“una piaga magica sta dilagando in Serbia da un po' di tempo. Quelli che sono semplici morti e sepolti stanno uscendo indisturbati dalle loro tombe per uccidere i vivi.” [da Vampiri, Nick Groom, trad. di D. Pitter, Il saggiatore, 2019]
A Medwegya, villaggio serbo non molto distante da Belgrado, la vita scorre con la solita pigra lentezza. È una vita tranquilla anche se faticosa, con le galline che scorrazzano nel cortile e l'odore di fieno che riempie l'aria sul finire dell'estate.
Non è mai successo nulla di eclatante a Medwegya. Le solite beghe tra vicini, i pettegolezzi scambiati mentre si sgranano pannocchie sotto il pergolato. E la terra. La terra che ti entra dappertutto in casa, nelle scarpe, in bocca. La terra che dà e accoglie: quella del campo appena arato, quella del cimitero gravido di fosse.
È il 1727 e Arnold Paole ha appena terminato il suo periodo di servizio nell'esercito.
Ha combattuto lontano da casa, Arnold, si è trovato faccia a faccia con i turchi. Altri non ce l'hanno fatta, lui è stato più forte o, forse, solo più fortunato. A casa l'aspetta Nina, promessa sposa. Arnold torna per mettere su famiglia. Dismesso il fucile, è pronto a imbracciare attrezzi che gli sono più congeniali: la zappa, il forcone, la falce.
Ma il fato, si sa, ha un senso dell'umorismo disumano.
E così, poche settimane dopo il suo ritorno Arnold Paole, il soldato che è uscito incolume da tante battaglie, muore schiacciato da un carro di fieno.
Il pianto inconsolabile di Nina, vedova senza essere sposata, lo accompagna lungo la strada che dalla chiesa porta dritto al cimitero. Gli occhi gonfi di dolore sotto il velo nero, Nina non può fare altro che assistere al pasto della fossa. La morte ha inghiottito il suo uomo e, con lui, il suo futuro.
E, tuttavia, alle spalle di Nina e del sacerdote c'è già chi, la testa china, mormora e borbotta.
La terra consacrata è certo un deterrente, ma chissà se sarà sufficiente a tenere a bada il cadavere dell'ex-soldato. Perché, mentre la salma di Arnold veniva ricomposta, una voce ha cominciato a spandersi per il villaggio di Medwegya. Una voce che ha a che fare con la guerra e i turchi, noti vrykolakas. Vampiri. Esseri d'oltretomba.
La voce senza volto si carica di aneddoti, si arricchisce di dettagli.
Arnold è stato morso da un turco in battaglia, assicura la voce. Ha tentato di purificarsi, posso giurarlo sulla mia testa che è stato lui a raccontarmi di averlo fatto. E come? Com'è che avrebbe fatto? La voce sogghigna: ma lo sapete bene tutti come si deve fare! Si deve mangiare la terra sulla quale quel mostro è crepato, ci si deve spalmare il corpo con il sangue infetto di quella carogna durante il plenilunio. Ma chi può dire se quelle medicine siano davvero efficaci? Lo sapete bene, così come lo so io, che in verità il solo modo per liberarsi dalla maledizione del vampiro è farsi arrostire su una pira.
Un mese passa dalla morte di Arnold Paole. Le voci sono tornate semplice chiacchiericcio indistinto. Ma ecco che, allo spuntare della mezzanotte del trentesimo giorno dalla sepoltura, il vampiro, come offeso da tanto silenzio, comincia ad agitarsi nella sua tomba.
Al primo caso di morte sospetta la gente si chiude in casa. Si rinserrano le imposte, si puntellano gli usci. Tutto inutile. Il vampiro passa attraverso porte e finestre. Si fa beffe dell'aglio e degli scongiuri. Altri tre perdono la vita.
Il villaggio di Medwegya insorge. Possibile che si debba morire così? Si chiede a gran voce l'intervento delle autorità. Il vampiro deve andarsene! Che i morti restino morti! La tomba di Paole viene scavata e la cassa riportata alla luce. Sono passati quaranta giorni dalla sepoltura e il corpo non potrebbe apparire più vivo di così. Sembra persino più florido di com'era allora, quando la cassa venne chiusa.
“scoprirono che il corpo era completo e intatto, con sangue fresco che gli sgorgava da occhi, naso, bocca e orecchie. La camicia, il sudario e la bara erano intrisi di sangue” [da op. cit.]
Guardate quelle unghie, lunghissime e affilate, guardate la barba, i capelli. Guardate quelle labbra, gonfie come quelle di un gottoso, come si piegano nel sorriso vigliacco degli arcidiavoli. La voce aveva ragione! Paole è un vrykolakas, un vampiro, e come tale va trattato.
Un paletto di biancospino passa di mano in mano fino a raggiungere il primo della fila, l'uomo chiamato a compiere quell'atto di carità cristiana. Un medico e un taumaturgo camuffato da boia che pianta il paletto nel cuore della creatura. La quale spalanca gli occhi ed esplode in un urlo ferino, un ruggito agghiacciante.
La gente lì intorno non ha mai visto niente di simile. Un conto sono i racconti delle vecchie streghe chine sul focolare, un altro è vedere con i propri occhi quella cosa che balla inchiodata alla cassa come un ragno trafitto da uno spillo. Il corpo sanguinante di Arnold Paole viene gettato nella pira appena allestita. Le ceneri disperse in fretta nella tomba.
I quattro che il vampiro ha ucciso e infettato sono riesumati e trattati allo stesso modo.
Medwegya può tirare un sospiro di sollievo.
E tuttavia quel sollievo dura ben poco. Perché il vampiro è stato sconfitto, è vero, ma non lo è stato il suo fetido influsso.
L'infezione vampirica ritorna, e più virulenta di quanto non fosse stata all'inizio.
È il 1732. Uno alla volta, notte dopo notte, sono in tredici a morire. Bambini e donne per lo più, che giurano sul letto di morte di aver visto l'ombra di un vampiro, di averne sentito l'insopportabile peso sul petto.
Questa volta a indagare viene inviata un'equipe medica. Tutti professionisti con un'ampia conoscenza della fisiologia, ai quali viene ordinato di presenziare alle esumazioni, studiare le salme, redigere rapporti.
Dei riesumati, solo due mostrano chiari segni di decomposizione. Gli altri appaiono floridi come il giorno in cui sono stati stretti nel sudario. Che è stato masticato, un altro segno conclamato della loro natura di non-morti.
Così, mentre i becchini lavorano come da tradizione, decapitando e bruciando i cadaveri degli appestati, i medici indagano sulle cause di questa seconda ondata di vampiri.
Arnold Paole è cenere da ben cinque anni, eppure è proprio a lui che il villaggio attribuisce queste nuove morti. E la forma del contagio è ben curiosa.
Quando ancora era un vrykolakas, per saziare la sua fame incontenibile Paole non si era limitato ad assalire gli umani ma aveva banchettato anche con alcune pecore. Le quali pecore vampirizzate, lungi dall'essere cremate, erano state in seguito macellate, le carni vendute e mangiate.
Quello di Arnold Paole non è perciò solo uno dei primi casi documentati di vampirismo, ma anche del primo caso di contagio vampirico a posteriori.
Il rapporto che segue la vicenda di Arnold Paole – redatto da uno dei chirurghi militari inviati a Medwegya, il dottor Fluckinger – darà il via alla stampa di una serie di pamphlet, settimanali, libri e discettazioni sul vampirismo che da argomento di folklore si trasformerà rapidamente in oggetto di dibattito scientifico, teologico e filosofico.
La relazione Fluckinger influenzerà anche la letteratura, contribuendo alla nascita del vampiro letterario moderno. è infatti il 1748 quando su “Il Naturalista” appare la poesia di Heinrich August Ossenfelder, “Der Vampir”
And as softly thou art sleeping
To thee shall I come creeping
And thy life’s blood drain away.
And so shalt thou be trembling
For thus shall I be kissing
And death’s threshold thou’ it be crossing
With fear, in my cold arms.
Fonti:
Nick Groom, Vampiri, trad. di D. Pitter, Il Saggiatore
Narrazione suggestiva per una storia da far venire i brividi.
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