CHRISTMAS IN WEIRD. L'ESORCISTA di William P. BLATTY

Si domandò perché mai l'amore avesse aspettato tanto ad affiorare, perché mai avesse aspettato il momento in cui egli non aveva più possibilità di un rapporto, quando le dimensioni di un contatto e della resa a sentimenti umani erano ormai ridotte al formato di un'immagine-ricordo, riposta nel suo portafogli, con stampato sopra: In Memoriam...
[L'esorcista, di William P. Blatty, trad. di M. Basaglia, Arnoldo Mondadori Editore, p. 100, 1974]


L'esorcista recensione

Va bene l'orrore. Va bene la distopia. Ma un romanzo d'amore, a Natale, non ce lo metti?
Certo che sì.
Per questo il consiglio di oggi ha per oggetto – rullino i letti e impazziscano le planchette – L'esorcista.

Libro scontato. Forse banale. 
Chi è che al giorno d'oggi non conosce L'esorcista? 
Parlare di Pazuzu è un po' come discettare di King: anche i profani del genere sanno di che si tratta e annuiscono con condiscendenza, quasi fossero stati loro i primi a scoprirlo.
Meglio sarebbe stato concentrarmi su Ligotti, per dire. Se non fosse che per me Ligotti è la forma scritta di un pranzo natalizio.
Poi però mi sono detta: non sarà che la maggior parte conosce l'esorcista solo per il film? Non è che la fama l'ha reso la versione horror di 1984, un romanzo che ormai è diventato una citazione ambulante?

Perciò, eccoci qui.

Se dovessi progettare un edificio basato su L'esorcista, questo avrebbe la forma di un castello concentrico. Del tipo che immaginava Dante quando si ritrovò a descrivere Malebolge. Il romanzo è così stratificato che ogni capitolo rappresenta una barriera. E dentro quella barriera c'è la storia di un dannato. C'è dolore, ci sono piccole scintille di orrore quotidiano (Blatty le dissemina qua e là, come un Pollicino dark: atti di cannibalismo, gente arsa viva mentre aspetta l'autobus... cose così), c'è la ricerca incessante di un segno. C'è, dicevo all'inizio, amore.

E no, non sono impazzita. E sì, ho già approfondito la faccenda tempo fa.

L'amore, qualunque forma assuma, è l'oggetto che condiziona tutti i personaggi del romanzo. 
La sua assenza, la sua disperata ricerca, genera l'Inferno. Crea un posticino accogliente e caldo nel quale il diavolo può crogiolarsi con comodo. È una tematica, se vogliamo, profondamente cristiana: se Dio è amore, la sua assenza è dominio del male.

La possessione di Regan è l'occhiello che permette al lettore di sbirciare l'anticamera dell'Inferno.

E nel romanzo, ancora più che nel film, si percepisce quanto il vero protagonista non sia Regan, ma Karras.
Regan è il canarino in gabbia gabbia portato in una miniera e lasciato lì a morire. 
Padre Karras il minatore che scenderà per liberarlo. Accettando l'altissima posta in gioco.
Per sua fortuna, il diavolo ha dimenticato ancora una volta come si fa un coperchio. E così, nel momento in cui quest'ultimo crede di aver intrappolato un'anima, se la ritrova che gli sguscia tra gli artigli.

Da regalare alla dolce metà appassionata di horror. Assieme a una tavola ouija.

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