[Disclaimer: alcune immagini contenute nel post potrebbero urtare la sensibilità del lettore.]
Adelaide. Primo dicembre 1948.
Si è addormentato sulla sabbia con le gambe incrociate e una sigaretta
da fumare appoggiata sull'orecchio. In giro non c'è anima viva e
l'aria è impregnata di quell'odore particolare che si sente solo al
mattino, un odore che è più intenso nelle città costiere. Sale,
condensa, polvere.
L'uomo riposa, cullato dall'oceano che rosicchia la riva. Neppure le
mosche che gli si accalcano intorno lo disturbano.
La notte sbiadisce. Le mosche attorno all'uomo aumentano, si fanno
più audaci.
Si appollaiano dove possono. Sondano orecchie, occhi, labbra.
Qualcuna riesce a trovare la strada che dalle narici porta alla sacca
calda dello stomaco.
L'uomo le lascia fare. Neppure una volta tenta di scacciarle.
Ora che è morto nulla più lo turba.
L'uomo era arrivato ad Adelaide con uno dei primi treni del mattino.
Non ha con sé un grande bagaglio, appena una valigia di pelle, ma
abbastanza capiente da contenere ciò che gli occorre. Ora, dopo la
lunga notte passata sul treno sente il bisogno di darsi una lavata
prima di riprendere il viaggio: la salsedine gli ha reso appiccicosi
i capelli e la faccia.
Mentre il cassiere gli porge il biglietto per il treno diretto ad
Henley Beach delle 10.30 gli domanda se non ci sia modo di farsi una
doccia. Sfortunatamente i bagni della stazione sono guasti, ma poco
distante da lì si trova la piscina pubblica e servizi ben forniti.
L'uomo controlla l'ora: sono da poco passate le nove e mezza; ha
tutto il tempo per lavarsi e cambiarsi d'abito prima di prendere il
prossimo treno e proseguire con la missione.
Da qualche tempo l'uomo si sente osservato. Anche adesso, per strada,
ha la sensazione di un'ombra non sua che gli sta incollata addosso.
Più volte si ferma per guardarsi intorno. “Smettila di fare il
paranoico”, si dice a denti stretti. Tuttavia, aspetta ancora un
po' prima di muoversi. Fruga in tasca alla ricerca del
pacchetto di sigarette e ne infila una tra le labbra. Lascia che la
sigaretta abbia il tempo di consumarsi per metà mentre continua a
osservare la strada. Nessuno. Nessuno di sospetto. Eppure...
Scrollando la testa, l'uomo getta la cicca per terra ed entra nella
piscina.
Qualche minuto dopo, una mano nascosta da un guanto di pelle raccoglie la sigaretta che l'uomo ha lasciato cadere e l'esamina con cura.
Sono le dieci e un quarto quando l'uomo finisce di rivestirsi. Nel bagno della
piscina ci sono altri viaggiatori che si radono davanti agli specchi
incrostati dal cloro. Sono uomini dalle occhiaie profonde e con rughe
che segnano le guance. Venditori porta a porta per lo più, con il
loro campionario ben riposto in valigie di pelle come la sua. Quello
che cambia è il contenuto.
L'uomo sorride nello specchio. La doccia gli ha fatto bene. Persino
la sensazione di essere pedinato è stata lavata via dall'acqua. È
ancora un po' irritato per la faccenda del cappello che ha
dimenticato sul treno per Adelaide, ma non è davvero un problema.
Recupera la giacca dall'appendiabiti controllando che ci sia tutto:
gomme, biglietto e sigarette. Ne prende una e l'accende mentre torna
alla stazione per prendere il suo treno.
Quando arriva scopre che il treno per Henley Beach è già
partito e che la prossima corsa ci sarà solo in serata.
L'uomo impreca e sta per prendersela con il capostazione quando
si ricorda chi è e perché si trova lì. Solo a quel punto si
ricompone. “D'accordo, prenderò il treno successivo”, borbotta.
Del resto, ora come ora non può fare nient'altro. “Se voleva
andare al mare posso suggerirle Glenelg Beach”, azzarda il
cassiere. “C'è un tram che parte tra qualche minuto”.
Glenelg Beach non è nel suo percorso, ma forse potrà ricavarne
qualcosa di utile. Al deposito bagagli lascia in consegna la valigia
dopo aver preso con sé il libro, la macchina fotografica e i rullini
già scattati. In generale non si fida molto dei guardaroba delle
stazioni, e poi sa che la gente ha la tendenza a mettere le mani dove
non dovrebbe.
Il veleno comincia a produrre i suoi effetti verso le due del
pomeriggio. L'uomo si è fermato a mangiare un boccone in una
panetteria dalle parti di Glenelg e sta per tornare alla fermata del
tram quando avverte i primi sintomi dell'avvelenamento: tachicardia,
confusione e senso di stordimento. Non gli ci vuole molto per capire
di cosa si tratta.
L'addestramento lo ha preparato anche per questa eventualità, ma
fino ad oggi non sapeva che sarebbe accaduto davvero. In fondo, è
sempre stato molto attento a non dare nell'occhio: a chi può interessare un
turista americano in gita lungo le coste più pittoresche
dell'Australia, un tipo un po' tonto con la passione per le
fotografie di paesaggi?
Si è sbagliato.
Adesso sa che non era paranoia quella provata in mattinata: qualcuno lo stava davvero pedinando. E il veleno? Come hanno
fatto ad avvelenarlo?
Una fitta al torace lo costringe ad appoggiarsi contro un muretto. Di
riflesso infila la mano in tasca per prendere le sigarette. Deve ragionare con lucidità prima che quegli
altri lo ritrovino per strada.
“Pensa”, si dice, “Pensa”.
Chi conosce ad Adelaide che può
aiutarlo? Sa di essere spacciato, ma deve almeno tentare di salvare
il lavoro fatto. Poi, all'improvviso, ricorda un nome. Un nome di
donna. Strofinandosi la faccia, si avvicina al bar che vede in
lontananza. È un rischio, ma non ha alternative.
“... desidera che la metta in contatto con il cliente?”, domanda
l'operatrice del centralino. Senza rispondere, l'uomo lascia cadere
la linea. Si asciuga il sudore dalla fronte e dagli occhi e si siede
in un tavolino appartato rivolgendo le spalle al muro. Ordina un
caffè che non berrà e apre il libro, sul retro del quale ha già
appuntato il numero di telefono della donna. Ora viene la parte più
difficile. Con mano insicura appunta il messaggio sotto il numero. Fa
fatica a concentrarsi, a mettere a fuoco le parole, e nonostante
abbia sotto mano il cifrario a metà della seconda frase si accorge di
aver sbagliato. Alla fine rilegge più volte il messaggio per essere
certo di non aver commesso errori.
Solo allora si rialza per telefonare.
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il messaggio ritrovato sul retro del libro |
Lei risponde subito. La sua voce non è cambiata molto. Si dimostra
stupita quando lo sente parlare, ma di colpo il suo atteggiamento
cambia. “È accaduto qualcosa?”, domanda. Lui le risponde di sì.
E poi le dice di prendere carta e penna. E di ascoltare con
attenzione. Le detta il codice leggendolo con occhi che bruciano come
per la febbre. Le chiede di ripeterlo non una ma due volte. “Riferisci il messaggio a chi sai”, conclude.
Dopo un istante di silenzio lei gli domanda cos'altro può fare e
all'uomo viene da sorridere. “Non molto”, risponde. Potrebbe
chiederle di raggiungerlo, ma rischierebbe di metterla in pericolo. E
comunque gran parte della missione è compiuta, altri continueranno
dove lui è stato costretto a interrompersi.
Si
stupisce di come sia così facile restare in silenzio quando si sa di
avere la morte dentro. Interrompe la comunicazione prima che
lei abbia il tempo di aggiungere anche solo "Addio".
L'uomo ha lasciato il bar e si aggira dalle parti di Somerton Beach
come qualcuno che abbia alzato troppo il gomito. Dal libro ha
strappato la frase di chiusura e l'ha infilata in tasca. È un
messaggio importante che chi di dovere capirà, sia che venga
ritrovato il volume, sia che venga ritrovato il frammento: ho finito.
Ho fatto ciò che dovevo.
Senza sapere come, si ritrova in un parcheggio. In due macchine
diverse, lasciate aperte dai proprietari, abbandona il libro e la
macchina fotografica. Dei rullini se ne è già liberato.
Davanti a
lui il mondo si sta trasformando in una palla di fango sommersa dalla
nebbia. Gli viene da ridere al pensiero di come cambino le cose. Di
solito era abituato ad altri sforzi e adesso riesce a malapena a
percorrere una decina di metri senza sentirsi morire.
In un cassonetto getta il portafoglio con i documenti falsi.
Prende dal pacchetto un'altra sigaretta e l'accende con mani che
sembrano quelle di un vecchio: non hanno più forza, sono fredde come
ghiaccio.
A passi lenti si sposta verso la spiaggia. Chissà che impressione
dà, ora, ai pochi passanti che incontra. Lui, che per metà della
vita ha cercato di essere invisibile.
Un ultimo dubbio lo attraversa:
e se dovessero decifrare il messaggio? Ma poi scaccia il pensiero
come un'assurdità: quel codice è praticamente impenetrabile senza
la chiave.
È quasi arrivato alle scalette che conducono al mare quando sente
una mano stringergli il braccio. È una mano fasciata da un elegante
guanto di pelle. “Ha bisogno di aiuto?”, chiede una voce in un
inglese impeccabile. Lui scrolla la testa. “Forse vorrebbe lasciare
un messaggio?”, domanda l'altro.
L'uomo sorride. “Ho già messo ordine tra le mie cose”, biascica
a fatica.
Ha l'impressione che l'altro annuisca e vorrebbe chiedergli come
hanno fatto a scoprirlo, che cosa lo ha tradito. Un'ultima curiosità
è come abbiano fatto ad avvelenarlo, ma su questo comincia ad avere
qualche sospetto. Non ha mangiato nulla da quando è arrivato con il
primo treno per Adelaide, a parte il pasticcio per pranzo. Ma ha
fumato molto. Come sua abitudine. Ha fumato tantissimo. E le
sigarette erano nella giacca lasciata appesa nel bagno della piscina.
“Vuole che l'accompagni da qualche parte?”, domanda lo
sconosciuto, e a lui viene l'assurdo impulso di ringraziarlo. Che
diavolo, sta morendo. Sta morendo e l'unico ad assisterlo è l'uomo
che, con ogni probabilità, l'ha ucciso. Ma va bene così. È il
gioco che ha scelto di giocare. Questa volta a vincere è stato il
banco.
Alza un braccio pesante come pietra, indica la spiaggia. “Qui va
bene”, sussurra. “Mi lasci qui”.
La sabbia è soffice, il mare un brillio di luci in lontananza.
L'uomo accende la sua ultima sigaretta e ne appoggia un'altra
sull'orecchio, come faceva da ragazzo. Ancora un messaggio. Pochi capiranno. Per tutti gli altri sarà solo il vezzo di un
uomo senza nome che ha scelto la spiaggia per morire.
L'uomo sospira, quindi chiude gli occhi e si lascia andare mentre lenta cala la sera su Somerton Beach e i suoi segreti.
L'uomo sospira, quindi chiude gli occhi e si lascia andare mentre lenta cala la sera su Somerton Beach e i suoi segreti.
I FATTI.
Il primo dicembre 1948 sulla spiaggia di Somerton (Adelaide) viene
ritrovato il cadavere di un uomo sconosciuto. È ben vestito, ha con
sé pochi oggetti - tra i quali un pacchetto di sigarette Army
Club con all'interno delle
sigarette marca Kensitas
- e nessun effetto personale. Persino le targhette sui suoi
abiti sono state rimosse.
Così come la sua identità anche la causa della morte è
sconosciuta, sebbene in linea di massima venga considerato plausibile
l'avvelenamento da digitale. L'uomo viene imbalsamato e sepolto nel
cimitero di Adelaide in attesa di ulteriori sviluppi.
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La cravatta ritrovata nella valigia |
Nel gennaio 1949 il guardaroba della stazione di Adelaide fa una
scoperta importante: il trenta novembre, intorno alle 11:00 del
mattino un uomo ha depositato la propria valigia ma non è mai
passato a riprenderla. Convinti che appartenga all'uomo misterioso
gli inquirenti l'acquisiscono come prova. Dentro la valigia si
trovano i soliti indumenti senza identificativo (compreso un
pantalone con della sabbia nei risvolti), un cacciavite da
elettricista, un
coltello da tavolo affilato, forbici, un pennello di quelli usati per
apporre gli stencil sulle navi e un rocchetto con una insolita marca
di filo cerato, di colore arancione. Tre targhette vengono ritrovate
su una cravatta, una canottiera e una sacca per gli abiti. Tutte
riportano il nome T. Keane, ma nessun T. Keane risulta scomparso dai
paesi di lingua anglofona. Il caso viene momentaneamente archiviato.
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Il volume con la pagina strappata |
Nell'agosto
dello stesso anno, un secondo esame autoptico rivela, nascosto in un
taschino interno dei pantaloni dell'uomo, un bigliettino arrotolato.
Le sole due parole stampate sul biglietto sono “Tamam
shud”.
Si scopre presto che la scritta è in persiano, che il suo
significato è “finito”, “concluso” e che il biglietto è
stato strappato da una raccolta di poesie di un medico persiano, le
Rub'ayyat.
Agli appelli fatti dalla polizia ai possessori del volume risponde un
uomo che chiede di restare anonimo. Il libro che il testimone
consegna agli inquirenti è un'edizione molto rara delle Rub'ayyat.
L'uomo sostiene di aver ritrovato il volume sotto il sedile del
passeggero della propria auto, che ha l'abitudine di lasciare aperta,
proprio il trenta novembre scorso.
Sul retro del libro gli
investigatori trovano due scritte a penna: un numero di telefono e un
messaggio in codice, che resiste a ogni tentativo di decifrazione.
Il
numero di telefono corrisponde a quello di un'infermiera di Adelaide,
che dichiarerà di aver donato la raccolta di poesie a un
luogotenente dell'esercito australiano. Il luogotenente, rintracciato
anni dopo nel Nuovo Galles del Sud, ha però una copia diversa delle
Ruba'yyat e del tutto integra.
L'infermiera
viene così esclusa dalle indagini e la polizia, nel pieno rispetto
della sua volontà di non essere associata alla faccenda, le
attribuisce un'identità fittizia. La donna muore nel 2007, secondo i
più portandosi nella tomba il segreto dell'uomo di Somerton e il
significato di quel messaggio in codice.
Dal 1948 l'uomo di Somerton
riposa nel cimitero di Adelaide. Ancora oggi la sua identità è sconosciuta.
La maggior parte dei reperti
risalenti alle indagini sono andati perduti, compreso il prezioso
volume delle Rub'ayyat dove si trovava trascritto il messaggio originale e,
forse, la chiave per risolverne il mistero.
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Nota dell'autore: ovviamente non ho idea di cosa accadde davvero quel 30 novembre del 1948. L'unica cosa che posso fare, come scrittore, è usare i dati a disposizione per raccontare una storia e usare la fantasia e un po' di intuizione per colmare le lacune.
Pertanto il racconto che avete letto all'inizio del post è un'opera di pura fantasia, e come tale va considerato.
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A chi volesse approfondire la vicenda consiglio:
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