LE VENTI GIORNATE DI TORINO - Giorgio de Maria

La mia vita è modesta ma dignitosa, come quella di tutti. Sera dopo sera salgo nella mia stanzuccia, e qualche volta è una bella fatica perché abito all'ottavo piano e da un po' di tempo non ci sono più né scale né ascensore. Durante la salita, mentre mi aggrappo dove posso, sento venire dall'alto lo scroscio dell'immondizia mischiato alle voci beffarde degli inquilini, che però non riesco quasi più a sentire. [Le venti giornate di Torino, Giorgio de Maria, Frassinelli, 2017, pp. 106-107]

Strano destino quello toccato a Le venti giornate di Torino di Giorgio De Maria. Pubblicato per la prima volta nel 1977 e subito dimenticato, il romanzo torna alla luce per grazia di un professore di lettere australiano, Ramon Glazov che, in visita a Torino, scova il romanzo, se ne innamora e decide di tradurlo senza alcuna garanzia, semplicemente convinto che la storia meriti di essere letta. Fortuna vuole che anche l'editore Norton sia del suo stesso parere e così, a quarant'anni di distanza dalla prima stampa, Le venti giornate ricompare sugli scaffali.  

Un romanzo pressoché sconosciuto in Italia torna nel suo paese in modo contorto, come contorta, dopotutto, è la vita del suo autore. 

 

Giorgio De Maria, Le venti giornate di Torino

Scrive Giovanni Arduino, che è curatore per Frassinelli del romanzo, nel suo Il diavolo è nei dettagli [Frassinelli]:

Ho trovato il parto di un cervello a suo modo geniale, il cervello di De Maria, che si sta lentamente, inesorabilmente disgregando di fronte ai nostri occhi. E ho (ri)trovato il vero male, quello dell'anima.

De Maria, che in vita pubblicò pochissimo e che chiuse la sua breve carriera da scrittore proprio con le Venti giornate, è stato uno di quegli uomini che si dicono “dalle passioni violente”: prima anticlericale, poi convertito a un cattolicesimo rigido e intransigente; incostante sul lavoro e insofferente alle routine d'azienda. Un eccentrico che, forse, in parte di quell'eccentricità già mostrava i primi segni della malattia mentale che l'avrebbe alla fine preso e distrutto, soffocandolo lentamente nel laccio degli psicofarmaci.

 Di cosa parla il romanzo.

Dieci anni prima dei fatti narrati sotto forma di reportage, una strana forma di insonnia colpì i cittadini di Torino. A questa seguirono brutali omicidi, che rimarranno irrisolti, conclusi i quali la città tornerà al solito quieto vivere.
Se gli autori delle mattanze sono ben presto chiari al lettore, è però tutto il resto a costituire la parte viva, il fulcro d'interesse dell'intero romanzo.
C'è di più, molto di più in questo centinaio di pagine.

Perché dovreste leggerlo.

Non solo l'insonnia, non solo gli omicidi: perché a Torino, prima di quelle Venti giornate, nel Cottolengo si era data vita a una strana Biblioteca. Una Biblioteca di memorie e segreti nella quale chiunque poteva lasciare il proprio scritto, confessare l'inconfessabile.
Si trattava di memorie anonime, ma coloro che le donavano erano tenuti a lasciare il proprio nome al bibliotecario consapevoli che l'anonimato sarebbe caduto davanti alle richieste di utenti paganti. 

Ed ecco allora che la Biblioteca diventa un panopticon di voyeurismo, un social network pre-tecnologico, dove l'anonimato è solo di facciata, eppure si è disposti a dire tutto di sé, ad aprirsi, a raccontare, senza riserve, senza coscienza.


È questo elemento di modernità, inserito in un romanzo che ha i tratti di una storia di fantasmi e le dinamiche di un racconto lovecraftiano, in cui il sogno e il delirio si mescolano alla realtà senza soluzione di continuità, che rende Le Venti giornate uno scritto di un'involontaria attualità.

Alla Biblioteca sono associati misteriosi uomini in nero; ragazzi ben curati, di buona famiglia, simboli di quelle brigate che trasformeranno Torino in un'arena di panico. E il panico è vivo e sottile, percorre tutto il romanzo. Il timore di qualcosa che sta per accadere, questo orrore strisciante, attraversa tutta la città, la colma in tutte le sue estensioni.

Di fatto, però, la vera protagonista del romanzo è Torino; una Torino priva di quell'aura da capitale di magia nera che le si appioppa; una Torino asciutta, che un po' richiama il primo Dario Argento e un po' le città d'ombra espressioniste.

Solo in una città come questa, dove la cortesia viene scambiata per falsità, dove il riserbo è rispettato e quasi venerato che un romanzo come Le Venti giornate ha ragione di esistere. 

Altrove non sarebbe stato possibile ambientarlo. Non Roma, né Milano. Ma in quella che è una sorta di conca naturale sulla cartina topografica, una città aperta e tuttavia chiusa, riservata.

Perché se quello che accade durante le Venti giornate è già spaventoso di per se stesso, lo è di più ciò che accade poi, che ancora non ha smesso di accadere: c'è chi ancora, di notte, bisbiglia alle statue che fissano immobili le mura di vecchi palazzi, immerse in strani pensieri; chi, in gruppi pseudo messianici, avvisa tutti gli altri di guardare con attenzione ciò che, pur nella sua enormità, non si vede; e anche i migliori consigli possono nascondere una pessima intenzione.

L'atmosfera che si respira, leggendo Le Venti giornate, è quella di film come La casa dalle finestre che ridono, dove si è visti e sondati, dove tutti sanno e ne parlano, ma non con te. L'escluso, il non iniziato, il sacrificale.


È un romanzo di sensazioni, Le venti giornate di Torino, non di azione. E di sensazioni violente, fisiche e concrete. Un'angoscia lenta lenta che parte da lontano, che non si sente arrivare, che poi alla fine ti assorbe, ed esplode di colpi ribattuti alla porta, di impronte di pugni che affossano il cemento.
Per poi arrivare, chiusura perfetta, a quel finale; quel commiato dalle tinte buzzatiane, nel deserto, accompagnati dalle note stridenti di un flauto dolce.

Per concludere, Le Venti giornate di Torino è un romanzo che non tutti apprezzeranno. Non coloro che amano un fantastico di carne, di azione e viscere. Ma è un tassello importante per tutti coloro che sono interessati ad approfondire la narrativa di genere italiana. E a chi non può resistere alle lusinghe dei romanzi maledetti.

2 commenti

  1. Romanzo che non ho capito, non del tutto, ma che mi ha tremendamente affascinato.

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  2. A me è piaciuto molto e mi sono anche già letto "Pagine postume pubblicate in vita" di Robert Musil, di cui si parla nel libro.

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