NERO METAFISICO. 23 racconti tra la carne e l'inferno di Paolo Di ORAZIO

Non si può essere invisibili. Il fatto che io sia riconoscibile è una certezza che mi svuota poco a poco dell'anima, mentre io riempio il mondo di me, di segni, impronte, prove della mia presenza, capelli, frammenti, vecchi abiti e cose che ho usato. Mi disperdo come un cancro al vento.
[da Blocco nero in Nero metafisico, Paolo di Orazio, NPE, 2016, p. 301]
Paolo di Orazio racconti

“Questo libro non è per te” recita la dedica di Casa di foglie, il mitico, l'introvabile (non ancora per molto, comunque) romanzo di Mark Z. Danielewski.
E così vorrei cominciare questa recensione a Nero metafisico di Paolo di Orazio, edito da Nicola Pesce editore.

Questo libro non è per te.

Questi racconti non sono per voi.

Non lo sono per chi già davanti a Stephen King si sente venire meno. Non lo sono per chi pensa che la narrativa debba porsi dei limiti. Non lo sono per chi considera la letteratura di genere una cloaca immonda, dove finiscono a scrivere autori senza spessore.

Questo libro, questi racconti non sono per voi.
A meno che non vi piacciano le sfide.

A tutti gli altri, invece, dico “benvenuti”.
Benvenuti a questo festival dell'eccesso e delle parafilie, a questo parco a tema dove i binari delle montagne russe sono colonne vertebrali strappate da vittime recalcitranti e i festoni che sventolano dalla casa degli specchi interiore sgocciolanti. Benvenuti in un vortice psichedelico, dove lo splatterpunk fa da giullare e cicerone, dove il weird si insinua lentamente tra le ombre di palazzi che affacciano su strade asfittiche, e il sesso è un'esplosione di viscere e orgasmi sullo sfondo di pratiche magiche che mescolano il sacro all'osceno.

Nero Metafisico è una raccolta di ventitré racconti scritti da di Orazio nel corso di quasi un trentennio, dal 1990 al 2016, suddivisi in tre grandi aree tematiche.

Ad aprire la danza macabra è Serpenteria, teatro magico dove l'occulto e la religione si mischiano, spesso sullo sfondo di una realtà alternativa, in una capitale trasformata in una boschiana Babele teocratica. Sono i racconti che portano in scena le parafilie più esplicite, quelli in cui la magia nera e la Santeria recitano le loro formule magiche su corpi dilaniati in un poltergeist di scene incontenibili, estreme, catalizzanti. E se vi pare di sentire da qualche parte il richiamo seduttivo di Pinhead, beh, non siete in errore. In Serpenteria il sesso, assieme alla sua controparte, diventa strumento di evocazione. Eros e Thanatos, il dolore e il piacere afferrano personaggi e lettore, trascinandoli senza possibilità di fuga fin nella fossa più profonda dell'inferno.

Con Limboscopìa ci spostiamo su un piano di realtà ancora più vacillante, in un limbo dove coesistono creature vive e morte, ibridi parainfernali nati dall'incesto; dove spettri e tormenti si nascondono in riproposizioni agresti del vaso di Pandora, e nell'inferno della Terra dei Fuochi, la camorra si trasforma in un consesso di mostruosità putride, vigliacche e disgustose, che danzano nelle discariche a cielo aperto, tra i fuochi di copertoni dati alle fiamme, al cospetto di vittime sacrificali. La terra diventa parte centrale dei racconti, che parlano di una natura pervertita, di legami familiari che si spezzano e ricompongono in maniera slogata, di divoratori di peccati che finiscono per compiere il peccato supremo per poter continuare a nutrirsi in un ciclo ininterrotto, trasformandosi in nachzehrer che al posto del sudario masticano senza sosta la propria anima.

La terza parte di Nero metafisico, Metropolitànatos, racchiude già nel titolo il tema dominante: la città è il luogo dove il male filtra come percolato in strada, penetra tra le mura di edifici abbandonati, si insinua nelle menti sfigurate di esseri umani che nascondono, sotto l'apparenza di una normalità perfetta, perversioni acute, un'alienazione totale. È in questo quotidiano trasfigurato che la follia, la disperazione, l'orrore prendono forme spesso banali ma non per questo meno spaventose. La violenza si fa strada in maniera a volte casuale, sotto forma di un sasso raccolto in strada, a volte scientifica, sfruttando quello che l'ambiente offre per mettere in piedi la propria stanza delle torture, il proprio palco della vendetta. Si finisce per restare intrappolati sotto una colata di cemento, senza aria, senza possibilità di sopravvivere. Se non impazzendo. Se non uccidendo. Se non morendo.

Maestro italiano dello splatterpunk, Paolo di Orazio confeziona ventitré racconti che riescono tutti, con forza diversa, a conficcarsi nella mente del lettore come spezzoni di vetro. 

L'autore romano mette in scena ritagli di puro orrore, spesso sfruttando la borgata, la provincia, la città del litorale meta di vacanza come sfondo perfetto per l'evocazione dell'incomprensibile, dell'orrido, del perturbante. Fonde orrore esoterico e splatter estremo in involuzioni grottesche, seducenti; distorce al limite la realtà quotidiana per ridarci la misura della sua deformità sotterranea, implicita sotto una patina di apparente normalità. 
Né manca, tra le viscere e il sangue, nel sesso più esplicito e ferino, lo humour dosato con la sapienza dello scrittore che conosce a fondo gli strumenti del suo mestiere e del suo genere d'elezione. Perché in fondo sappiamo tutti che non c'è nulla di più terrificante di un sorriso. Soprattutto se quel sorriso vi appare di notte, al risveglio da un incubo, fluttuante nel buio della vostra camera da letto.

Svegliato da un sogno o caduto in un sogno, Pietro attraversò un istante drammatico d'infinito malessere senza capire in che dimensione fosse realmente.
[da Non fu terribile vivere un afoso giorno d'estate in pieno dicembre, quanto morire nella notte che seguì in Nero metafisico, Paolo di Orazio, NPE, 2016, p. 113]

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