- Estremamente pericolosa è la femmina - ella disse piano - perché colpisce senza preavviso. Sembra dolce, debole e indecisa, ma questo è il fulcro del suo potere. Quando il momento viene - e con l'unghia ella tracciò lungo il suo torace una linea che subito divenne rossa - la femmina non ha esitazioni. [Loro attendono, di Robert McCammon, trad. di Carla Meazza, Mondadori, 1996, p. 24]
Recensione. LORO ATTENDONO - Robert McCAMMON
7 novembre 2018
Per parlare di questo romanzo partiamo dal principio, e il principio è un titolo italiano che nella mia testa fa il verso
ad A volte ritornano
di King e che sposta il centro dell'attenzione dal dove
– la città, vero fulcro di questo romanzo di McCammon – al chi.
Il
dove nel
quale si svolge la gran parte della storia raccontata in Loro attendono è Bethany's
sin,
sobborgo urbano pulito e curato, sebbene un po' troppo silenzioso. E
se è vero che nomen
omen,
su una città che nel nome si porta la parola peccato
qualche domandina me la farei prima di andarci a vivere con tutta la
famiglia.
Perché,
nonostante Bethany's sin sembri il luogo ideale dove
crescere i propri figli, va
anche detto che dietro tanti sorrisi cordiali si nasconde il ghigno
di gente che sogna di appendere sul camino di casa la testa mozzata
di un uomo.
Loro
attendono [Bethany's
sin
in originale] è la
terza prova come autore di Robert McCammon dopo Baal,
folgorante esordio di un ragazzo che all'epoca ha da poco compiuto
ventisei anni.
Quando
scrive Bethany's Sin
McCammon ha ventotto anni. Non è passato moltissimo tempo
dal suo primo romanzo, ma già la pressione deve farsi sentire.
Del resto, se devi quotidianamente misurarti con King - gigantesca
pietra di paragone per chiunque abbia un po' di successo nel campo
della narrativa di genere - va a finire che tu debba metterti a sfornare romanzi per nutrire periodicamente una
macchina, quella editoriale, che ti mastica a fondo finché non è
riuscita a consumarti del tutto.
A
McCammon questo succede una quindicina d'anni dopo il debutto. È il
1992, ormai ha all'attivo tredici tra romanzi e raccolte (una media
di un libro all'anno), e probabilmente sfinito, decide di prendersi
una lunga pausa dalla macchina da scrivere.
O questo o buttarsi nell'alcol, direbbe King.
Ma
ad appena due anni da Baal
McCammon è ancora un giovane di belle speranze. Così, nel 1980
firma il contratto per questo romanzo su un veterano del
Vietnam che si ritrova a dover affrontare un manipolo di Amazzoni
redivive.
Se volessimo leggere il romanzo
usando esclusivamente le lenti della metafora, potremmo dire che
Bethany's Sin è la
storia di un uomo contro la guerra.
Da un lato abbiamo Evan Reid, il protagonista, che ha vissuto
nell'inferno, ha subito la prigionia e la tortura ed è riuscito,
faticosamente, a fuggirne. Dall'altro delle donne che fanno della
battaglia e della carneficina l'unica ragione di vita.
In
effetti, però, c'è dell'altro.
Sono
anni difficili, questi, per gli USA. È
un periodo buio e disastroso sul piano politico e sociale:
disoccupazione alle stelle e marginalizzazione delle classi più
povere da un lato, progressivo conservatorismo dell'upper
class dall'altro.
È la stagione di Reagan e di una società che i poveri li
rinchiuderebbe felicemente in un ghetto, per non pensarci più.
Così
chi può abbandona le città per rifugiarsi in quei bei sobborghi
urbani che conoscono, in questo periodo, il massimo del loro
sviluppo.
Gli
Ottanta sono anche gli anni di L'alba
dei morti viventi,
Society ed Essi
vivono, tanto per citare
pellicole che hanno sfruttato l'horror e il grottesco per raccontare
un periodo storico ben preciso.
In
questo clima di incertezza e sfiducia, dove basta un niente per
ritrovarsi in mezzo a una strada
e in cui ogni occasione che ti si para davanti va afferrata senza
starci troppo a pensare su, si innesta la storia dei Reid.
Lui,
Evan, un veterano che fa sogni profetici e ha ambizioni da
scrittore, lei, Kay, che sopporta a fatica le visioni del marito e
che trascina tutti a Bethany's Sin
perché le viene offerto provvidenzialmente lavoro nel campus
cittadino. Proprio nel momento in cui si trovano in maggiore
difficoltà, dopo che Evan ha perso il proprio impiego per aver quasi
tentato di ammazzare il suo capo.
Vedi tu le coincidenze.
La
vita a Bethany's Sin è fantastica, se non fosse che i vicini sono
così perfetti da sembrare finti.
Le strade poco trafficate, la vita comunitaria ridotta all'osso.
Un
posto tranquillo. Sì. Un posto decisamente troppo
tranquillo.
Torniamo
per un istante indietro di una decina d'anni. È il 1972 e Ira Levin
ci regala quel bel romanzo che è Stepford
Wives. Anche lì, un
sobborgo urbano che farebbe venire l'acquolina in bocca a più di
un'agente immobiliare nasconde, sotto quella patina di luogo di lusso
destinato alla middle
class, un piccolo luna
park degli orrori.
A
Stepford ci trovavamo
dentro una comunità dominata dal Club degli Uomini, il cui scopo
ultimo era trasformare le proprie compagne in robot sessualmente
appaganti. A Bethany's Sin
sono invece le donne che si cooptano per trasformare i mariti in schiavi
sessuali, azzoppandoli come una qualsiasi Annie Wilkes
perché non scappino, e usandoli per generare figli. Anzi, figlie,
ché i maschietti vengono per lo più offerti a Madre Natura e
gettati via come scarti inutili (e se la cosa vi sembra eccessiva, ricordatevi che viviamo in un'epoca in cui l'infanticidio femminile è ancora una piaga largamente diffusa).
Insomma, a Bethany's sin ci troviamo in una comunità dove il rapporto tra i sessi si è rovesciato, con gli uomini ridotti a male necessario quando utili per la riproduzione o, alla peggio, trasformati in divertenti prede da cacciare nelle notti di luna piena.
Sicuramente va dato merito a McCammon di aver tentato di rinnovare il topos della città infestata utilizzando come agente corruttivo una antichissima e leggendaria stirpe di guerriere. Il richiamo alla mitologia - seppure una mitologia riadattata - è continuo. Evan si contrappone alla Regina-sindaco delle Amazzoni come in una riedizione moderna del mito di Achille e Pentesilea, contribuendo al carattere di epicità dello scontro finale. Così come è curiosa l'interpretazione che viene data della splendida Artemide Efesia.
Eppure alle donne di Bethany's sin manca una cosa importante: la volontà. Quelle che agiscono contro Evan e gli altri uomini non sono le donne che hanno messo piede a Bethany's sin al seguito di un camion per il trasloco bensì i loro involucri, nei quali si sono annidati gli spettri delle ultime Amazzoni.
Intendiamoci. Mi rendo conto che non era probabilmente nelle
intenzioni di McCammon intavolare un dibattito sui rapporti di genere
con un romanzo dell'orrore ma, dal mio punto di vista, quella della
lotta tra generi è diventata una macrotematica che ha avuto il
sopravvento sulla storia. E, inevitabilmente, sulla recensione.
Il problema è che in tutto il romanzo non c'è una sola
figura femminile degna di nota. Sono tutte o incapaci di difendersi da sole dall'influsso della Regina-sindaco (è il caso
della moglie di Evan, Kay) o fatue biondine da una battuta e
via.
Ed è questa la cosa che leggendo mi si è parata davanti come
la testa di un uomo alto due metri che ti si siede davanti al
cinema, disturbandoti nella visione del film.
Per
dirla sinteticamente: in
Loro attendono non c'è un singolo personaggio femminile che di
profilo abbia uno spessore.
Eppure è un romanzo dove le donne hanno un ruolo centrale. L'unica
che si discosta da questo piattume è il sindaco di Bethany's sin, ma
anche in lei la volontà è ormai sottomessa al potere della Amazzoni.
Le donne di Bethany's sin sono creature deboli, suggestionabili. Acquistano forza e potere solo nel momento in cui le Amazzoni le posseggono, cessando di esistere.
L'esempio lo dà Kay, la moglie di Evan. Se McCammon avesse scelto lei nel ruolo dell'eroe sono convinta che tutto il romanzo ne avrebbe acquistato non
solo in originalità ma nel rafforzamento del
tema centrale,
che riguarda l'affrontare
le proprie paure e debolezze a costo della vita.
Così
invece abbiamo il personaggio di una donna ottusa, un po'
isterica, che nega l'evidenza fino quasi a morirne e che si
salva solo perché il marito interviene in suo soccorso,
sacrificandosi per lei.
A questo che, per me, è il più grande difetto dell'impianto
narrativo si aggiunge una gestione non proprio ottimale della
suspense.
E qui, di nuovo, sono costretta a fare paragoni con Levin.
Se
in Stepford Wives non capiamo, fino all'ultimissimo capitolo, che le
paturnie di Joanna non sono poi paturnie, che c'è davvero
qualcosa
che non va nelle sue vicine, qui il tentativo di McCammon di giocare
l'elemento sorpresa fallisce senza appello.
L'impressione che si ha durante la lettura è che l'autore sia
stato incerto fino all'ultimo se rivelare subito la natura
dell'allegra comunità di Bethany's Sin, oppure tenere tutto nascosto
per il gran finale.
Non
funziona. Non funziona perché che a Bethany's Sin le donne non sono quello che
sembrano lo capiamo praticamente dal primo incontro con i vicini di
casa.
Lo capiamo noi ma non il protagonista che, nonostante i sogni premonitori impiega metà romanzo per comprendere che dovrebbe fare
subito i bagagli e andarsene.
E sì che la soluzione gli viene praticamente urlata all'orecchio dal
marito mutilato della loro vicina.
Ma c'è di più.
Arriva il momento in cui Evan si convince che tutte le donne del
circondario siano delle pazze assassine. Eppure, nonostante
l'elefante che gli balla nella camera da letto, non batte ciglio
quando la
dottoressa dell'unico centro medico della comunità gli dice che deve
prendere in carico sua moglie, che a quel punto ha già dimostrato di
non essere più se stessa,
per poterla sottoporre a delle analisi.
La
cosa più divertente di quella scena? Il fatto che Evan non sia
costretto a consegnare la moglie la notte stessa in cui
il medico gli piomba in casa. No. Lui la fa ricoverare
tranquillamente
la mattina successiva. Quando la maggior parte di voi avrebbe già
provveduto a imbarcarsi sul primo volo di sola andata per l'Alaska.
È
questo il momento in cui si vede tutto il meccanismo
del romanzo,
meccanismo che avrebbe dovuto restare al riparo dagli occhi del
lettore. A McCammon serve che Kay vada in ospedale. Serve che Evan
resti da solo. Gli è necessario per la chiusura del romanzo. E lo fa
mandando la logica a cogliere margherite.
Purtroppo
non basta uno stile ricco di immagini e fortemente evocativo - una
scrittura capace di rendere trasparente il foglio dando modo al
lettore di vedere
la
scena descritta - a risollevare il giudizio su un
romanzo nel quale il tema centrale
viene sviluppato per inerzia e dove il protagonista ha un arco di
trasformazione che appare forzato rispetto allo sviluppo
dell'intreccio.
In
conclusione, Loro
attendono
è un romanzo che potenzialmente consiglio ai nostalgici di un certo
modo di fare orrore, fratello degli anni Ottanta. Ma, ecco, non mi
affannerei a cercarlo*.
*manca da dire che il romanzo è fuori catalogo da un bel po', ma si
riesce ancora a trovarlo sui banchetti dell'usato.
2 commenti
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Mc Cammon ha avuto in Italia un suo momento di rilancio una decina di anni fa grazie alla defunta Gargoyle che ne ha tradotto diversi volumi. Peccato che sia durato poco.
RispondiEliminaGià (a proposito, che fine ha fatto la Gargoyle?). Ho letto un gran bene di Baal e di un altro paio di suoi romanzi, che recupererò appena ne avrò l'occasione.
RispondiElimina