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Pietro Pajetta, Der Hass (1896) |
La notte è scesa sul cimitero di Montparnasse.
L'ultimo giro del custode. Il lume teso in avanti, a bagnare una pozza di luce alla volta i viali squassati dalle radici dei pini, le tombe annerite dalla pioggia, i cenotafi enormi che sonnecchiano all'ombra degli aceri, nell'odore acre e consolante di tigli, tuie e frassini.
Segue un percorso che ormai conosce a memoria, il custode, con cautela, stringendosi il bavero al collo, scrutando con pignola attenzione ogni angolo buio, ogni anfratto. Scacciando le ombre con la lanterna di vetro; alla danza della fiammella prigioniera ha cercato tra le lapidi le tracce della creatura che da settimane ossessiona la capitale.
Nemmeno un topo. Un caprimulgo solitario, al riparo di una croce di pietra, strazia con gli artigli una falena. È notte. La notte impenetrabile dei cimiteri. La notte brulicante dei sussurri delle larve. Le giovani morte riposano tra i sudari di seta nelle culle di ciliegio.
Il custode raggiunge il cancello. Lo stridore dei cardini. Un giro di chiave. Passi che si allontanano perdendosi nella notte.
Forse non verrà, pensa mentre si avvia verso casa, il lume che gli dondola al fianco, la gola secca di chi ha paura, forse questa notte il maledetto non verrà.
Parigi, 1847.
Mentre Luigi Filippo è sempre più traballante sul suo trono borghese la capitale si scopre smarrita a fronteggiare l'orrore, un orrore nudo e cruento fatto di corpi dissepolti, ridotti a pezzi e divorati.
Non Dracula, che ancora non è nato, ma Lord Ruthven il dannato. È lui il responsabile, è lui il vampiro sbarcato sulla Senna. E corre, il vampiro, di sepolcro in sepolcro. La sua fame abominevole, fame di carne, fame di donne, è incontenibile.
Si cala nelle fosse scavate di fresco, affonda gli artigli mostruosi nella terra grassa e viscida. Scoperchia le tombe, strappa i morti dal loro giaciglio, li ripulisce dei primi vermi, li sveste, li bacia. La dolcezza degli amanti svanisce in fretta, cede il posto alla frenesia delle volpi che fanno scempio dei pollai. Come se quei corpi ancora intatti fossero un insulto verso di lui, signore della notte, demone imperfetto e deforme destinato a un'eterna consunzione. Il vampiro spalanca la bocca e divora. Un pezzo alla volta, mordendo la carne ancora morbida, tiepida del calore della fossa, strappando muscoli e tendini, mozzando teste e arti, mutilando, sventrando.
La notte è risucchio, rumore di masticazione, mugolii e gemiti che assordano i sepolcri.
All'alba le fioraie dispongono nei panieri i mazzetti luttuosi, il custode apre il pesante cancello, ed ecco i primi visitatori, ed ecco il cimitero che si riempie di urla. Il vampiro! Il vampiro! I pianti sgomenti dei parenti riecheggiano tra i viali umidi di brina mentre custode e poliziotti vagano tra le tombe con aria grave, carica di compassione per quei poveri resti straziati, e raccolgono in un sacco di iuta qui un occhio là una manciata di dita.
Il vampiro è feroce, non conosce pietà. Né per i morti né per i vivi.
Ripuliti da sperma e saliva, i corpi vengono ricomposti. Grossolani punti di sutura, nuovi abiti a nascondere le mutilazioni e gli squarci. Una benedizione frettolosa. Di nuovo i chiodi conficcati nel cofano, la terra gettata sul legno. Di nuovo la notte perenne della fossa. Di nuovo l'oblio. La pace, che questa volta si spera sia davvero eterna.
Il vampiro di Montparnasse, come viene presto battezzato dalla stampa, fa strage di morti per due lunghi anni, alternandosi tra Montparnasse e Père Lachaise. Le sue vittime non sono solo candide fanciulle ma ogni corpo che risvegli in lui il desiderio, la fame necrofila e cannibale che lo porta a stuprare i cadaveri per poi dissezionarli con scientifico sadismo. Ogni mutilazione, ogni morso, ha in sé una duplice natura, e la voglia di deturpare si combina alla voglia di possedere.
Per due anni, dal 1847 al 1849 il vampiro rovista nei cimiteri, lasciando gli avanzi sparpagliati tra i vialetti e gli angeli di pietra. Ormai sembra impossibile contenere una creatura come quella, figlia del demonio e della notte. Il vampiro trascende ogni forma umana. È un mostro, uno spettro. È entità aliena e inafferrabile.
La forza pubblica interviene con mano pesante. Si studiano trappole. Se ne allestisce una, una macchina infernale: filo spinato collegato a un fucile caricato a pallettoni. La trappola è piazzata sulle mura di cinta del Montparnasse nel marzo del 1849.
La polizia si ritira. Il cimitero trattiene il respiro mentre la notte cala inghiottendo ogni ombra.
Un fruscio. Imprecazioni. Poi, improvviso, ecco il boato dell'arma da sparo e il grido sorpreso, dolorante, persino incredulo del vampiro. Che tuttavia riesce a fuggire. Ferito, il vampiro si dà alla macchia tra i vicoli e le rue. Inafferrabile. Ombra. Fumo.
La stampa dispera ancora. Come si può pensare di mettere agli arresti uno spettro?
Ma lo spettro sanguina, ha bisogno di cure.
E si presenta, il giorno dopo, all'ospedale di Val de Gràce.
Il vampiro è ferito a una gamba, il suo nome è François Bertrand. Sergente François Bertrand, di anni ventisei. Il sergente vampiro.
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Messo alle strette da medici e gendarmi, Bertrand confessa. È un peso troppo grande da portare, spiega. In qualche modo si sente rinfrancato, ora che è finita.
I parigini tuttavia sono sbigottiti. Quell'uomo di corporatura minuta ma in forma, con i baffetti curati, l'aspetto ordinario, azzimato. Non c'è traccia sul suo volto, nella conformazione del cranio, a dichiararne con franchezza la natura mostruosa. Bertrand non è un vagabondo, non è un criminale. Il vampiro è un sergente dalla condotta impeccabile, un uomo dalla carriera superba.
E allora come. E allora perché.
Paradossalmente, la cattura del vampiro non provoca quel sollievo che tutti si erano aspettati. La sua scoperta, al contrario, genera nuove paure. La fisiognomia dice ben altro. Bertrand è un'anomalia. Dove sono gli occhi iniettati di sangue, dov'è la mascella prognata, dove sono le zanne, i canini. Chiunque potrebbe...? Chiunque potrebbe.
Trascinato davanti al tribunale militare nel giugno del 1849, Bertrand ammette candidamente le sue azioni. Racconta dell'infanzia passata a torturare piccoli animali. Uccelli, gatti, cani. Dei sogni indulgenti, sul morbido letto del seminario di Langres, di corpi di donna sempre privi di vita. Corpi che si abbandonavano senza pudore né resistenza alle sue fantasie. Fantasie sessuali, fantasie crudeli. Come i corpi che ha violato, Bertrand si concede ai giudici senza nascondere nulla. Al medico chiamato a esprimere una perizia sul suo conto, rivela anzi che lo stupro dei cadaveri era solo il preludio, l'antipasto per il banchetto vero e proprio.
(...) Posso dire di aver provato più piacere nel mutilare il cadavere dopo averlo stuprato, che non nell'indulgere ad ogni sorta di profanazione su di esso. Sì, la monomania distruttiva è sempre stata in me più forte della monomania erotica, questo è sicuro, e non credo che mi sarei mai esposto allo stupro di un cadavere se non fossi riuscito a distruggerlo in seguito".
Racconta Bertrand, senza che nessuno lo trattenga, delle notti passate a dissotterrare, violentare e mutilare i corpi ancora umidi delle lacrime dei parenti:
"Lo coprii di baci e lo stringetti selvaggiamente al petto. Quanto si può godere con una donna viva non è nulla a confronto col piacere che provai. Dopo che lo provai per circa un quarto d'ora, tagliai il corpo, come di solito, e ne strappai le interiora. Poi seppellii di nuovi il cadavere."
Il verdetto è unanime, Bertrand è colpevole, colpevole di profanazione di cadavere, colpevole di violazione di sepoltura. Viene condannato a un anno di arresto, la pena massima per quel tipo di reato. Gli psichiatri che l'hanno esaminato propongono di scambiare il carcere per il manicomio, la proposta non viene accolta.
Liberato nel 1850, Francçois Bertrand si dissolve tra la folla e viene presto dimenticato.
E c'è chi lo vuole suicida, annientato dalla propria stessa natura.
Una fine romantica, per il vampiro.
Una fine da romanzo.
La verità, tuttavia, è più prosaica.
François Bertrand, che dimessi gli abiti militari aveva trovato impiego come bottegaio, muore nel proprio letto, munito dei conforti religiosi, il 25 febbraio del 1878.
Il sergente vampiro, primo caso accertato e documentato di necrofilo, lascia una moglie e quattro figli a piangerne la scomparsa.
Ora la bara è chiusa. I salmi recitati. Il becchino senza nome ha gettato l'ultima manciata di terra nella fossa. Arriva la notte, arriva il freddo. Vanga sulla spalla, l'uomo si avvia al cancello. Cigolio di cardini. Silenzio.
Fonti:
Stavo per scriverne la storia ma tu sei stata molto più brava di quanto sarei potuto essere io.
RispondiEliminaGrazie Nick, dopo averlo citato nell'articolo su Carl Tanzler mi sono sentita in dovere di approfondirne la figura. Ma, sai, sono del parere che si possa raccontare una storia usando approcci diversi, e trovo il tuo modo di rapportarti ai fatti di cronaca ordinato, preciso e coinvolgente.
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