SE SEI VIVO, AMMICCA. Dissertazioni sulla decapitazione

In tutti i casi in cui la legge commina la pena di morte a un accusato, il supplizio sarà lo stesso, qualunque sia la natura del delitto di cui egli è colpevole; il reo sarà decapitato; e questo sarà fatto per mezzo di un meccanismo semplice.
[Joseph-Ignace Guillotin, discorso all'Assemblea costituente del 1° dicembre 1789]

Quando Joseph-Ignace Guillotin propose alla Costituente, nel dicembre 1789, di adottare un mezzo di esecuzione che offrisse al giustiziando una morte decorosa, rapida e indolore probabilmente non avrebbe mai pensato che la sua modesta proposta lo avrebbe trasformato, nel giro di pochi anni, nel padre della ghigliottina. 
Onore che cercò sempre di rifiutare. 
Senza successo.


Tra le necessità del regime rivoluzionario da poco instaurato c'era quella di uniformare le condanne a morte, stralciando dall'elenco metodi di esecuzione fantasiosi e cruenti come la ruota o lo squartamento.

Sul finire del XVIII secolo, in Francia come nel resto d'Europa, c'era ancora una sostanziale differenza tra condannati a morte di alto o basso lignaggio. 


Ai primi di solito era riservata la spada, ai secondi il cappio. 
Solo che la decapitazione non sempre garantiva al reo un trapasso indolore. Se il boia non era bene allenato, o la lama poco affilata, si rischiava di assistere a uno spettacolo che avrebbe fatto furore al Grand Guignol. Condannati che si contorcevano sul ceppo e urlavano dal dolore e il boia di turno che si accaniva sul malcapitato come un macellaio su una braciola, in un profluvio di sangue che imbrattava la folla assiepata davanti al patibolo. Come accadde allo sfortunato conte Henri de Talleyrand-Périgord, condannato a morte per aver cospirato conto la vita del cardinale Richelieu, la cronaca afferma che continuò a urlare fino al ventesimo colpo di scure prima di perdere definitivamente i sensi e, finalmente, morire.

La ghigliottina quindi nasce su spinta di un'idea, se vogliamo, umanitaria ed egualitaria: dare a tutti la stessa morte e, per soprappiù, darne una indolore.


La rapidità con cui la lama cade, unita alla sua particolare forma (fisicamente la migliore per garantire un ottimo taglio del collo), fa sì che non passino molti minuti dalla vita alla morte del condannato dal momento in cui questo è posto sul tavolaccio e la testa è stata fatta passare per la lunetta.

Ma fu proprio questa rapidità, garanzia di una morte incruenta, a portare medici, fisiologi e semplici cittadini a domandarsi, a partire dal 1795, se non fosse tutto sommato più orribile morire per mano della Vedova allegra che non per un nodo scorsoio.

Chi garantiva ai suppliziandi e a coloro che assistevano agli spettacoli di giustizia che la testa, una volta spiccata dal corpo, non restasse viva per lunghi, interminabili secondi, se non addirittura minuti?

Esecuzione di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti - 1867

Era troppo netto il taglio, troppo veloce la lama. La coscienza non aveva il tempo di capire che il corpo era morto e l'io, intrappolato in un cervello vivo, avrebbe continuato a registrare l'orribile condizione della separazione dal resto di sé.

Del resto i contadini, più avvezzi di altri a storie di decapitazioni, potevano raccontare a manciate episodi di polli senza testa che continuavano a correre per l'aia a lungo, prima di arrendersi all'inevitabile destino del pentolone.

Allo stesso modo si diffusero, nel giro di poco tempo, storielle di panieri completamente erosi dai denti delle teste mozzate, che cercavano con rabbia di scappare a quel viscido carnaio.
Ma la storia più celebre è senza dubbio quella che vede per protagonista Charlotte Corday, l'assassina di Marat, la quale, schiaffeggiata da un buzzurro salito sul patibolo a esecuzione terminata, sarebbe arrossita di sdegno guardando la platea con risentimento mentre ciondolava dalla mano del boia, che la teneva per i capelli.



A aprire le danze del dibattito fu Charles-Ernest Oelsner, anatomista, che nel 1795 pubblicò una Nota sulla ghigliottina nella quale si indignava per il modo in cui in condannati erano esposti al pubblico, e sosteneva che sarebbe stato più umano un lento dissanguamento a quella morte da bestia di cortile. Lo seguì a ruota Thomas Soemmering, professore di anatomia e fisiologia all'Università di Mainz, con Sul supplizio della ghigliottina dove, per riassumere, sosteneva che la testa sopravvivesse al corpo proprio a causa della velocità del taglio, che le impediva di perdere calore e quindi coscienza. E aggiungeva, a corollario della sua tesi, curiosi aneddoti di decapitati che muovevano ciò che gli era rimasto per esprimere il proprio dissenso: labbra, denti, palpebre.

Per tagliare la testa al toro, il dottor Jean-Joseph Sue, propose allora di tentare un esperimento. Gli amici di un condannato avrebbero dovuto concordare con questo un codice fatto di smorfie facciali, in modo tale da segnalare se fosse ancora vivo e cosciente dopo l'esecuzione. Ma i colleghi di Sue rifiutarono inorriditi e non se ne fece nulla.

Nel frattempo, il dibattito sulla testa vivente era diventato così popolare che nel 1796 in tutta Francia girò un libriccino, Aneddoti sui decapitati, che fece la discreta fortuna dell'autore, tale Auberive.

Siamo ormai nel 1905, Robespierre è cenere da un pezzo, ma la ghigliottina resiste, ultima protagonista della Rivoluzione. Così come resiste il dubbio se la testa muoia con il corpo o la coscienza continui ad aggirarsi per il cervello ancora per un po'.

A Montpellier, il dottor Baurieux riesuma la proposta del dottor Sue e tenta di eseguire forse l'unico test (per i mezzi dell'epoca) in grado di risolvere una volta per tutte il dilemma. Si mette quindi d'accordo con un condannato, Languille, concordando con lui un codice fatto di ammiccamenti: chiamato il suo nome, il condannato avrebbe battuto le palpebre se ancora vivo.

Il rasoio nazionale calò su Languille il 28 giugno 1905. Baurieux si impossessò immediatamente della testa e osservò che il volto era scosso da spasmi. Aspettò che il fremito muscolare si calmasse, quindi lo chiamò a gran voce. Languille sollevò le palpebre, fissando il medico. Per la precisione Languille sollevò le palpebre tre volte, prima di diventare sordo ai richiami del dottore.
Nonostante gli sforzi di Baurieux e Languille, i risultati del test vennero giudicati dalla comunità scientifica inconcludenti. Forse Languille era ancora cosciente o forse si trattava solo di un riflesso, scatenato dalla sollecitazione dei nervi auditivi. Non bastava per dare la certezza che la ghigliottina fosse, tutto sommato, un mezzo di morte come gli altri. Forse addirittura meno incruento di quanto si pensasse.

Due anni più tardi, un altro medico ci riprova. Questa volta senza ricorrere a codici preventivi ma a sangue di cane, che viene trasfuso nella testa di un criminale di nome Menesclou due ore dopo l'esecuzione. Il risultato fu un volto che riacquistava colore e fissava il medico con aria incredula. E, con molta probabilità, contrariata.


Ad oggi sappiamo che lo shock della decapitazione e il conseguente rapido calo di pressione doveva portare i condannati a scivolare dall'incoscienza alla morte. 
Vi sentite sollevati? Non dovreste, perché il cervello sopravvive per lunghi secondi dopo essere stato spiccato dal busto, prima di cessare del tutto le funzioni. Così come è appurato che la morte non sopravviene se questo continua a venire ossigenato, mediante trasfusioni. Questa certezza sta alla base degli studi sui futuri trapianti di testa (o di corpo, che dir si voglia).

Del resto, di cervelli che sopravvivono al corpo è piena la letteratura, a cominciare dagli esperimenti del dottor Frankenstein (a sua volta creatura di Mary Shelley) per proseguire con quel bel racconto, deliziosamente grottesco, che è "William e Mary" di Roal Dahl fino a chiudere il cerchio, prendendola molto alla larga, con Cuore di cane di Bulgakov.

Ma è nel cinema che le teste mozzate sono straordinariamente loquaci. Tanto per citare alcuni titoli: parla la testa di Juli Reding in Tormented, film horror del 1960; parlano le teste che Jerry (Ryan Reynolds) tiene nel suo frigorifero in The voices, film diretto da Marjane Satrapi. Parlano le frantumatissime teste di Goldie Hawn e Meryl Streep nel finale di La morte ti fa bella. E come dimenticare le teste in salamoia di Futurama, in grado di sopravvivere per millenni nutrite a cibo per pesci?

Invece nel film The frozen dead (1960) Elsa, vittima degli esperimenti del dottor Norberg,
acquisisce poteri telepatici e telecinetici dopo essere stata decapitata

Indirettamente dobbiamo tutto questo a Guillotin, che in quel dicembre del 1789 voleva solo umanizzare la pena capitale. Avrebbe fatto meglio a proporne l'abolizione.

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Fonti
La vedova allegra. Storia della ghigliottina - Antonio Castronuono. Stampa Alternativa
Stecchiti. Le vite curiose dei cadaveri - Mary Roach. Einaudi
L'ultimo giorno di un condannato a morte - Victor Hugo. Newton

3 commenti

  1. Incredibile e raccapricciante! Essendo appassionato di narrativa "di corpi mozzi" ho adorato le storie di teste mozzate che continuano a vivere, anni fa addirittura tradussi per degli amici il racconto vincitore del Premio Hugo 2010 con proprio la storia di una donna del futuro che è solo testa in attesa che uno spasimante le "regali un corpo". Però quando dalla fiction si passa alla storia c'è da rabbrividire, pensando a ciò che hanno passato quei poveri condannati...

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    1. Credo che l'opera più toccante sul tema, sicuramente la più accorata, l'abbia scritta proprio Hugo. In fondo Guillotin non era animato da cattivi ideali ma era troppo moderato per poter anche solo pensare di proporre un'abolizione in toto della pena capitale. Proposta che probabilmente non sarebbe stata accolta.

      Sono invece curiosa sul racconto, sai? :)

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  2. All'epoca ricordo che la Delos annunciò la traduzione del racconto vincitore ma non ne ho trovato tracce. Era molto intrigante, perché era tutto raccontato dalla donna protagonista, la cui testa era messa in sonno criogenico e passavano gli anni in attesa che qualcuno la "sposasse", con però abbastanza soldi per comprarle anche un corpo. La comprensibile angoscia della donna, in perenne stato di impotenza, sfocia in un continuo tentativo di trattare con gli uomini che volta per volta la svegliano per cercare di non passare dalla padella alla brace.
    Sono passati tanti anni ma lo ricordo con un ottimo racconto, di un autore esordiente che ho scoperto in seguito essere diventato romanziere, ma del tutto inedito in Italia.
    Ah, fra le teste mozze parlanti credo sia memorabile quella del cattivo di "Re-Animator" (1985), film che devo decidermi a rispolverare, insieme ai suoi seguiti...

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