Chi ha messo Bella nell'olmo? [Prima parte]


Illustrazione di Caithlyn @deviantart


I ragazzi volevano solo delle uova. 

Scesero lungo il sentiero che portava ad Hagley Wood e si inoltrarono nel bosco. Bob in testa al gruppo. Fred e Robert lo seguivano a qualche passo di distanza. Di tanto in tanto, Fred colpiva una pigna o un sasso con un ramoscello mezzo marcio, incrostato di muschio, che aveva strappato da un salice tutto storto. Thomas arrancava dietro al gruppo. Si guardava intorno continuando a rosicchiarsi le labbra. “Non dovremmo essere qui”, sussurrò. 

Fred scoppiò a ridere e fece schizzare in aria una pigna. La videro incastrarsi tra i rami di un ontano. Una gazza inviperita si alzò in volo. Fred imbracciò il rametto come fosse un fucile, strizzò un occhio. “Bang!” 

“Sul serio”, Thomas si leccò le labbra, aveva la lingua secca, impastata di polvere. Accelerò il passo. Tirò Robert per la manica. “Mia madre dice che qui ci vengono le streghe”. 

“Ah, piantala”, Robert gli ficcò l'indice nel fianco e lo spinse via. “Streghe”, sputò davanti a sé. Scosse la testa. “Ti giuro, Tom, a volte mi sembri davvero stupido”. 

Thomas sentì le guance prendere fuoco. Abbassò la testa, si morse il labbro inferiore e strinse i pugni. Non doveva mettersi a piangere. Per nessuna ragione. Piangere era da femmine, che cazzo. 

Nel superarlo, Fred gli diede uno scappellotto. “Sbrigati, fesso, o le streghe ti prenderanno”. 

La sua risata stridula si dileguò nel bosco, tra gli ontani, le querce e gli olmi, come uno spirito appena liberato. Sì, gli altri avevano ragione, le streghe non esistevano... però... 

Thomas alzò la testa. Gli occhi scottavano dietro le palpebre. A chi diavolo era venuto in mente di cercare uova d'uccello proprio lì? Tra tutti i posti possibili, perché si erano dovuti ficcare proprio a Hagley Wood? Si strofinò il naso. C'era un tetto di rami sulla sua testa. Così fitto che quasi mancava l'aria. Rami e foglie, foglie e rami. La luce vi filtrava attraverso come da un colino. Poche gocce alla volta. Bagnavano a stento il sentiero. Era poi davvero un sentiero, quello? Sepolto da una pappa di foglie marcite, erbacce e crochi calpestati. Bisognava proprio farci attenzione per capire dove stavano andando. Per non perdersi. Rabbrividì. 

“Ehi, allora, che stai aspettando?” Era la voce di Bob. 

Thomas trasalì. Gli altri erano andati avanti. Parecchio avanti. Se ne stavano fermi sotto un orribile olmo. Basso e tozzo, pieno di bozzi, tumori legnosi che gli correvano su e giù lungo il tronco. I rami sottili, sottilissimi. Come le zampe di certi insetti. Migliaia di zampe, lunghissime, che puntavano in ogni direzione. Thomas deglutì. Quello era un olmo montano. Un albero delle streghe. 

“A-arrivo!” Thomas si costrinse a camminare. Anche se era difficile. Anche se gli sembrava impossibile. Era come avere i piedi affondati nel terreno fino alle caviglie. 

“Dai, cagasotto: Robbie ha trovato un nido”. 

Bob si stava già arrampicando. Visto da vicino, l'olmo era ancora più spaventoso. Un mostro di legno, che tutti e quattro insieme non sarebbero riusciti ad abbracciare. Che faceva senso immaginare di toccare.

Thomas respirava appena, i polmoni proprio non ce la facevano a espandersi per riempirsi d'aria. Quei rami filiformi che incombevano su tutti loro. Non erano naturali. Immaginò di vederli piegarsi verso di lui, uno alla volta. Con gentilezza, in maniera quasi impercettibile. Afferrarlo per i polsi, le caviglie, il collo, e poi... e poi... Si passò la mano sul viso e tirò indietro i capelli che gli si erano incollati alla fronte. Sbatté le palpebre. Fred gli lanciò un'occhiata e sghignazzò. Stava arrossendo di nuovo. 'Fanculo. 

“Ehi, c'è qualcosa, qui”. La voce di Bob sembrava incerta. Non proprio spaventata, ma quasi. Teneva i piedi incastrati tra quei rami malati, metà del corpo chinato in avanti, come stesse guardando in un pozzo.

Bob raddrizzò la schiena e si voltò verso di loro. Era difficile dirlo nella luce smorta del bosco, ma a Thomas sembrò incredibilmente pallido. L'espressione sulla sua faccia era stranissima, non credeva di avergliela mai vista prima. Le sopracciglia incurvate verso il basso, gli occhi larghi, sgranati. Gli tremava un angolo della bocca. Le dita della mano sinistra artigliavano qualcosa. 

Robert si fece avanti. “Che cos'è?” sussurrò. 

“Uova di struzzo?” Fred si era infilato uno stelo d'erba tra i denti, ma anche lui sembrava essersi accorto dello sguardo strano di Bob e tacque.

Bob scosse la testa. Si afferrò al tronco con una mano e sollevò l'altra, quella che stringeva la cosa. 

“Che cazzo...” 

Thomas si voltò a sinistra e vomitò. 

Un teschio. 

Nell'albero delle streghe, Bob aveva trovato un teschio umano. 

who put bella in the wych elm


Sul teschio c'era ancora un lembo di pelle grigia, secca come cartone, e un ciuffo di capelli irrigiditi dallo sporco. 
In piedi sotto l'olmo, mentre le ombre di Hagley Wood cominciavano ad allungarsi, i quattro discussero cosa farne. Anche se c'era ben poco da discutere. Non avrebbero fatto niente. Assolutamente niente. 

Innanzitutto, loro non avrebbero mai dovuto mettere piede ad Hagley Wood. E poi, anche se nessuno lo avrebbe ammesso ad alta voce, avevano paura. Paura di finire nei guai. Una paura fottuta che chi aveva ficcato quel teschio nell'olmo decidesse di fare la stessa cosa con le loro teste.

Bob mise la mano destra sulla sommità del teschio. Li guardò negli occhi, uno per uno. “Non dite nulla. Noi non siamo mai stati qui”. 

Fred, Robert e Thomas annuirono. Si sputarono sui palmi e posarono le mani su quella di Bob. “Nessuno ha visto niente. Niente. Giurate”.
Giurarono. 

Bob si voltò. L'olmo sembrava osservarli con muta attenzione. Con l'interesse curioso del lupo. Bob prese un lungo respiro, allungò la mano per afferrarsi a un ramo. Rimise il teschio dove l'aveva trovato. Dove doveva restare. 

A passi lenti, ripresero il sentiero. Ad accompagnarli il silenzio del bosco. Unico segno del loro passaggio un tappeto di crochi gialli calpestati, i petali sfatti disseminati tra l'erba. Avevano fatto qualcosa, anche se non avrebbero saputo dire cosa. Era difficile da spiegare quel senso di colpa che si sentivano addosso. Era stato come violare una chiesa. Come strappare i vestiti di dosso a un morto. 

Si separarono senza neppure salutarsi. Storditi da quella camminata che non era stata lunga, ma li aveva lasciati senza energie. Thomas rientrò in casa e si buttò sul letto. Avrebbe voluto dormire per un anno intero, ma ogni volta che chiudeva gli occhi, nel buio si faceva strada il teschio con quei suoi denti strani, il ciuffo di capelli, e lo fissava. Lo fissava. E dalle orbite vuote, timorosi come ragni, si facevano strada i rami dell'olmo. Sottili, aguzzi, flessuosi. Si muovevano nel buio, come antenne. Si agitavano alla ricerca di qualcosa, alla ricerca della sua faccia. Della sua testa.

Thomas saltò la cena. Si arrotolò tra le coperte. Il corpo scosso da tremori che non riusciva a far cessare. Il teschio era sempre lì, dietro le palpebre. Lo aspettava. Il teschio, gli occhi pieni di quei rami impossibili. Era lui. Era il suo teschio. Un cane abbaiò. Thomas schizzò a sedere sul letto. Un urlo gli graffiò la gola. Aveva la maglia intrisa di sudore. Si afferrò la testa tra le mani. Aveva giurato. Ma non... non poteva... stare zitto. Sarebbe impazzito. Se non l'avesse detto a nessuno. Sarebbe impazzito. 

“Papà”. Trovò suo padre in cucina. Davanti a una pinta di birra molto chiara. Thomas si schiarì la voce. Neppure la prospettiva di una cinghiata lo spaventava più, ormai. Appoggiò una mano sul tavolo. Le dita contratte perché smettessero di tremare. “Papà, devo dirti una cosa”. 

[continua...]

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