Prendete
una sera qualsiasi.
Siete sul divano, un occhio alla tv, uno al
cellulare. Mentre vi guardate la replica di Cuochi infami, il
programma è interrotto da una breaking news. Qualcuno, dice la
giornalista che sembra tesa ma non troppo, ha occupato il vostro
paese. Di più non si sa, per cui si dà spazio alla voce della
gente, con interviste a persone che ne sanno meno dei reporter
sparpagliati per la capitale.
Come
da buona abitudine, ammutolite la tv e cercate su Google, Twitter e
Facebook notizie più sicure. Non le trovate. O, meglio, ne trovate
tante, tutte discordanti. Alcuni siti parlano dell'occupazione come
di una bufala, altri sostengono che sia il vostro paese ad aver
occupato un altro territorio. Su Facebook i vostri contatti si
suddividono tra sostenitori dell'una o dell'altra tesi, che si
ramificano e si danno battaglia a colpi di molotov virtuali. Gli
account
Twitter dei complottisti sono impegnati in elaborate dietrologie da
140 caratteri l'una. I fact
checker
si ritrovano i cervelli in crash.
In tutto
questo, voi sbadigliate, pubblicate il video di un gattino che suona
l'arpa, vi godete i like e le condivisioni, vi grattate una natica,
scambiate qualche battuta sull'occupazione, cambiate canale finché
non imbroccate una vecchia e disagiata rete che dell'occupazione sa
niente e trasmette un western erotico. Vi appisolate certi che,
comunque vada, questa cosa dell'occupazione non sia poi così
importante per voi. “'Sticazzi” è l'ultimo commento coerente,
prima che cominciate a russare.
Nella sua
prima prova sulle lunghezze narrative, Alessandro Sesto mette in
scena una distopia che tra psicologia, sociologia, filosofia e
narratologia (e magari ho dimenticato qualcosa) analizza cosa succede
alla storia e al raccontare in un mondo di verità liquide.
Dove
nulla di ciò che accade è certo.
"Ogni
dichiarazione era accompagnata da filmati volti a comprovarla,
filmati ai quali però nessuno attribuiva più alcun valore. Non
sapremo più un cazzo di niente, pensò Andreas". [L'occupazione, Alessandro Sesto, Gorilla Sapiens ed. 2017, p. 17]
Come
prima opera lunga di un autore che ha dimostrato, in più di
un'occasione, di sapersi muovere con leggerezza e profondità nel
campo della narrativa breve, devo confessare di aver provato un po'
di fatica.
Il fatto
è che Alessandro Sesto è un autore di una cultura sregolata, alla
quale si associa una fantasia molto densa e prolifica. Un'inventiva
che sembra difficile da imbrigliare e, come quella cosa che sta al
centro del caos dell'Occupazione, si agita e crea, ininterrottamente,
mondi nei mondi, inserendo nella storia altre storie. In una sorta di
proteismo narrativo, Sesto crea un romanzo lacoontico, nel quale ci
si deve muovere bardati come se si andasse per foreste amazzoniche,
muniti di machete e di un buon antizanzare.
Questi
moscerini narrativi, che costantemente si infiltrano nella trama
principale e distraggono il lettore, non sono però solo
sovrabbondanti spunti che l'autore ha deciso di lasciare intorno per
semplice piacere personale. Sono, a dire la verità, l'elemento che dà alla
storia il suo senso. Che è un non-senso, perché nel mondo che Sesto
crea e nel quale, a ben vedere, noi ci troviamo a vivere, non c'è
possibilità di risposta né di conclusione.
Cos'è
che finisce? Cos'è che si risolve? Un romanzo. Un racconto possono
avere una fine; sciogliere i personaggi dai nodi nei quali
l'autore li ha intrappolati dà al lettore quell'appagamento che
cerca. Qui non c'è nulla del genere. Nessun pettine. Neppure un paio
di forbici. I nodi restano tutti, ancora più fitti, se possibile, di
quando la storia è cominciata.
C'era un
romanzo carino, letto da adolescente, che penso funzioni benissimo
come antitesi di L'occupazione. In questa storia, una delle scene che
mi avevano e continuano a “perseguitarmi” è relativa a un nodo.
C'è un nodo gigantesco, intricato, incrostato che nessuno è mai
stato capace di sciogliere. Finché non arriva il protagonista e, novello Artù dei nodi, libera i fili. Con pazienza,
tenacia, scalzandosi qualche unghia. Fatica come una bestia, mentre
tu vorresti allungargli un taglierino, regalargli un set di lacci nuovi.
Lui persiste e alla fine riesce a sciogliere quel dannato nodo. Chi
legge il romanzo si trova così libero, quando il ragazzino mostra i
due lacci penzolanti, che del resto della storia non gli importa più.
Perché la chiave del romanzo sta tutta in quel nodo impossibile.
Anche il
romanzo di Alessandro Sesto è, a suo modo, un nodo. Un nodo che,
però, il lettore non è chiamato a districare. Né, tanto meno, lo
fa l'autore. Anzi. I suoi personaggi quel nodo lo costruiscono, una
scena dopo l'altra, e vi aggiungono altri lacci, quelle
storie-mosquito di cui parlavo all'inizio.
Se il
punto di partenza è l'Occupazione, quell'evento che nessuno sa se
sia accaduto, che a nessuno importa, sebbene ci sia il sospetto che
sia importante, unito alla consapevolezza che non è possibile
interferire e che l'interferenza non cambierebbe lo stato delle cose,
vi si sviluppano attorno storie che con l'Occupazione hanno o non
hanno attinenza.
Andreas
che cerca Nora, Jacob che cerca Tokyo per menarlo o per farsi
picchiare, le partite di go, le escort, le società misteriose che
reclutano programmatori per occuparsi di motori di ricerca inutili,
nani a capo di sette, Satana... si aggrovigliano in una matassa di
storie e informazioni che non vengono risolte perché, dopotutto, la
non-soluzione è ciò che accade nella vita reale.
Dove non
esiste parola fine e nella quale anche la morte, pur togliendo dalla
scena un personaggio, non dipana i grovigli di chi resta. E non dà
risposte.
Se
dovessi fare un parallelo, ho trovato L'occupazione
simile, per struttura, a Dirk
Gently – agenzia investigativa olistica di
Douglas Adams. Forse il parallelo mi è venuto in mente solo perché
avevo appena terminato il romanzo di Adams, quando ho affrontato
quello di Sesto. E perché anche lì uno dei protagonisti è un
programmatore. Ma le sovrapposizioni narrative sono molto simili.
Così come il caos ordinato che dà forma all'intreccio.
Intreccio
nel quale Alessandro Sesto, con il suo stile ricco e pieno, nella sua apparente semplicità, porta
sulla pagina una serie di spunti e di riflessioni su ciò che è la
modernità, sulla narrativa, sulla religione, sull'esistenza,
sull'amore che è difficile, e riduttivo, e probabilmente sbaglierei
punto, parlarne in una recensione.
Questo è
un romanzo che va affrontato, per capirlo. E bisogna partire con la
consapevolezza che si potrebbe arrivare alla conclusione con più domande di quante se ne aveva all'inizio.
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Questo autore mi piace un sacco e sono d'accordo con tutto quello che hai scritto. Ho letto Lascia stare il la maggiore che lo ho già usato Beethoven e Moby Dicke altri racconti brevi, non vedo l'ora di recuperare questo romanzo :)
RispondiEliminaCiao Viola, Sesto è decisamente un autore particolare. Io ne sono rimasta folgorata dal racconto contenuto in Intanto, da qualche parte nello spazio... sempre per Gorilla Sapiens. E da allora non l'ho più mollato.
Eliminaè un tipo di racconto che sta tra il saggio, la filosofia, l'umorismo...
Qui c'è molta pi densità, rispetto a Moby Dick e Beethoven, richiede uno sforzo mentale maggiore. Ma ti lascia un senso di appagamento che ripaga ogni cosa.
Fammi sapere com'è andata la lettura.