UN BAGNO DI SANGUE. Erzsébet Báthory

La contessa sanguinaria Erzsébet Báthory recensione


Ci sono storie che finiscono per confondersi con la leggenda.
Gilles de Rais, Vlad Tepes, la Brinvilliers.
E lei, Erzsébet Báthory, la Comtesse sanglante come la nominerà Valentine Penrose nel libro omonimo.

La contessa sanguinaria [ES edizioni] è un testo che cerca di rendere il più fedelmente possibile le atmosfere che impregnarono la vita della Báthory, padrona di quell'Ungheria che, ancora alle soglie dell'Illuminismo, si nutriva con fame selvaggia dei miti antichi e dei richiami ferini del bosco.



Più un romanzo storico che una biografia vera e propria, con decise virate verso l'esoterismo e il simbolismo, La contessa sanguinaria risulta un'opera affascinante per prosa e suggestioni. Se siete alla ricerca di un saggio storico, questo probabilmente non è il testo più adatto. La Penrose è una poetessa e una pittrice, e nel testo entrambe le anime si incontrano, creando un racconto a tratti nebuloso, a volte particolarmente minuzioso soprattutto quando si tratta di descrivere lo sfarzo, le vesti, gli interni delle abitazioni.
Curiosità, la Penrose non nomina mai Tepes, al contrario è Gilles de Rais che diventa per l'autrice un alter ego della Báthory. Una versione speculare per crudeltà e numero di vittime. Sempre giovani. Sempre innocenti.
Mentre l'influenza dei pianeti, le congiunzioni astrali sono usate dall'autrice come gancio per parlare della furia omicida, del disprezzo per la vita altrui di una donna soffocata dal suo stesso desiderio di sangue.

Una donna che finirà sepolta viva nella propria camera del castello di Čachtice [Csejte in ungherese], l'unica luce offerta da un lucernario di fortuna. In un isolamento completo che avrebbe dovuto stimolare il pentimento, ma che la lasciò fredda e indifferente fino al 21 agosto del 1614 quando le guardie, insospettite dal suo silenzio, fecero abbattere la porta murata rinvenendone il cadavere affollato da una nidiata di pipistrelli.

Erzsébet Báthory

La storia di Erzsébet Báthory, ispiratrice di racconti di vampiri, è in realtà più simile a quella della perfida matrigna di Biancaneve.
Davanti all'immenso specchio, sul quale due fori permettevano di far passare le braccia perché non si stancasse durante la lunga vestizione, contemplava ogni angolo del proprio volto e corpo alla ricerca dei segni dell'inevitabile vecchiaia.

Interrogava lo specchio sulla propria bellezza, che di giorno in giorno vedeva sfiorire. Lei, la padrona di Čachtice, invecchiava circondata da servette dalla pelle fresca, dalle guance rosse, i corpi pieni di vita.
Ragazze nate in case di paglia e rozzi mattoni, che avevano appena varcato la soglia dell'adolescenza, e che erano tanto più belle di lei. Su di loro si indirizzò il suo odio.

Le streghe che allora dimoravano in casupole nei boschi vennero in suo soccorso. Prima fu Darvulia, che la iniziò al culto del sangue. Grazie alla strega del bosco Erzsébet poté finalmente coniugare il sadismo già dimostrato senza troppi timori, per puro diritto di possesso, quando il marito era ancora vivente, alla cura di un corpo che subiva l'affronto degli anni.
La contessa sul cui stemma il drago si avvinghiava alla zanna di lupo, l'ultima discendente di una stirpe tanto famosa quanto corrotta, non poteva permettere al tempo di dominarla. Non poteva permettere che nessuno fosse più bello e desiderato di lei.



Le ragazze sacrificate furono molte. Probabilmente meno delle seicentodieci tramandate. Ma dai verbali degli interrogatori ai suoi complici, incaricati di trovare le giovani da dirottare al castello, di torturarle secondo disposizioni e, infine, di occultarne i cadaveri martoriati, sappiamo che furono tra le cento e le trecento. La sola Jό Ilona, una delle complici della Báthory, confessò di averne uccise, su disposizione della padrona, almeno cinquanta.

Il regno di terrore della Báthory durò sei anni. Dal 1604, quando il conte Nádasdy morì lasciando alla vedova la gestione completa di castelli e possedimenti, al 1610, quando il palatino Thurzó, durante un sopralluogo al castello della contessa, trovò nelle cantine il cadavere di una ragazza, una seconda agonizzante e in cellette striminzite le riserve già pronte per i successivi bagni di sangue.

Le ragazze erano denutrite, terrorizzate. Raccontarono al palatino infinite atrocità. Le crudeltà inflitte dalla contessa alle servette e sartine che avevano malauguratamente accettato gli inviti e le lusinghe di Ficzkό o di Dorkό avrebbero fatto impallidire le creature contorte ritratte da Bosch. Spesso alle ragazze lasciate a digiuno per settimane venivano offerte le carni delle compagne uccise. A volte le stesse vittime erano forzate a mangiare i brani di carne strappati a viva forza con tenaglie arroventate prima che Dorkό, munita di un paio di forbici, ne tagliasse le vene dei polsi e del collo, lasciando che il sangue si raccogliesse in un paiolo riscaldato dove la contessa attendeva il suo bagno.

Quando venne finalmente arrestata e riconosciuta colpevole dei suoi crimini, Erzsébet aveva da poco computo cinquanta anni. Fu solo il nome di suo marito e i servizi che quest'ultimo aveva reso all'Ungheria a evitarle il patibolo. Fu il palatino stesso a imporsi sul re, chiedendo che la condanna fosse la più discreta possibile. Non per riguardo a quella che ormai tutti chiamavano la belva di Čachtice, ma per preservare il buon nome della casata che a lei si era legata.

I crimini commessi nelle segrete del castello, nel palazzotto di Vienna o sulle strade che conducevano agli altri possedimenti della contessa furono pubblicamente pagati dai suoi complici.


István Kiss - Erzsébet Báthory [riproduzione]


Solo Fizcό, Dorkό, Jό Ilona e Kata presenziarono al processo che si tenne a porte chiuse a Presburgo, allora capitale dell'Ungheria.
La Báthory non venne chiamata a confessare, nonostante le insistenze del re Mattia. Rinchiusa nel castello in attesa dell'esito delle consultazioni, seppe il 7 gennaio 1611 che la sua condanna era una morte silenziosa, nel buio di una camera adibita a cella, nel castello che aveva visto tanto sangue scorrere nei rivoli di scolo, tra i rifiuti e i liquami.

Ficzkό venne decapitato. A Dorkό e Jό Ilona, complici attive della contessa, la tortura anticipò la morte sul rogo. Darvulia Anna, che per prima aveva iniziato la Báthory ai segreti del sangue, era già morta. Quella che l'aveva succeduta, Majorova, era scomparsa senza lasciare traccia. Solo a Kata, l'addetta alle tumulazioni, che si era sempre mostrata gentile nei limiti del possibile, fu risparmiata la vita.

Nella sua stanza dalle finestre e porte murate, con appena due fessure per lasciare entrare un po' d'aria e di cibo, senza luce né legna da ardere, la contessa visse ancora per quattro anni. Attorno al castello vennero fatti innalzare quattro patiboli, segno che in quel luogo viveva un condannato a morte.
Erzsébet Báthory morì la notte del 21 agosto 1614, “senza croce e senza luce” come scrisse uno dei cronisti dell'epoca.

E forse l'ultima immagine che vide, prima di cedere all'abbraccio dell'oscurità, fu quella di un lungo spillone e di una sola goccia di sangue che colava lungo un fianco di donna, rendendone la pelle già pallida trasparente come l'anima.

2 commenti

  1. Si tratta di una storia che mi affascina, ma che conosco solo a grandi linee. Mi piacerebbe riuscire a leggere questo libro, peccato che l'edizione sia molto difficile da trovare :(

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    1. Purtroppo. Io l'ho scovato senza volerlo, mentre cercavo tutt'altro su Libraccio. Ma da interrogazione Opac è nel catalogo di parecchie biblioteche, magari ce ne sono che fanno prestito interbibliotecario con quella della tua città. Comunque ora cerco qualche altro titolo sulla Bathory che sia maggiormente reperibile ;)

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