IL GRANDE DIO PAN di Arthur MACHEN

“Un infinito silenzio parve cadere su ogni cosa e il bosco ammutolì. Per un momento si trovò faccia a faccia con una presenza che non era né uomo né bestia, né viva né morta, ma tutte le cose fuse assieme, la forma di ogni cosa eppure priva di ogni forma.” [Il grande dio Pan, Arthur Machen, trad. di M. Zapparelli Olivetti, Adiaphora edizioni, 2018, p. 33]
Il grande dio Pan recensione

Ci sono storie che hanno fatto così tanta strada, attraversato epoche e confini, da essersi meritate a pieno diritto il titolo di classici.

E Il grande dio Pan [tit. or. The Great God Pan], novella di Arthur Machen pubblicata per la prima volta nel 1894, può senza dubbio fregiarsi della qualifica di classico della narrativa weird.

Prolifico scrittore di una narrativa fantastica che pescava a piene mani dal folklore e dalle suggestioni naturalistiche del Galles, Machen viene definito “padre dimenticato della weird fiction” da H.P. Lovecraft in una postfazione del 1927 che si trova in appendice al presente volume edito da Adiaphora edizioni.

Nel nostro viaggio tra opere appartenenti al gotico rurale, Il grande dio Pan rappresenta senza dubbio un'eccezione. Perché in fondo ci troviamo davanti a un racconto per buona parte urbano, ambientato per di più in una metropoli industriale, come la Londra fine XIX secolo. La Londra in cui imperversava Jack lo Squartatore, e che vedeva il proliferare di una povertà ai limiti dell'indigenza in slums prossimi a quartieri ricco borghesi dove si gozzovigliava fino a tarda notte, spettegolando e fumando sigari grossi due dita.

Ma è il soggetto del racconto a permettermi di inserirlo nella tematica di questo mese.
Pan, il terrificante dio della natura e delle selve, la creatura per metà capro e per metà uomo che si confuse più tardi con Sileno, e che vedeva in Dioniso un compagno di giochi piuttosto affine (entrambi divinità gaudenti, ferine che vivevano da e per i boschi e conducevano alla follia per capriccio o vendetta). 
Pan, che Machen associa a Nodens, “Il Cacciatore”, divinità celtica la cui più importante sede di culto si trovava proprio nella regione in cui l'autore nacque e visse.

Affascinato dai miti pagani della sua terra e quelli remoti della Grecia antica, dell'antica Roma, Machen scrive della natura più spesso di tanti altri, la rende protagonista, la pone al centro della sua narrativa, come accade in quell'altro classico dell'horror naturale che è Il terrore.

Il grande dio Pan combina insieme questi elementi – il mito greco, gli antichi riti pagani del Galles, la campagna inglese – per dare vita a un racconto che sposa il classicismo alla modernità.

Quello che ci troviamo a leggere è il racconto di una nascita mitica, compiuta grazie a strumenti del tutto “moderni” (almeno per l'epoca in cui Machen scrive). 

Il bisturi di un mad doctor un po' stronzo (“ho salvato Mary quand'era una bambina dai bassifondi e da una morte quasi certa per inedia: penso che la sua vita mi appartenga e che io possa disporne come meglio mi aggrada”, dirà a proposito della donna destinata a vedere il dio-capro) è lo strumento che permette al dio Pan di palesarsi al mondo. Scienza e alchimia permettono a Raymond, lo scienziato in questione, di evocare Pan.

Ma Pan non si limita a mostrarsi a Mary, la cavia di Raymond. Facendo onore al suo mito, Pan ne possiede la mente e il corpo, e il risultato è la nascita di una creatura impossibile. Un semidio osceno e spaventoso, un essere amorale giudicato eccessivo perfino nei bordelli più malfamati di Londra. Una creatura dalle forme molteplici, che seduce e distrugge in assoluta libertà, senza freni né limiti.

Dal punto di vista formale non si tratta di un racconto perfetto. Machen usa in maniera generosa le coincidenze per sciogliere l'intreccio, e il finale risulta affrettato, con una soluzione grossolana che risulta piuttosto forzata.

Ma è nel modo in cui l'autore racconta la storia, sono le descrizioni di una natura mai così incantevole, di una Londra vittoriana mai così vivida, e grigia, e impastata di smog e languide luci tremolanti nei lampioni a gas a rappresentare la forza del racconto.

Il grande dio Pan è un'opera suggestiva, dove le impressioni vincono anche su uno sviluppo non del tutto convincente

È nel palesarsi di Pan e nell'atto finale, in quella dissoluzione del corpo da film dell'orrore come nella sensazione di pericolo incombente che si avverte per tutta la lettura - come se un paio di occhi terrificanti ci seguissero pagina dopo pagina - che sta la grandezza di Machen e di questo piccolo classico della letteratura di genere.

“E, in quel momento, il sacramento del corpo e dello spirito fu dissolto e una voce parve gridare: “Andiamo via di qui”. Poi ci furono le tenebre dell'oscurità da oltre le stelle, l'oscurità eterna.” [ibidem]

6 commenti

  1. Hai ragione, si tratta di uno dei grandi classici dimenticati e sottovalutati della narrativa fantastica, questo però credo dipenda dalla personalità di Machen stesso che in vita si comportò spesso come un outsider e la cosa finì per riversarsi anche sulle sue opere e sul come vennero accolte dal pubblico.

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    1. Che poi, il declino vero e proprio cominciò negli anni venti - più o meno quando Lovecraft scrisse quella postfazione. Fa specie leggere come un autore che aveva avuto tanta fama all'inizio della sua carriera, si sia trovato progressivamente a vivere in una situazione che rasentava l'indigenza.

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  2. Che classico hai ripescato oggi! Uno di quei libri che rileggo anno dopo anno a cadenza regolare.
    Hai ragione quando dici che ci troviamo davanti a un racconto per buona parte urbano, ma le suggestioni di una natura ancestrale e selvaggia restano e si amalgamano perfettamente con l'immagine della Londra plumbea e un po' tetra della prima era industriale. Direi che gli stessi difetti che hai rilevato in questo libro io li ritrovo anche, ad esempio, ne "La collina dei sogni", che infatti mi è piaciuto moltissimo fino quasi alla fine ma mi ha molto delusa nel finale. "Il terrore" invece ancora mi manca, ma l'ho appena comprato e conto di leggerlo prestissimo.

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    1. Ciao Simona. Sì, le parti naturalistiche sono forse la parte più affascinante del romanzo. Il trasporto con il quale Machen descrive il bosco e le sue suggestioni sono frutto della penna di un uomo che amava trascorrere il proprio tempo libero a contatto con la natura.
      La collina dei sogni l'ho inserito da poco in wishlist, perché tratta di un argomento che personalmente ho sempre trovato affascinante. e poi a Machen le suggestioni gli riescono proprio bene. Peccato per il modo sbrigativo in cui decide di chiudere la faccenda di Pan, ma ce lo facciamo andare bene lo stesso, via.

      Il terrore è un bel testo, soffre un po' soprattutto nella parti iniziali, ma quando ingrana offre una bella tensione. Anzi, quando l'hai letto, se ti va, passa per farmi sapere le tue impressioni! Mi farebbe piacere.

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  3. Ho conosciuto Machen studiando gli autori che amarono inventare libri falsi da scambiarsi, ma non ho mai letto un suo romanzo. Già mi intrigava prima, ora con questa recensione mi stuzzica ancora di più ;-)

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    1. Ciao Lucius, guarda, al netto dei difetti Machen è proprio un autore da mettersi in libreria. Se hai scritto un articolo sugli pseudobiblia devo assolutamente leggerlo!

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