Spaghetti Western Freakshow. Il risorgimento dei mostri di Paolo Di Orazio







“Da un lato, scaffali a nido d'ape contenevano gli strumenti per incidere, tagliare, segare, trapanare, divaricare, cauterizzare, iniettare, raschiare, spellare, divellere. In cima, teschi, ossa lunghe, ossa corte, braccia, gabbie toraciche e braccia dal sorprendete biancore e ogni variante morfica dell'umana legge organica.” 

[Spaghetti Western Freakshow, Paolo Di Orazio, Watson edizioni, 2020, p. 81]



Paolo Di Orazio è un mostro. 

Lo è stato, almeno, in quel caldo autunno del 1990 quando, una denuncia prima, un'interrogazione parlamentare poi, portarono alla ribalta il mostro. Anzi. I mostri. Creature che, su palcoscenici di riviste come Splatter, Lobotomia o Gore Scanners, deliziavano il pubblico con performance degne di un geek. 

Con grave scandalo di chi, fino a quel momento, i mostri li aveva tollerati solo se ficcati in un barattolo pieno di formalina o, al limite, dietro le sbarre di una gabbia. 

Sulla vicenda, ormai nota pure ai sorci, Tiziano Sclavi ci fece un albo, il 69, per i disegni di Dall'Agnol. “Caccia alle streghe” è forse - non vorrei dire un'eresia - il più politico tra gli albi di Dylan Dog. Di certo, è quello che fa bene riprendere in mano di tanto in tanto, ché tanto i cacciatori di mostri sono sempre in agguato. Ora come trent'anni fa.

Ma sto divagando. 

Paolo di Orazio è un mostro, dicevo. 

Un freak. 

Perché chi scrive - e scrive certe storie - è per natura "diverso". 

Le persone" normali" certe cose non le immaginano. E, se le immaginano, non le scrivono. E, se proprio gli viene voglia di scriverle, non le fanno leggere a nessuno. 

È così, simulando e tacendo, che si mantiene una specchiata patente di "normalità". 

E poco male se, poi, per distrarsi, di tanto in tanto i normali si concedono un giretto tra le roulotte dei fenomeni da baraccone. A lanciare noccioline a un Pinhead, a inorridire davanti alla doppia faccia di un Giano, e a spacciare per pietà la propria pelosa curiosità nei riguardi della Donna-con-quattro-gambe. 

In fondo è per questo - no? - che Dio ha inventato i freak: per divertire, terrorizzare e disgustare chi mostro non è. E mai lo sarà.





E allora prego, entrate, mettetevi comodi. I posti in prima fila costano di più, ma valgono ogni centesimo, credetemi. Il ragazzo dei pop-corn passerà presto – sapete che ha le mani d'aragosta e il becco d'uccello? Solo per voi. Solo per voi. E quando le luci si abbasseranno e il sipario si alzerà, lo Spaghetti Western Freakshow vi darà tutto quello per cui siete venuti: divertimento, terrore, disgusto. E - perché no? - qualche brivido d'eccitazione. 


"Fin dalle origini della storia del mondo"- scrive C. J. S. Thompson in quella chicca che è I veri mostri. Storie e tradizione - “è accaduto che vi siano state, sia tra gli uomini sia tra gli animali, creature anormali o mostruose che hanno suscitato lo stupore dell'umanità”.

Ed è perciò allo stupore - prima ancora che all'orrore e allo splatter - che di Orazio affida il lettore nel momento in cui schiude il tendone del suo Spaghetti western Freakshow.

Ambientato a Fermo, nell'anno del Signore 1882, Spaghetti western Freakshow racconta del dottor Branzini, medico cronenberghiano, e delle sue chimere, uomini e donne tra il mostruoso e il prodigioso, secondo la distinzione che ne fa Ambroise Paré (l'anno è il 1579, perdonerete perciò il linguaggio un po' crudo e dalla sensibilità di un mattone) 

"I mostri sono creature che sono state partorite in modo contrario a ogni consueto procedere e ordine della natura. Chiamiamo per esempio mostro un bambino nato con un braccio solo o con due teste. I prodigi sono fenomeni contrari all'intero corso della natura" [Thompson, p. 50]

Così, nella clinica di Branzini trovano spazio sia "mostri" come Temistocle, Il ragno umano, dotato di quattro braccia e forza sovrumana, che "prodigi" come Serena, La mantide, in grado di piegare alla propria volontà menti, corpi e oggetti. Ed è soprattutto con Serena che Di Orazio si diverte a mettere in scena le sequenze più splatter e oniriche e gore dell'intera storia. 

Dal canto suo Branzini, il medico, è un autentico feticista dei freak. 

Ma a differenza della “Madre dei mostri” di Guy de Maupassant, così come di ma' e pa' Binewski di Carnival Love, il suo interesse è sottratto da ogni logica venale. Il suo è un amore autentico e totale per chi è nato nella “grazia del diavolo”. 

Branzini è affascinato da tutto ciò che è contorsione, soprannumero, eccedenza o sottrazione. Chiuso con i suoi pazienti in un manicomio riadattato a clinica privata, Branzini studia, esamina, seziona, opera e crea anche, con l'aiuto di Serena e di un buon fabbro. Sotto le sue mani quegli uomini e quelle donne si trasformano in impalcature di carne e ferro. Ibridi cronenberghiani che si elevano sulla natura umana e sulla realtà stessa. Semidei. Dei. 

L'incarnazione del soprannaturale. 

“Non c'era altro che lo rendesse più felice nello scoprire cose nuove ogni giorno, grazie ai suoi pazienti, rappresentanti ognuno di una specie a sé per quante ve ne sono tra gli insetti e i mammiferi, individui reduci da un'inerzia mutante. Sono forse essi il ricordo reincarnato di qualche strana razza pre-umana estinta o decimata da quella dominante?” [op. cit, p. 51]



Fino alla fuga verso l'America e l'approdo a New Orleans, terra di alligatori e sensualissime mambo, il Freakshow messo in piedi da Di Orazio è un felice esempio di spaghetti western, dove il West è rappresentato dalla provincia italiana, polverosa e male in arnese, di fine XIX secolo, e la frontiera è quella segnata dalla recente unificazione, che sembra marcare ancora di più la separazione tra élite e poveracci. 

Un far west italianissimo, a partire dal linguaggio colto e sopra le righe, che Di Orazio sceglie di usare per la prima parte, nella cornice di un'Italia fatta di genti rozze e dai denti non troppo puliti, che: 


"si ammazzano per uno sguardo o una parola di troppo il più delle volte fraintese per analfabetismo" [op. cit. p. 45]



Il tutto - perché è di Paolo Di Orazio che stiano parlando, e chi legge non si aspetta niente di meno - cucinato al fuoco pirotecnico di frattaglie, ossa spezzate, membra ricomposte in maniera artistica, spine dorsali slogate, maciullamenti vari ed eventuali che non risparmiano niente e nessuno. E un bel fiasco di sangue appena spillato, a rinfrescare il gargarozzo. 

L'amore per il mostruoso – che è sempre prodigioso e stupefacente – rende Branzini un mostro a sua volta. Anche se non alla maniera di Elsa Mars. Branzini si impasta con i freak, ed è inevitabile – persino auspicato – che un po' della loro carne, della loro essenza, gli resti addosso. 

E forse è un azzardo, forse no, vedere nel medico un alter-ego dell'autore. 

Del resto, l'affetto sincero di Branzini per la mostruosità è un indizio troppo succulento per non cedere alla tentazione di fare dei due un'unica entità. 

Come gemelli siamesi, Branzini e Di Orazio procedono affiancati lungo un identico percorso di esaltazione del diverso e osanna del perturbante. Del quale Spaghetti Western Freakshow rappresenta, in fin dei conti, la sintesi e l'omaggio.

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