python e, sapete cosa?, ha funzionato. 
Magari non tutto, ma

[spoiler. Procedete a occhi chiusi se siete spoilerofobi e riprendete a leggere alla prossima parentesi quadra]

metti ad esempio la scena in cui la moglie del fornaio muore e, morendo, schiaccia il bianco gatto di Nonna Willoweed

“Quella donna ha ucciso il mio gatto” disse la vecchia esaminando il piccolo corpo pietoso; e notò con interesse come un occhio fosse schizzato fuori dalla testa, mentre l'altro era rimasto quasi normale. “Notevole!” disse avanzando a passi decisi verso la cucina. [op. cit. p. 69]

e adesso ripensate alla scena con John Cleese nei panni della decana dei Willoweed, Eric Idle in quelli della moglie del fornaio, Michael Palin nel ruolo del Dott Hatt e Graham Chapman in quello di Ebin Willoweed, figlio della vecchia arpia. Se poi non sapete di chi o di cosa sto parlando, dovreste proprio procurarvi un pappagallo blu prima che l'Inquisizione piombi a casa vostra. 
Di un pappagallo e Netflix. 
Anche solo Netflix. 
Il pappagallo seguirà.

[fine dello spoiler, potere tornare a guardare senza che la lettura vi trasformi in statue di sale]

Ma partiamo con ordine e, cioè, dall'inizio.
Chi è partito e chi è rimasto, che - non me ne voglia la traduttrice - nel titolo originale [Who was changed and who was dead] è decisamente più evocativo e già permeato di quell'ombra di inquietudine che, mi pare di capire, è la firma della Comyns e di certo è una costante in questo romanzo, è la storia di una famiglia, i Willoweed, che si ritrovano ben presto testimoni di un'ondata di follia che coinvolge il loro villaggio.

Seems like La città verrà distrutta all'alba di Romero ma anche Nebbia di James Herbert
Potremmo dire che sì, le premesse sono simili, i risultati completamente diversi.

In effetti la storia narrata dalla Comyns ha più a che vedere con la follia di Salem [magari il link apritelo dopo aver letto il romanz] che con una minaccia batteriologica.
E del resto il romanzo, pur pubblicato nel 1954, è ambientato in una Londra molto fine Ottocento che non ha ancora sperimentato la guerra mondiale e non sa nulla di gas tossici come il fosgene e l'yprite.
La gente vive ancorata alle convenzioni e a una morale un po' bigotta, le domestiche vengono chiamate puttane senza che il sindacato intervenga e la morte è qualcosa di curioso, che attrae ma non impressiona. Non più di tanto.


Di fatto, i personaggi che la Comyns mette in scena sono talmente abituati alla morte da non considerarla un mostro bensì un fatto. Tanto che l'autrice apre il romanzo con un'esondazione e animali affogati sparsi un po' ovunque e prosegue con morti, questa volta umane, che si fanno via via più cruente in un crescendo che definirei tarantiniano se non fosse che magari non è il termine più adatto.

Nel raccontare la morte degli animali la Comyns usa una delicatezza che crea un contrasto deliziosamente creepy con la scena, scena che evito di citare per non togliervi il gusto di scoprirla da soli.
La sua è una prosa fluente come l'acqua del fiume che travolge ogni cosa e che trasforma la morte in poesia, una poesia recitata da un cadavere in avanzato stato di decomposizione.

Così, mentre sullo sfondo abbiamo un villaggio preda della follia, tra gente che urla perseguitata da demoni immaginari e mostri linciati dalla folla delirante, la Comyns piazza al centro del palco la storia dei Willoweed, famiglia agiata composta da un vedovo wannabe giornalista con tre figli, di cui una frutto certo dell'infedeltà della moglie, due domestiche e un tuttofare con l'hobby di intrecciare corone per i morti. Su tutti loro domina tirannicamente Nonna Willoweed.




La Nonna è una donna crudele, cinica e avara ma è anche il personaggio più tragico del romanzo. È una donna intrappolata in se stessa e nel ruolo che si è scelta, così come da sola si è intrappolata tra i confini delle sue proprietà oltre le quali non può andare per una promessa fatta anni prima. È una creatura scontrosa, aspra, ma anche terribilmente sola. Il suo odio è qualcosa che si riversa all'esterno ma ha a che fare prima di tutto con se stessa, con la sua incapacità di amare e di essere amata.
Nonna Willoweed ha un disperato bisogno di affetto ma non sa esprimerlo, lo castiga come castiga le sue domestiche con il battipanni.
Più di tutti si sente affascinata dalla morte perché sa che la morte è affascinata da lei. E la consapevolezza che presto morirà, che nulla più sarà suo e lei non sarà più nulla la rode dall'interno come le tarme divorano le sue coperte sigillate nei bauli. Perché a un certo punto neppure la canfora è sufficiente a fermare l'inevitabile. 

La Comyns racconta di intrecci familiari e drammi piccoli e grandi, di chi parte e chi resta, di chi muore e chi, invece, sceglie di cambiare o non cambia affatto, accettando di affondare le proprie radici nel terreno umido che cinge il fiume e ne beve gli umori. E dopotutto anche la morte è essa stessa un cambiamento.


Né quel nome che l'autrice sceglie per la sua famiglia protagonista sembra essere casuale: Willoweed, unione di willow e weed. Willow, il salice, albero che non vive se non sulle sponde di un corso d'acqua e pianta luttuosa per aspetto ma anche per il mito, che lo vuole legato a Ecate. E weed, che è sia il modo con cui si designa l'erbaccia che il termine con cui ci si riferisce all'atto di estirpare. Ma weed al plurale è anche l'abito indossato dalle vedove 

La Comyns trasforma quello che avrebbe potuto essere solo una pastorale inglese in qualcosa di più, in un romanzo obliquo, come obliqua è la veste grafica che la Safarà editore ha scelto di dare al volume. Sfruttando uno humor inglese nerissimo e sottile come una lama – non ho citato invano i Monty Phyton all'inizio – l'autrice inserisce nel contesto bucolico una trama fatta di ombre angoscianti, di una prosa onirica e di immagini che sembrano provenire da un romanzo dell'orrore.

Non è un weird o un horror in senso stretto, ma un romanzo che si offre al lettore come la ragazza in copertina, come una sirena, la cui voce ammaliante è anche la rovina per chi risponderà al richiamo.
Chi è partito e chi è rimasto è una scoperta, e sono certa che Barbara Comyns conquisterà uno spazio nel cuore di lettori che amano concedersi agli abbracci delle sirene. Non importa quanto siano aguzzi i loro denti o fredde le loro mani. 

Il viso divenne molle e si fece di nuovo confuso, e biascicò: “Le mie talpe con tre gambe hanno preso le tarme, anche se sono in una scatola di vetro, e la moglie del fornaio ha spiaccicato il mio gattino; c'è così poca considerazione dell'altro, di questi tempi.” [op. cit. p. 130]

2 commenti

  1. Bella segnalazione, non conoscevo il libro, grazie per avermelo fatto conoscere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. De nada :) La Comyns è stata una bella scoperta anche per me.

      Elimina

I commenti sono ciò di cui un blog si ciba.

Perché il tuo commento sia pubblicato ricorda di mantenere un tono civile e di rimanere in topic rispetto all'argomento del post, e mi raccomando: non inserire dati sensibili come email o altro.

Prima di essere pubblicati tutti i commenti sono sottoposti a moderazione.

Grazie