TERRENO DI SEPOLTURA di Davide CAMPARSI

“Non ci sono innocenti. C'è solo la fame, e quel che deve essere fatto per saziarla”.
[Terreno di sepoltura, Davide Camparsi, Nero Press edizioni, 2016]

Attenzione: la presente recensione può contenere tracce di spoiler.



Cominciamo dunque questo mese dedicato alla terra e alle cose brutte che possono capitare in campagna con una piacevole novella che di che porta la firma di Davide Camparsi: Terreno di sepoltura.

Opera vincitrice della terza edizione del Premio Polidori indetti da Nero Press, Terreno di sepoltura non apparterrà al gotico rurale ma è comunque un buon horror montanaro, che parla di divinità sepolte e affamate e uomini costretti, loro malgrado, a investirsi del ruolo di sacerdoti per soddisfarne i capricci.

Da queste parti ho già avuto modo di parlare di Davide Camparsi
Del resto, si tratta di un autore che chi bazzica la narrativa fantastica ha per forza sentito nominare almeno una volta in vita sua. Quello che più apprezzo della scrittura di Camparsi è il modo in cui racconta le sue storie: all'inglese. Con uno stile calmo, pacato e riflessivo l'autore veronese porta in scena autentici orrori che sono solo in parte quelli classici della narrativa di genere. Nelle sue opere c'è sempre una violenza sotterranea - accompagnata da una certa gentile, pietosa malinconia di fondo - che fa capolino di tanto in tanto, strappa qualche brandello di carne e torna a nascondersi. Come un ragno. Come il mostro vorace che vive nel terreno di sepoltura.

Caratteristica che ritroviamo anche in questo racconto incentrato su un uomo che vive una maledizione di famiglia, e che regolarmente è costretto ad ammazzare gente per nutrire il dio che abita il Corno Nero, la montagna in cui vive assieme al figlioletto.

È facile immaginarsi Harold come un boscaiolo dalla barba lunga e la camicia a scacchi. Un po' nonno di Heidi in versione giovane. Destinato a fare un lavoro schifoso senza quel compiacimento religioso che ci si aspetterebbe da uno che, in fondo, è lì in veste di officiante di un culto probabilmente millenario. Harold è la balia del dio, obbligato a prendersene cura per non scatenarne le ire. Perché quel dio, proprio come un bambino particolarmente capriccioso, se si arrabbia è in grado di fare male. Molto, molto male.

Come quella volta in cui ha tentato di porre un freno all'ingordigia del suo dio, rimettendoci una moglie.

Così Harold accetta di fare ciò che deve, ma senza convinzione, senza fede. La sua è una condanna. Un dovere, appunto, che non gli lascia scampo. Il sacrificio di un uomo che sente su di sé la responsabilità per tutto il genere umano.

Accanto a Harold c'è Jakub, bambino cresciuto troppo in fretta, che cova nei confronti della creatura nascosta sotto terra un rancore che ben presto si trasforma in potere. Perché se è vero che Harold è il personaggio più attivo del racconto, è altrettanto vero che Jakub ne è il protagonista. È suo l'arco narrativo più pronunciato.
Armato della fida Excalibur, la vanga che suo padre usa per nutrire la cosa senza corpo che abita la montagna, Jakub evolverà nel corso di un tempo brevissimo, arrivando a opporsi e a sconfiggere – almeno momentaneamente – la divinità affamata.

Terreno di sepoltura è uno strano ma piacevole ibrido tra horror e fantasy, a partire dalla spada/vanga magica, all'ambientazione dal sapore così tipicamente arturiano, fino al rapporto tra Harold, il re-sacerdote di un culto che disprezza, e suo figlio, il cavaliere dall'animo puro che, in una sorta di percorso iniziatico, sarà costretto a confrontarsi con le sue paure e lo spettro di sua madre in vista dello scontro con il drago.

D'altronde Camparsi ha alle spalle una lunga carriera come scrittore fantasy, con un gusto sottile per le ambientazioni classiche, che padroneggia con grazia e capacità. Ed è proprio questa grazia, questo modo così garbato e asettico di raccontare la storia che rende le ripetute esplosioni di violenza e orrore tanto efficaci. È un contrasto troppo netto per passare inosservato. Un contrasto naturale, bilanciato, come un chiaroscuro in un dipinto di Caravaggio.

Né l'orrore si limita a quello dei morti che ritornano dalla tomba (zombie che mi hanno ricordato i morti viventi di Hyatt Verrill per l'indistruttibile tenacia); è qualcosa di più ordinario. È l'orrore di una ragazzina obbligata a prostituirsi, quello di una badante che tortura la sua assistita. È l'orrore dell'uomo, a sua volta una riproduzione in miniatura del dio che alberga la montagna: volubile, crudele, indifferente. Un mondo in cui tutti sono colpevoli di qualcosa, e l'espiazione non può che avvenire attraverso il sacrificio a un dio più forte, più antico.

Se vogliamo, il limite di Terreno di sepoltura è che funziona benissimo finché il potere e le ripicche di questo piccolo dio dimenticato, quasi un lare della famiglia di Harold, restano confinate tra le valli cinte dal Corno bianco e Corno nero, non altrettanto quando queste, per rimarcare il tema principale della storia, strabordano dai confini del suo orticello. 

Il collegamento con i fatti di cronaca recenti (Fukushima, tanto per citarne uno), pur interessante come approccio, carica quella creatura invisibile di una forza che risulta difficile attribuirle. Per me, cresciuta nel mito di divinità che avvizziscono quando nessuno più le ricorda, un dio che può scatenare eventi di portata mondiale ma che è venerato così poco è un'incongruenza. Sebbene sia anche vero che l'autore ci lascia con il dubbio che sia Harold che Jack ci credano troppo a quel potere, e che abbiano finito per autosuggestionarsi su quello che il loro dio è in grado di fare.

Nulla da eccepire invece sulla tecnica e la prosa, sempre garbata ed efficace. Quando scrive, Camparsi non sbrodola di un millimetro. Va dritto per la sua strada, taglia le frasi a rasoio e le cura come fossero un roseto, con figure retoriche poetiche ma mai fini a se stesse.

In conclusione, Terreno di sepoltura è un buon horror, che solleticherà il palato dei fan del fantastico. Da leggere all'ombra di un sempreverde durante un'escursione, o in campeggio, davanti a un fuoco scoppiettante, mentre tutt'intorno la montagna canta il silenzio della notte.

“C'erano cose nel buio. Mostri in agguato tra le pieghe delle tenebre, pronti a sgusciar fuori e ghermirti, se non facevi attenzione. Se smettevi di credere loro, riponendoli in un angolo della mente, come sciocche e polverose favole di bambini.” [Davide Camparsi, op. cit.]

2 commenti

  1. Ho letto diversi racconti di Davide Camparsi, specialmente quelli pubblicati con la RiLL, secondo me è uno di quei nomi da tenere presente per il futuro dell'horror italiano

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Oltretutto è una persona di rara gentilezza, un garbo che coinvolge anche la sua scrittura. Io ho avuto la fortuna di incontrarlo a Stranimondi e posso dirti che è stato davvero piacevole scambiarci due parole. Se non l'hai letto, recupera Tre di Nessuno. Esula dal fantastico, ma è un ottimo noir alla Fargo.

      Elimina

I commenti sono ciò di cui un blog si ciba.

Perché il tuo commento sia pubblicato ricorda di mantenere un tono civile e di rimanere in topic rispetto all'argomento del post, e mi raccomando: non inserire dati sensibili come email o altro.

Prima di essere pubblicati tutti i commenti sono sottoposti a moderazione.

Grazie