Quel mostro che ci portiamo dentro. Il vampiro di Ropraz di Jacques Chessex


È un freddo pomeriggio di febbraio del 1903 quando Rosa Gilliéron viene sepolta nel piccolo cimitero di Ropraz, comune svizzero del Canton Vaud.
Figlia del giudice di pace nonché deputato del Gran Consiglio, Rosa è morta di meningite ad appena venti anni.
Le esequie sono solenni, come solo accade in posti tanto sperduti dove tutti si conoscono e il lutto di uno è il lutto di tutti.
È una fredda sera di febbraio del 1903 e Rosa riposa, nel cimitero innevato, mentre altrove le braci scoppiettano nei camini e i suoi cari si stringono l'uno all'altro, per meglio sopportare il freddo avvilente portato dall'inverno e dal dolore.

Passano due giorni.

Il terzo, Francois Rod e suo figlio scendono a valle per rifornirsi di legna nel boschetto che costeggia il cimitero. Giunti nei pressi del camposanto, Francois lascia il ragazzo a badare al carro e si avventura tra le tombe. Vuole dare un saluto a Rosa. 
Ma la tomba di Rosa è stata violata, e tutt'intorno al miscuglio di terra smossa e neve che circonda il cippo di pietra una confusione di impronte, brandelli di carne, sangue nero, una lanterna a vento semisepolta dai fiocchi che hanno continuato a cadere per tutta la notte.
Francois urla. 
Barcollando, raggiunge una locanda lì vicino per dare l'allarme. In breve, vengono chiamati tutti, dal becchino al giudice al padre della vittima. Il feretro, malamente richiuso dal profanatore, viene scoperchiato. E Rosa si mostra, come mai aveva fatto da viva, ad amici e sconosciuti: le gambe aperte, tagliuzzate, la testa quasi staccata dal collo a forza di morsi, le guance scavate col coltello, il sesso, i seni, amputati, morsicati e sputati. Ovunque tracce di sperma e saliva.
Per aggiungere orrore all'orrore, Rosa è stata sventrata, il cuore le è stato strappato.
Non verrà mai ritrovato.


La notizia di quell'azione abietta e terrificante gela la vallata. Si armano fucili e affilano mannaie. Nelle case di quei paesani di chiara fede calvinista si vedono crocefissi di ogni foggia e dimensione pendere dalle corone d'aglio appese a porte e finestre.
Perché quello che è chiaro a tutti, mentre i poveri resti di Rosa vengono ricomposti, rivestiti e di nuovo inumati, è che chiunque abbia osato profanarne il corpo è un mostro. Uno dei mostri più osceni che possano attraversare posti tanto isolati, dove nel vento si nasconde la risata agghiacciante del diavolo e il sospetto verso lo straniero e lo stravagante è strumento di sopravvivenza.
Un mostro che verrà identificato nel diciannovenne Charles-Augustin Favez, pescato con la braghe calate mentre sta violentando una vacca.
Un vampiro.
Il vampiro di Ropraz. La cui fama travalicherà quel paese sperduto nelle valli svizzere per riecheggiare nell'eco dei quotidiani stranieri.

Jacques Chessex, che a Ropraz si era trasferito nel 1978 dopo aver vinto il premio Goncourt, viene a sapere della storia di Rosa Gilliéron e ne trae spunto per un romanzo che mescola realtà a finzione, tanto che ormai, a più di un secolo dai fatti, è impossibile sapere dove termini l'una e cominci l'altra.

Il risultato finale è un romanzo brevissimo che combina, a una rievocazione nuda e cruda dei fatti, l'estetica del macabro, del cannibalismo e della necrofilia.

Ma la storia del vampiro di Ropraz non potrebbe esistere se non in un ambiente chiuso, soffocante, ai limiti del claustrofobico con le sue superstizioni, i livori, le frustrazioni che sfociano in aperte delazioni. Invidie, gelosie, ripicche che trovano nel delitto commesso ai danni di Rosa una valvola di sfogo, il punto da cui partire per liberare la coscienza e la mente dalla persistente oppressione che quei luoghi suscitano su chiunque vi risieda per troppo tempo. Montagne che si innalzano per schiacciare, foreste che circondano come carcerieri.

Ropraz è un luogo di miseria e rabbia repressa, di segreti e desideri inconfessabili, irripetibili, che il mostro incarnato da Favez mette a nudo nel momento in cui la servetta lo scopre intento a sodomizzare la vacca. La bestialità dell'uno è speculare alla bestialità degli altri, quella della folla di giusti che lo agguanta e che vorrebbe linciarlo sul momento, lì in piazza, che per lui grida “ripristiniamo la pena di morte!” e che in lui vede il riflesso dei propri segreti abomini.

il cimitero di Ropraz @wikipedia

Favez è un debosciato, un ragazzo dall'infanzia segnata; la sua stessa faccia è una maschera mostruosa, con gli occhi perennemente iniettati di sangue, la mascella forte, i denti spaventosi.
Favez è colpevole per il solo fatto di esistere, perché ha osato fare ciò che altri sognano nel chiuso delle proprie stanze mentali. Favez è un mostro al quale l'autore regalerà, non senza una certa ironia, un destino da martire della patria, da santo laico.

Per quanto lo riguarda, Chessex in parte inventa la storia di Favez il vampiro e della donna sepolta e straziata, e in parte racconta i fatti con fedeltà chirurgica, lucida, esasperata come una fotografia in bianco e nero in massimo contrasto, dove la neve che ricopre il piccolo cimitero di Ropraz non è solo bianca: è gelida, e il sangue che imbratta la lapide non è solo nero ma viscido come quel fango primordiale da cui tutti noi siamo impastati.


“Hai giocato quando eri piccolo, Charles-Augustin? Sei stato svezzato troppo presto? Gli animali che non sono stati allattati dalla madre non sanno giocare. Graffiano subito per ferire. Mordono per uccidere. Tu non sei mai stato bambino, Charles-Augustin. Eri un bambino vampiro. Un bambino uccisore. E io ti amo, Charles-Augustin.” [Il vampiro di Ropraz, di Jacques Chessex, trad. di M. Ferrara, Fazi editore, 2009, p.83]

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