NEBBIA di James HERBERT

Mentre fissava il muro davanti a sé, fermo a gambe larghe, appena illuminato dal vago riflesso della torcia, immerso nei suoi tetri pensieri, il caporale non si accorse che delle fitte volute di nebbia si avvolgevano intorno alle caviglie, salendo a poco a poco fino a nasconderlo completamente. [Nebbia di James Herbert, trad. di B. Russo, Urania Mondadori n. 702, 1976, p. 121]

Quello di James Herbert è un nome che tende a tornare ciclicamente tra gli appassionati del genere horror.
Consacrato, ancora prima della sua morte, da Stephen King nel suo saggio Danse Macabre, Herbert non ha avuto moltissima fortuna in Italia dove, a una manciata di titoli tradotti per Urania e Sperling&Kupfer tra gli anni '70 e i primo '90, seguì il silenzio.

Di fatto, James Herbert risulta forse “troppo inglese” per i lettori del continente, e il suo modo di narrare, così compassato, finisce spesso per suscitare nel lettore una certa frustrazione. O, almeno, è questo che emerge dalle recensioni su Anobii.

La prima volta che ho sentito parlare di Herbert è stato sulle pagine di Il giorno degli zombi, dove l'ottima Lucia Patrizi descriveva Nebbia [tit. or. The fog] con una tale passione che ho subito sentito la scimmia del “devo leggerlo” arrampicarmisi sulla schiena. Una reazione pavloviana ormai, lo confesso, fuori controllo.

Ce poi, diciamolo: la nebbia ha sempre avuto un certo spirito horror, finendo per assumere il ruolo di luogo più che di agente atmosferico. La nebbia è il paese dei fantasmi, dei mostri tentacolari, degli spiriti vendicativi.
La nebbia è un portale, e chi vi cammina attraverso rischia, perdendosi, di ritrovarsi in dimensioni aliene e inesplorate. 
E nella realtà quotidiana, offre sempre un piccolo brivido vedere il confine inghiottito da un banco fitto di foschia, come se il mondo, a un certo punto, svanisse cancellato da questa massa impenetrabile di eburneo vapore.

Da inglese, James Herbert doveva conoscere più di una barzelletta sulla nebbia di Londra. Così, non deve aver faticato molto quando si è trattato di trovare il degno antagonista primario del suo secondo romanzo. Era il 1975, Herbert era un capellone di trentadue anni già salito alla ribalta come autore di horror con The rats, pubblicato l'anno prima.

A dispetto dei cliché del gotico e del weird, la nebbia del romanzo di Herbert non nasconde al suo interno strane creature da un altro mondo: è essa stessa l'orrore; un inarrestabile coagulo di smog e micoplasma, di materia cerebrale degradata e inquinamento in grado di intaccare il cervello degli esseri viventi portandoli a compiere atti di violenza inusitata. La follia scatenata dalla nebbia non conosce limiti ed è terribilmente autodistruttiva.

Nel romanzo, agli orrori raccapriccianti della prima parte – sicuramente la più incisiva del romanzo – fa da contraltare una certa denuncia antimilitarista e ambientalista, incarnata dal personaggio principale, nonché eroe della storia, John Holman.

Holman è un funzionario dei Beni Ambientali che si ritrova coinvolto in un terremoto, provocato da test balistici, e che sprigiona quella che, si scoprirà in seguito, essere un'arma batteriologica ormai fuori controllo. Dopo essere stato infettato e guarito dall'intossicazione, Holman diventerà il personaggio chiave per arginare l'avanzata della foschia.

Se a volte la narrazione può risultare lenta e ripetitiva, soprattutto negli interminabili corpo a corpo che si susseguono nella seconda parte del romanzo, è nel modo in cui Herbert giostra tutto il microcosmo dei suoi personaggi secondari che si dimostra tutto il suo valore come autore. Un valore che portò King a definirlo, in Danse Macabre, come

“forse il migliore autore di horror-pulp dai tempi della tragica dipartita di Robert E. Howard.”

Herbert non usa le prime vittime del contagio come pupazzetti sui quali esercitare fantasie via via più atroci, ma ne delinea con efficacia una storia passata e presente che li rende vivi e tridimensionali (tra i miei preferiti, il bancario oppresso che comincia a prendere a calci nel sedere chiunque gli si pari davanti e la vecchia gattara), più di quanto faccia per Holman che, al contrario, risulta spesso più la sagoma dell'eroe, tutto azione e scazzottate con la bella-da-salvare, che un personaggio in carne e ossa.

Si tratta di veri e propri micro-racconti, nei quali di volta in volta si alza l'asticella della follia. Si parte con un uomo macellato dalle proprie vacche e si finisce con un pilota che fa schiantare un 747 contro un grattacielo.

In questo senso Nebbia è un vero e proprio romanzo corale, attorno al quale ruota la vicenda principale che vede Holman impegnato in un disperato contenimento della foschia.

Foschia che, d'altro canto, acquista sempre più i connotati di una creatura intelligente, un incubo amorfo che ricorda le masse gelatinose di adorabili B-movie, contro la quale sembra impossibile qualunque soluzione e alla quale l'umanità sembra destinata a soccombere in un tripudio di efferatezze, che vede l'apoteosi in un suicidio di massa stile lemmings compiuto dalla popolazione di un villaggio posto sulla costa. 

Un intero capitolo è dedicato a questa folla di sonnambuli che avanza senza esitazioni verso l'acqua, trascinandosi dietro chiunque provi a resistergli, calpestando qualunque cosa gli capiti sotto i piedi. Non è un caso, credo, che sia anche la scena che ha più di tutte colpito l'immaginazione di King per il modo in cui Herbert decide di narrarla. Con un certo sussiego, ma anche con quella compostezza che, dicevo all'inizio, la rende più cruenta delle atrocità già lette.

A dispetto di una traduzione non eccelsa e di una seconda parte calante, nonostante il coinvolgimento dell'intera popolazione di Londra nella crisi di follia collettiva, Nebbia rappresenta un'opera indiscutibilmente interessante, oserei dire un must read per gli appassionati del genere, che mette in scena una società spesso indifferente e sardonica, fatta di individui ottusi, corrotti, di politici miopi, di industriali cinici; una società già pervasa da una violenza sotterranea che la nebbia ha soltanto finito per fare emergere.

Be', ti assicuro che stavolta non scherzo. Sono convinto che quella roba è fatta dall'uomo e che è legata all'inquinamento. Come quei fiumi dove i pesci sono morti a migliaia, perché le industrie ci scaricavano dentro le loro porcherie. Stavolta è successo con un gas o una sostanza chimica, non lo so, che gli è sfuggita di mano. Proprio come nei film dell'orrore. [James Herber, op. cit., p. 121]



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Note.

Tra gli altri che hanno parlato, e bene, di James Herbert segnalo il blog di Pirkaff e quello di Osbidian Mirror che vi permetteranno di approfondire la conoscenza con un autore dimenticato troppo in fretta.

5 commenti

  1. Sarà un caso, ma ultimamente sento parlare spesso di Herbert in giro per blog. Quasi più di quanto se ne era sentito parlare ai tempi della sua scomparsa.

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    1. Vero. E ho visto che su Anobii non è poi così sconosciuto come autore. Che sia la volta buona per un tentativo di recupero da parte di qualche CE lungimirante? [O magari, chissà, tra qualche mese Urania ne ripubblicherà le opere come ha già fatto per altri grandi dimenticati]

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  2. Herbert è uno di quegli autori che sono stati ingiustamente rimossi dalla memoria dei lettori. Nebbia e Topi sono due esempi di letteratura horror praticamente perfetti, peccato che sia stato poco considerato allora in Italia e poco ristampato oggi.

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    1. Per Herbert neppure i complimenti di King hanno potuto granché qui da noi. Eppure ce ne fossero di storie come queste. Io Nebbia lo consiglierei già solo per i racconti dei singoli scoppi di follia, che te lo immagini mentre stava seduto davanti la macchina da scrivere e diceva al personaggio di turno: facciamo qualcosa di matto, baby.

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  3. Sempre su Urania, segnalo "Il nemico di nebbia" di Karl Zeigfreid

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