JURGEN. Il fantasy in smoking di James Branch Cabell




“Nondimeno sono convinto che in me c'è qualcosa che sopravvivrà. Sono paralizzato dalla viltà, sono confuso da terribili ricordi e rovinato da vecchie follie. E tuttavia sento che in me c'è qualcosa di bello, destinato a durare. […] qualcosa di così prezioso che neppure il critico più severo oserà buttarlo tra i rifiuti”. [Jurgen, James Branch Cabell, trad. ?, Castelvecchi, 2013, p. 128]


Prendi la mitologia, l'arte, la filosofia, la teologia, l'umorismo, la satira, il fascino per gli anagrammi e i giochi di parole, l'erotismo, le riflessioni sulla scrittura, l'epica cavalleresca, le leggende – ho sicuramente dimenticato qualcosa - e shakerali con energia. Versa la miscela in un bicchiere, chiudi gli occhi – magari tappati pure il naso, se vuoi – e butta giù tutto senza riprendere fiato. 

Dopo, ti servirà una sedia. 

Ma finché tieni gli occhi chiusi goditi il momento. Lo senti quello scoppiettio di scintille che dalla bocca scendono a punzecchiare l'esofago per poi esploderti nel cervello? 

Si chiama Jurgen, il cocktail che hai appena bevuto. Uno sparkling sour che, ti ho mentito, andrebbe bevuto con calma, apprezzandone appieno le singole sfumature, gli accenti e i contrasti. L'ideatore? Forse il nome di James Branch Cabell non ti dirà nulla, ma chiedi a Robert A. Heinlein per le referenze. 

Jurgen di James Branch Cabell, Castelvecchi



Romanzo picaresco dalla forte componente satirica, Jurgen è un fantasy pagano che, a voler banalizzare le cose, si potrebbe forse definire una “Divina Commedia scritta negli anni '20”. 
Come Dante, Jurgen – un usuraio e poeta piuttosto in là con gli anni – attraverserà Inferno e Paradiso per ritrovare sua moglie, rapita dal diavolo. Ma se l'accompagnatore del fiorentino era un augusto poeta romano, Jurgen si affida piuttosto al braccio - alle braccia - di una pletora di principesse, maghe, regine, driadi e vampire con le quali intraprende proficui scambi culturali. 


Jurgen si muove in un mondo medievaleggiante, sottratto però a ogni logica temporale. E dal tempo si astrae completamente quando, avventurandosi nella grotta dove sua moglie è scomparsa, si imbatte nel centauro Nesso che gli offre una veste in grado di mutarlo nel suo ricordo di gioventù. 


“Il tempo dorme completamente nudo, Anaitis, e anche se si tratta di una faccenda imbarazzante, noto che gli è capitato un deplorevole incidente.” 

“Dunque il Tempo non genera più nulla, Jurgen, e si limita a riprodurre in continuazione i vecchi fatti, ai quali cambia nome per persuadersi di avere cose nuove con cui trastullarsi.” [op. cit. p. 165] 


Nel corso del suo pellegrinaggio Jurgen si eleva, pur restando sempre se stesso. Passa dalla condizione di usuraio a quello di duca, poi principe, re e imperatore. Si fa consigliere di Lucifero, per smorzare i rigurgiti di una rivolta socialista dei diavoli oberati dal super-lavoro

“La vostra coscienza non esige quindi che riceviate una punizione?” 

“La mia coscienza, signori, è troppo bene educata per pretendere alcunché.” 

[…] 

Fu allora che la folla dei diavoli fece una grande ressa intorno a Jurgen. 

“è bellissimo avere all'Inferno almeno una creatura umana mite e senza pretese. Di solito quelli che piombano qui da noi sono spettri fieri e altezzosi, pieni di un orgoglio intollerabile e di un'incredibile spocchia. […] Non potete immaginare le elaborate torture che pretendono per scontare le loro innominabili malvagità, come se ciò che hanno fatto e che hanno lasciato in sospeso potesse importare a qualcuno”. [op. cit. p. 218] 

fino a raggiungere la carica di papa, in una scalata che lo condurrà al cospetto di un Dio non creatore bensì creato dalla fede di sua nonna. 

Ma, di nuovo, il viaggio non è che la cornice, il pretesto, la crosta della storia, che si svolge al di sotto della trama principale, in un intrico di sottotesti, note a margine invisibili la cui scrittura è affidata al lettore, anagrammi da decifrare e figure retoriche da sbrogliare. La prosa di James Branch Cabell è ricca, caotica e spumeggiante. L'autore padroneggia con sagacia la storia, le leggende e miti che vanno da Oriente a Occidente in un amalgama unico e sorprendentemente raffinato. 

Jurgen è un'allegoria, uno stereogramma in lettere, una stampa di William Morris, un raffinato gioco di richiami e di echi dove, di tanto in tanto, salta fuori l'elemento mitologico più semplice da afferrare, che sembra messo lì come una boa, per impedire al lettore di sprofondare nel tutto nella massa di nomi e rimandi non sempre di facile interpretazione. 

Jurgen. James Branch Cabell



Jurgen è, prima di tutto, un esploratore della coscienza. Un infaticabile sondatore della realtà delle cose, siano esse umane o astratte. Jurgen esamina, con sguardo acuto e spirito pungente, la realtà che lo circonda. Se ne prende gioco, la seduce e l'abbandona ed è da lei sedotto e abbandonato. Cerca di plasmarla e viene plasmato a sua volta. Jurgen è un autore intrappolato nel racconto di un altro. Si scopre personaggio e tenta con ogni mezzo di riscattarsi dal suo ruolo. 


“No, non posso credere che il nulla sia la fine inevitabile di tutto: sarebbe un colpo di scena troppo fiacco per un commediografo così geniale da concepire un personaggio come Jurgen.” [op. cit. p. 154] 


Da puro edonista delle lettere e da amante della parola che smonta e rimonta come fosse un tangram, Cabell si diverte, gioca con i suoi personaggi e con la sua storia. Invita al gioco il lettore. 

E tuttavia il lettore, dapprima incuriosito, finirà per risentirsi, scandalizzato, di certi giochi. Di bisticci letterari che nascondono più di un grottesco doppio senso. 

L'autore verrà richiamato all'ordine e Jurgen, pubblicato nel 1919, verrà messo all'indice un anno dopo. Del sequestro del romanzo si occupa nientemeno che la New York Society for the Suppression of Vice, che accusa autore e editore di aver portato nelle librerie un'opera pornografica.

La vicenda, che si risolve con un'assoluzione di Cabell, verrà inserita dall'autore nella seconda edizione del romanzo. Nel capitolo, espressamente dedicato al processo, Cabell tramuta gli accusatori di Jurgen in un enorme scarabeo stercorario scandalizzato dai poeti che si prendono troppe licenze.


"Ora, per Sant'Antonio! Questo Jurgen deve essere subito relegato nel limbo, perché è offensivo, sconcio, lascivo e indecente." 
[...]
"Bene, ciò mi sembra logico", disse Jurgen, "e tuttavia sarebbe anche bene che ci facessimo guidare dal senso comune. Perché voi signori potete vedere da soli [...] che questi paggi portano una spada, una lancia e un bastone, e nient'altro; e ne dedurrete, spero, che tutta la lascivia è nella mente da insetto di colui che muore dalla voglia di chiamare queste cose con altri nomi”. [op. cit. 207/208]


Delle cinquantadue opere scritte da James Branch Cabell nel corso della sua carriera Jurgen. A comedy of Justice è la sola a essere scampata all'oblio. Quella che, probabilmente anche grazie all'eco del processo, ha goduto più a lungo di una certa fama, finendo per influenzare scrittori del calibro di Fritz Leiber, Terry Pratchet e Robert A. Heinlein. In Italia, oltre al romanzo in questione, nel 1949 è stata pubblicata la sua trilogia dell'Incubo, purtroppo da tempo fuori catalogo. 

“Io non ho mai cominciato e non c'è un briciolo di verità in quanto ricordate dell'anno appena trascorso. Nulla di tutto ciò è mai avvenuto.” [op. cit. p. 302]



Per approfondimenti su James Branch Cabell e la sua opera:

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