IL RICHIAMO DEL CORNO di SARBAN

Perché vedi, se io non ero pazzo, allora doveva esserci nello schema delle cose una follia troppo grande e selvaggia perché un uomo avesse il coraggio di affrontarla.
[Il richiamo del corno, Sarban, trad. di R. Colajanni, Adelphi, 2015, p. 28]
il richiamo del corno, recensione

Mentirei se dicessi che Il richiamo del corno [tit. or. The sound of his horn] di Sarban – pseudonimo di John William Wall, diplomatico inglese e scrittore occasionale - sia stata una delle letture più entusiasmanti del 2018.

Anzi, se vogliamo dirla tutta, sono arrivata alla fine di quello che è considerato un classico dell'orrore perturbante con difficoltà.
Così come Alan Querdilion ce la mette tutta per sfuggire all'incubo nel quale è precipitato, il mio è stato un lungo, faticoso tentativo di districarmi tra le pagine del romanzo per uscirne fuori indenne. O quasi.

Facciamo però le dovute premesse.


Il richiamo del corno viene pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel maggio del 1952. A scriverlo è Sarban, pseudonimo sotto il quale si cela il nome di John William Wall, diplomatico inglese, mentre a pubblicarlo è la Peter Davies Ltd, casa editrice del figlio adottivo di J. M. Barrie. 

Di Sarban Davies ha già pubblicato una raccolta di racconti, Ringstones and Other Curious Tales, che ha venduto discretamente e ha ricevuto una tiepida accoglienza da parte dei lettori. Con Il richiamo spera di catturare l'interesse del pubblico, ma l'esperimento risulta deludente: la critica non raccoglie e l'opera vende a malapena le 4000 copie della prima edizione, che sarà anche l'unica.
Nel 1953 Davies, testardo, ci riprova con una seconda raccolta dell'autore, The Doll Maker and Other Tales of the Uncanny, che venderà ancora meno delle opere precedenti.

Otto anni più tardi avviene la svolta. 

A sorpresa, la Ballantine Books bussa a Davies dicendosi interessata ad acquistare i diritti dell'opera per il mercato americano. È sotto Ballantine che passano i nomi più importanti della scena fantastica americana, è alla Ballantine che si rivolgono gli appassionati del genere, un esercito di lettori in costante ascesa. Il successo, per l'opera di Sarban, è assicurato.
Il richiamo del corno viene pubblicato nella “Ballantine Chambers of horror”, presentato come un romanzo maledetto, dove sadismo e feticismo si incontrano sullo sfondo di un'Europa ridotta a riserva di caccia per i nazisti.
È l'apoteosi.
Il richiamo del corno, che in Inghilterra è stato pressoché dimenticato, in America vende 80.000 copie e persino Hollywood si fa avanti opzionandone i diritti (il film, tuttavia, non verrà mai realizzato).

Un mese dopo l'esordio americano del romanzo sul quale aveva puntato molto, Peter Davies si lancerà sotto un treno della metropolitana di Londra. È il 5 aprile 1960.

John William Walls continuerà a scrivere opere che, nella maggioranza dei casi, resteranno incompiute.
Ringstones, The Doll maker e Il richiamo del corno costituiranno l'unico lascito letterario di un uomo che scriveva per diletto, senza credere davvero nelle potenzialità delle proprie storie.

il richiamo del corno
l'edizione Ballantine del richiamo

Il richiamo del corno è un romanzo che manca di passione, un'assenza questa che porta il lettore a spostare gli occhi su frasi ben scritte, asettiche, sistemate tutte al posto giusto come mattoncini in una costruzione. Frasi che non ti fanno entrare nella storia, che ti lasciano distante, come se stessi osservando ciò che accade allo sfortunato Querdilion attraverso il vetro di un acquario.

La traduzione di Roberto Colajanni è scorrevole, credo anche rispettosa della prosa originale e all'inizio la sensazione è quella di trovarsi tra le mani un romanzo gotico scritto ai primi del Novecento piuttosto che un'ucronia degli anni Cinquanta.

L'attacco è d'effetto. Un incipit secco, senza sbavature, che predispone il lettore all'immersione in un abisso di orrori inimmaginabili.

“È il terrore che è indescrivibile”.
[op. cit., p. 11]

A parlare, interrompendo una accesa discussione sulla caccia alla volpe, è l'eroe della storia, Alan Querdilion. Alan è un reduce della Seconda Guerra mondiale, e un ex prigioniero di guerra. Alan è giovane ma ormai sembra irreparabilmente invecchiato. Ed è terrorizzato. Soprattutto dai gatti.

È Alan stesso, davanti a un camino scoppiettante, a raccontare all'amico di una vita la sua esperienza in Germania. E il motivo del suo inesplicabile terrore.

Riuscito a fuggire dal campo finisce per perdersi nella foresta finché, dopo aver attraversato una specie di barriera elettrica, si ritrova in un incubo.

Viene catapultato in un'ucronia, dove Hitler ha vinto e la gente comune è trasformata in rozze copie degli animali del dottor Moreau per il diletto dei nazisti
Uomini e donne ridotti a bestie; privati della laringe da bambini, cresciuti per rispecchiare certi standard razziali. Schiavi, schiave. 
Donne rivestite di guaine dorate fungono da candelabri viventi; altre, indossati copricapi di piume, vengono inseguite nella riserva di caccia di un alto ufficiale nazista; altre ancora, a seguito di complicate operazioni al cervello, sono fatte regredire allo stato di gatte selvatiche, pronte a dilaniare e a nutrirsi di carne viva a comando.

Sulla carta Il richiamo del corno è un'opera claustrofobica, un racconto dell'orrore totale che non si nega nulla, dal feticiscmo al sadismo. Ma nell'assenza di un contatto con il personaggio, nell'impossibilità di entrare in empatia con Alan, lo scenario magnifico e perturbante che Sarban gli crea intorno non funziona meglio di una quinta di teatro della quale si riconosce la finzione.

Mancando del tutto la parte introspettiva, risulta inoltre difficile leggere tra le righe della storia una qualsiasi, approfondita riflessione a posteriori del nazismo.  

Nelle note a chiusura dell'opera, Matteo Codignola ci dipinge Wall come un autore che non credeva granché nel suo essere scrittore. Quando lesse l'introduzione di Amis all'edizione Ballantine del Richiamo disse che era “troppo buona, per un libro così”.

L'impressione è che Wall scrivesse più per se stesso che per il pubblico. I suoi personaggi diventano manichini che è l'autore stesso a far muovere nelle direzioni prestabilite, anche quando queste direzioni mancano di coerenza. In assenza di una vera caratterizzazione i suoi personaggi sono tutti, a partire da Querdilion, bambole poste davanti a delle scenografie di cartone.

Quel mix tra Wells e The most dangerous game di Richard Connell è affascinante, così come la resa dell'ucronia nazista, ricca di inventiva. Ma se nei primi si avverte la tensione del racconto, si prova empatia per i personaggi in gioco e se ne dimentica la natura fittizia, qui tutto questo manca.
Il racconto è talmente privo di un coinvolgimento da parte dell'autore che persino la scena che dovrebbe essere il culmine della passione si traduce in una piatta descrizione di sensazioni, pensieri e scenari.
Il richiamo del corno è un'opera che, se sviluppata in maniera diversa, avrebbe potuto costituire davvero un caso letterario. Così, invece, è solo lettera morta. E un po' dispiace.

E la naturalezza del suo tono mi turbò più delle sue parole. L'asportazione chirurgica da un corpo perfettamente integro di quell'elemento che gli conferisce la luce di un'anima umana per lei non sembrava una fantasia da incubo, ma pura routine.
[op. cit. p.143]


Il mese delle ucronie
Con Il richiamo del corno comincia sul blog il mese delle ucronie naziste. Vi parlerò, nel corso delle prossime settimane, di altri tre romanzi che hanno sviluppato il tema di una vittoria di Hitler della seconda guerra mondiale, perché è anche a questo che serve la letteratura: a capire che la storia è frutto di un accidente. E che viviamo tutti sul filo affilatissimo di un rasoio a doppia lama.

2 commenti

  1. Non immaginavo esistesse tutto un genere sulle ucronie naziste, a parte "Fatherland" e "La svastica sul sole" (e quello dei ragazzi di Berlino, ovviamente). Scopro invece da te che esiste è un sentiero affollatissimo, seguito da molti. C'è anche una pagina di wikipedia dedicata all'argomento dove vengono elencati decine di titoli, tra cui "Il grande tempo" di Leiber che, per quanto mi stia sforzando a ricordare, non riesco proprio a far rientrare nel genere...

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    1. Ti cito "Il sogno e l'incubo del IV Reich" di Gian Filippo Pizzo che tratta con dovizia il tema. Di titoli ce ne sono molti, anche recenti YA si sono cimentati in quello che forse è il what if più abusato della storia, e pensavo fosse interessante farsi un giro tra le alternative della storia. Il grande tempo mi manca, ma mi sembra di aver letto che usi la faccenda solo come canovaccio.

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