Voleva svegliare tutti intorno a lui: gli impiegati di tutti i reparti, uffici e istituti, tutti quelli che avevano la Tessera Mammaepapà e quelli che non l'avevano, tutte le donne attive e le donne passive e tutti i vecchi che non sapevano neanche più cosa significasse la parola, perché li avevano addormentati con l'illusione di vivere nell'età armoniosa. Voleva gridare così forte da far crollare le mura dell'oblio, da far rivivere tutte le parole che erano state cancellate, la parola fantasia, la parola sogno, la parola avventura. [L'uomo che voleva essere colpevole, Henrik Stangerup, trad. di A. Cambieri, Iperborea, 2017, p. 103]
Nel corso di una lite domestica Torben uccide brutalmente Edith, sua moglie. Quello che parrebbe l'inizio di un romanzo di sanguinosa attualità è, al contrario, l'avvio di una distopia postmoderna tra le più interessanti della narrativa contemporanea.
In L'uomo che voleva essere colpevole Henrik Stangerup racconta la battaglia di un uomo, Torben, per il riconoscimento del proprio crimine.
Torben desidera essere dichiarato colpevole perché solo in questo modo può riappropriarsi dello status di uomo in quanto tale, liberandosi della condizione di particella anonima, assolutamente irrilevante, di un organismo più complesso rappresentato dallo Stato .
Il protagonista del romanzo di Stangerup si trova a vivere in uno Stato pienamente votato al welfare, rappresentazione grottesca ed enfatizzata della socialdemocrazia scandinava, dove tutto quello che riguarda il singolo riguarda anche la comunità, e tutto è volto per mantenere questa comunità coesa, stabile e armonica.
In tale comunità, all'apparenza un paradiso socio-politico dove
tutti hanno un ruolo e anche i più indigenti possono beneficiare di
una casa e un pasto caldo; dove per avere figli bisogna passare dei
test, e ripeterli ciclicamente per mantenere il diritto alla potestà
genitoriale; dove l'infelicità è bandita per legge e la rabbia, la
frustrazione e il senso di inadeguatezza vengono tenuti sotto
controllo da settimanali incontri AA (Anti Aggressività), nessuno
può permettersi di riconoscersi come individuo a sé stante.
Come conseguenza di ciò il crimine, inteso come azione
compiuta dal singolo, non può esistere. Per questo la parola
criminalità, delitto e simili sono stati espunti dal dizionario e
cancellati dalla memoria collettiva.
Torben se ne rende conto quando, all'indomani dell'omicidio, si
ritrova come ospite di una clinica nella quale i medici tentano in tutti i modi di
convincerlo che ciò che è successo è diverso da quanto ricorda.
Lui non ha ucciso sua moglie, lo rassicurano, non avrebbe potuto
farlo. Perché avrebbe dovuto ucciderla? Chi vorrebbe mai compiere un'azione tanto insensata? Ciò che è successo è stato un incidente, e
solo riconoscendo la propria assoluta estraneità da quella morte,
Torben sarà libero di riprendere in mano la propria vita.
E se all'inizio Torben accetta la versione rassicurante degli specialisti, così
come accetta di prendere le medicine che gli vengono fornite e di
partecipare alle maratone di odio, dove riversare fuori tutta la
propria individualità repressa, a poco a poco si rende conto che quel compromesso,
piuttosto che liberarlo, lo rende schiavo di un sistema dove non
esisterebbe più, se non come traccia vocale in un registro, una volta morto.
Sulla ribellione di Torben, sul suo disperato bisogno di veder riconosciuto il proprio crimine e, per riflesso, la propria individualità, è incentrato il romanzo di Stangerup.
Romanzo che è una critica aperta a una società dove la tutela viene
portata agli estremi e la felicità collettiva barattata con
l'annullamento di ogni traccia di singolarità; dove persino fantasia e immaginazione vengono amputate dagli individui in nome della stabilità, così come accadeva nella società perfetta descritta da Zamjatin in Noi.
E tanto per fare paragoni distopici anche Torben, come il Winston Smith del 1984 orwelliano,
per lavoro si occupa di revisioni linguistiche.
Il suo
compito consiste nel cancellare, modificare o rendere meno crudeli
determinate espressioni, frasi o parole, in modo da non intaccare la pace sociale creando squilibri nelle piccole particelle che
la compongono.
Torben, che nasce come romanziere, si trova a dover accettare un
lavoro che è l'antitesi della sua professione di origine
proprio perché ai romanzi di pura narrativa, che suscitano nei
lettori emozioni forti e incontrollabili o desideri che spesso
rimangono irrealizzabili, i lettori vengono educati a preferire opere dal carattere e dall'utilità
sociale.
Romanzi che raccontano di come il protagonista, partendo da situazioni di crisi, a poco a poco riconosce il suo osceno egoismo, accetta di aprirsi
alla collettività e scopre di vivere in un mondo perfetto, dove ogni
senso è soddisfatto e non occorre cercare altrove una felicità che
è parte integrante della sua vita nella comunità.
Se vogliamo, l'unica debolezza di L'uomo
che voleva essere colpevole è il finale non proprio perfetto, certo meno incisivo di quanto l'arco
narrativo farebbe supporre; per il resto, si tratta di una storia dagli spunti interessanti, con un un world building di tutto rispetto e un protagonista ben costruito, un Josef K. al contrario, condannato alla non colpevolezza.
“Sono colpevole di omicidio!”Ora fu lei a guardarlo adirata:“Perché dici queste stupidaggini?”“Ma è la verità!”“Non esiste più la parola colpevole, lo sai benissimo anche tu...” [Ibidem, p. 74]
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