LA FABBRICA DELL'ASSOLUTO - Karel ČAPEK

- Bondy - sussurrò Marek con terrore, - ti avverto per l'ultima volta: porterai Dio sulla Terra!
- E allora - disse G. H. Bondy con dignità, - me ne sarà riconoscente di persona. E spero che non farà il disgraziato con me. [La fabbrica dell'Assoluto, Karel Čapek, trad. di A. Alleva, Theoria, 1984, p. 50]

Fingiamo che siate un ingegnere, uno dei più geniali inventori della vostra epoca e che, avendo a cuore la crisi energetica imperante, abbiate lavorato giorno e notte a un Generatore in grado di dissipare integralmente la materia per ricavarne energia economica e pulita. 
Che cosa ricavereste come prodotto inerte del processo di combustione?

Čapek ha la risposta per voi. 

Scombinando interamente la materia, signori e signore, avreste come unica scoria il divino, l'Assoluto.
Quella parte intangibile del creato. La prima delle monadi di Leibniz.

La fabbrica dell'assoluto Čapek romanzo recensione
È da questo piccolo spunto che Karel Čapek avvia la sua Fabbrica dell'Assoluto [tit. or. Továrna na Absolutno], un romanzo (anzi, un feuilleton) intelligente e arguto scritto nel 1920, poco dopo aver terminato il suo lavoro più importante, R.U.R.

La fabbrica dell'Assoluto è un romanzo che parla dell'uomo, un uomo intrappolato in un sistema economico che sembra volerlo divorare; del suo rapporto con il progresso, con Dio, con i suoi simili.


In breve.
In piena crisi energetica, l'ingegner Marek crea un Carburatore potentissimo in grado di far andare avanti una fabbrica per settimane, mesi, con un pugno di carbone. L'inconveniente del Carburatore sta nel suo prodotto di scarto, un'entità incorporea e indefinita che suscita negli uomini inopportuni sentimenti di estasi. 
 
Il trasformatore di Marek è un motore che produce, come scoria, Dio in persona. 
 
Allettato dalle possibilità economiche della faccenda e indifferente al potenziale inquinante del divino, il magnate Bondy decide di acquistare il progetto per mettere su una fabbrica di Carburatori.

In pochissimo tempo l'Assoluto infetta la terra, si accaparra le fabbriche e le banche, produce all'eccesso senza badare ai principi di economia; stampa moneta a oltranza infischiandosene dell'inflazione e conduce gli uomini a una guerra santa di proporzioni globali per decidere quale Dio abbia più diritto di governare il mondo.


Perché leggerlo.

Čapek si dedica a La fabbrica dell'Assoluto in un momento morto della sua carriera. Come spiega anche nella Prefazione (ah, tanto poco sopporto le prefazioni quanto amo quelle scritte da Čapek), aveva appena finito la stesura di R.U.R. e, dopo l'iniziale senso di libertà, cominciò a pensare che stava sprecando tempo a non fare niente, così si mise a scrivere un romanzo a puntate che inviò alla redazione del Pondělnik “giurando che poi avrei scritto la fine”.

L'intuizione che dà l'avvio al romanzo mescola filosofia, fisica, chimica e teologia: se, in base alla legge di Lavoisier, la materia non scompare ma semplicemente subisce una trasformazione, allora anche l'efficiente ed ecologico Carburatore di Marek non potrà distruggere integralmente il carbone introdotto nella fornace; così, se da un lato produrrà energia, resterà comunque uno scarto residuale di entità incorporea. Di Assoluto.

Di fatto, e in maniera del tutto paradossale, la scienza e l'industria riportano nel mondo Dio. Quel Dio, del quale l'industria e l'uomo moderno non sanno che farsene, ritorna sulla Terra come combustibile e, poiché onnipotente, forza lavoro.


L'effetto dell'Assoluto sull'uomo è devastante: chi entra nel raggio d'azione dei Carburatori è condannato a una vita di estasi e di miracoli. Non solo. Ddopo secoli passati a non far nulla l'Assoluto "riportato in vita" si appropria delle fabbriche e di ogni mezzo che monti un Carburatore e comincia a produrre. Come in una edizione postindustriale dell'apprendista stregone, l'Assoluto è totalmente fuori controllo e produce in eccesso cose che gli uomini non sono in grado di usare né di redistribuire.

Come suo solito, poi, l'Assoluto diventa involontario strumento di guerra per le potenze mondiali, che usano i Carburatori per assoggettare le nazioni nemiche o ostili, senza rendersi conto di come sia un gioco, questo, destinato a non avere vincitori.

Nella Fabbrica dell'Assoluto Čapek, riferendosi a episodi non troppo in là nella storia (come, per esempio, la guerra dell'oppio che vide contrapposte Cina e Inghilterra, e che qui l'autore rovescia consentendo ai cinesi l'invasione religiosa e politica dell'Europa), tocca temi quali il nazionalismo, l'economia ormai avviata verso il consumismo e il tema della fede declinata nelle sue diverse forme (in Dio, in un ideale politico, nella patria...), oltre a trattare le tematiche che gli sono più congeniali, come il rapporto tra l'uomo e la tecnologia, e la critica pungente alla società a lui contemporanea.

Lungi dall'essere una benedizione, per uomini come Marek o Bondy l'idea di un Assoluto che rapisca in estasi i migliori capitani d'industria del paese, spingendoli a donare tutti i propri averi ai più poveri è una vera disgrazia. La generosità, così come la redistribuzione del reddito, sono viste come il massimo esempio di follia dagli uomini moderni.  

L'Assoluto imbriglia gli uomini costringendoli a essere umani, spingendoli a comunioni forsennate di beni e sentimenti, come il più sovversivo dei socialisti, un “comunista mistico”.


La Chiesa stessa si schiera contro i Carburatori e i loro Assoluti: Dio non può far parte del mondo, la sua presenza è destabilizzante, la sua condotta sfugge a tutte le norme e ai dogmi codificati da Nicea ai giorni moderni. L'Assoluto è un dio imbarazzante, troppo generoso, troppo altruista per avere diritto alla legittimazione sacerdotale.

- Signori, non pensate, per Dio, che la Chiesa introduca Dio sulla Terra! La Chiesa esclusivamente lo lega e lo regola. E voi, signori miscredenti, voi Lo scatenerete come un'inondazione. [ibidem, p. 56]

  L'Assoluto, porzionato come un pesce e adattato alla cultura nazionale diventa fondamento per nuove Religioni di Stato, motore di una delle guerre tra le più sanguinarie mai combattute a memoria d'uomo.

- Vi dico che questo è il Dio giusto. Ma vi dirò una cosa: è troppo grande.
- Pensate?
- Sì, Lui è infinito, questo è il guaio. Sapete, qualsiasi persona Gli misura addosso quel suo paio di metri, e pensa che questo sia tutto Dio. Prende possesso di una piccola frangetta, o di un ritaglio di pelle, e pensa di averlo tutto. Capite?
- E prova rabbia per coloro che ne posseggono un altro pezzetto. [ibidem, p. 179]

L'Assoluto di Čapek è uno specchio diviso in frammenti, che riflette le singole, minuscole verità di un gruppo o di uno stato nazionale. È un'entità inconsapevole, una mente immateriale del tutto liquida, astratta. L'Assoluto di Čapek non ha volontà, solo potenza. La potenza creatrice e distruttrice di un bambino. Ma agli Stati in lotta non importa, e affibbiano a quel Dio nato dal carbone le proprie personali visioni del mondo e della fede.

- È morto per la fede - osservò Body trasognato. - Gli avete impedito con la forza di mangiarmi. È caduto per l'ideale nazionale del cannibalismo. In Europa da tempo immemorabile la gente si sbranava per gli ideali. [ibidem, p. 181]

Come già accade per La guerra delle salamandre, anche La fabbrica dell'Assoluto è un romanzo e intelligente e senza tempo, un feuilleton brillante e con punte di deliziosa ironia sebbene, proprio a causa della sua origine, si nota la carenza di una trama strutturata e alcuni capitoli hanno più l'aspetto di appendici che di parti necessarie allo sviluppo della storia

 Sotto questo aspetto, quindi, la lettura della Fabbrica richiede un po' più di pazienza perché Čapek tende a perdere facilmente il punto del racconto. 
 
Si passa da un punto di vista all'altro, spesso introducendo personaggi caricaturali che hanno come scopo quello di mettere in ridicolo specifiche caratteristiche della società ceca (come il capitolo dedicato al contadino, l'unico che durante la crisi guadagna e arricchisce; o quello che ha per protagonista Il libero docente, il “giovane studioso Blahouš, dottore in filosofia, appena cinquantaquatrenne); non mancano poi capitoli di rottura, con l'autore che interrompe il flusso degli eventi per riassumerne i tratti salienti della storia o per giustificare determinate scelte narrative (anche in questo caso sempre in funzione satirica).

Al netto di quelli che alcuni potranno considerare punti deboli, La fabbrica dell'Assoluto resta un romanzo accattivante, coinvolgente e moderno; per alcuni aspetti una lucida proiezione del percorso storico che sta per attraversare l'Europa* e che sfrutta il fantastico per parlare all'uomo dell'uomo, delle sue ridicole idiosincrasie, dei suoi difetti, delle inevitabili conseguenze delle assolutizzazioni. 
E anche quando l'argomento è drammaticamente serio, riesce a farlo con quella beffarda ironia che caratterizza un po' tutta la produzione di Karel Čapek.

  In effetti, a differenza delle Salamandre, il cui tono è decisamente più pessimista (La guerra delle Salamandre viene scritto nel '36, due anni prima degli scandalosi Accordi di Monaco, ma l'autore sembra aver già intuito quale disastro le potenze mondiali stanno allestendo per l'Europa e il mondo intero), La fabbrica è ancora un romanzo profondamente ottimista, e si conclude attorno al tavolo di un'osteria, discettando sul modo giusto di cucinare i crauti.

- Per questo motivo tanta gente si odiava e si è uccisa - esclamò padre Jošt. - Sapete, quanto più qualcuno crede in una cosa, tanto più furiosamente disprezza coloro che non ci credono. Eppure la fede suprema sarebbe quella di credere nella gente. [La fabbrica dell'Assoluto, Karel Čapek, trad. di A. Alleva, Theoria, 1984, p. 196]

Il volume è arricchito dalle illustrazioni interne di Josef Čapek, fratello dello scrittore.



*Per fare un esempio, uno dei capitoli in questione è una involontaria preveggenza della "marcia su Roma" che accadrà solo due anni più tardi dall'uscita del romanzo
 

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