Halloween tra le righe. Visione d'Inferno di Hideshi Hino (Dynit manga)


“Questa è la storia di un pittore privo di fama che, ossessionato dall'odore e dalla magnificenza del sangue, è precipitato negli abissi dell'Inferno. È la sua confessione raccapricciante, pervasa di follia” 

[Visione d'Inferno, Hideshi Hino, trad. di Asuka Ozumi, Dynit manga, 2019] 
Visione d'Inferno Hideshi Hino


Continuiamo a parlare di cose da leggere ad Halloween. 
Dalla Svezia perversa di Fager ci spostiamo nel Giappone schizofrenico di Hideshi Hino.   

Mangaka horror dal tratto spesso e super deformed, padre di pietre miliari del fumetto come Bug boy e Hell baby, nel 1982 Hineshi Hino si rinchiude nel suo studio per scrivere quello che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere il suo lungo addio ai lettori. Le cose, poi, andarono diversamente. 

Pubblicato in patria nel 1984 e portato da noi nel 1992, Visione d'Inferno è allo stesso tempo testamento letterario e racconto semi-autobiografico. Un ritratto di famiglia allucinato e grottesco, animato da perversioni insostenibili, che galleggia su un fiume di sangue e risuona del lamento incessante dei morti che si trascinano stanchi su strade innevate e cariche di disperazione. 

Sangue, dolore e morte. È la trinità infernale davanti alla quale il protagonista di Visione d'Inferno si prostra. Il sangue diventa il suo strumento d'arte, l'autolesionismo la prova quotidiana cui si sottopone per poter continuare a realizzare le sue visioni diaboliche.  

Attraverso il suo alter ego impazzito, Hino racconta l'arte; il suo modo di concepire una storia nasce sempre da un'esigenza viscerale. La scrittura, per Hino, è un fatto di corpo, più che di mente. L'autore deve sanguinare perché ciò che scrive abbia un valore. L'ossessione è il suo migliore amico.

Visione d'Inferno è una lunga metafora, attraversata da una pletora di personaggi deformi, bizzarri e mostruosi sia nel corpo che che nella mente. I tratti di Hino sono marcati, spessi, consistenti come pezzi di carne. La follia è un tratto distintivo di tutti i personaggi ritratti dall'artista. Una follia collettiva, oltre che personale, che nasce dalla disperazione e dall'impotenza, da un senso di estrema inadeguatezza e dalla sofferenza e anela alla distruzione totale, assoluta. 

Il Giappone ritratto in Visione d'Inferno, è un paese votato alla sopraffazione e all'autodistruzione. Sopraffazione dell'adulto sul bambino, del bambino sull'animale, dell'uomo sulla donna. È un luogo che non offre scampo, una prigione sormontata da un'immensa ghigliottina che lavora alacremente, notte e giorno, senza sosta. È un paese allucinato, percorso da un fiume di sangue nel quale sguazzano le carogne. È un'entità schizofrenica, che si ubriaca per sopportare il ricordo di un passato insostenibile. È la vittima e la schiava del grande re dei demoni infernali incarnato nei funghi atomici di Hiroshima e Nagasaki. 

L'artista folle è figlio di quel re dei demoni. Ha conosciuto l'orrore prima ancora di nascere. La morte è stata la sua prima compagna. La guerra. La bomba atomica. La morte per inedia. Come Hino, l'artista folle ha percorso a piedi la lunga marcia degli sfollati del Manciuko. Ha sperimentato, uno per uno, tutti i gradi dell'orrore. È un orrore fisico, materiale. Profondamente umano. Che non offre rifugio. Che non ammette speranza. 

Leggere Visione d'Inferno è come sprofondare lentamente in un oceano di sangue ribollente, sotto un cielo affogato dalla neve. Senza boccaglio, né respiratore.

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