Scrittore che, tra gli altri, influenzò l'opera di Olaf Stapledon (per il quale è già previsto un prossimo articolo); primo
fautore di uno studio critico su H. G. Wells, del quale era grande
ammiratore, John Davys Beresford è autore dimenticato di una narrativa
del fantastico e del perturbante dalle tematiche compiutamente
moderne. La sua si potrebbe quasi definire una fisiologia del soprannaturale, e fu certamente influenzata dalla psicoanalisi moderna che in quell'epoca compiva i primi passi.
Beresford nasce nel 1873 a Castor, Inghilterra in una famiglia fortemente religiosa (il padre era ministro di
culto), e viene colpito in tenerà età dalla polio che lascia sul suo corpo segni evidenti; questi due elementi: l'ombra di un padre opprimente e culturalmente lontano, e la malattia saranno le tematiche principali delle sue prime opere. Ma l'idea del corpo come
elemento estraneo, come macchina e trappola dello spirito verrà ripreso anche successivamente, come nel racconto "The man in the machine", la cui traduzione chiuderà la seconda parte di questo breve approfondimento sull'autore.
E se la contrapposizione padre-figlio, una incomunicabilità quasi
fisiologica perché frutto di una distanza non solo mentale ma anche
temporale, emerge per esempio con vigore nella novella “The
looking glass” (1922),
è nella sua opera più nota, il romanzo The Hampdenshire
Wonder (1911) che questo tema, assieme
a quello dell'handicap,
vengono metabolizzati e rielaborati sotto forma di
un racconto che ha per protagonista un ragazzino superdotato, un idrocefalico dalle qualità sorprendenti, il quale si trova a convivere con un genitore che sembra quasi rifiutarne, spaventato, la paternità.
Liberatosi dell'ombra paterna solo in età adulta quando, come reazione e
segno d'indipendenza, Beresford abbandona la religione cattolica per
affidarsi prima a un agnosticismo aperto, poi alla Teosofia e quindi al
pacifismo, l'autore introduce nei suoi scritti un terzo
tema, quello di una spiritualità innata che circonda le cose e
che va di pari passo con
la moderna ricerca
psicologica.
In Beresford c'è sempre qualcosa
che sembra aleggiare o permeare i
protagonisti
dei suoi racconti. Qualcosa
che vive all'esterno di essi,
e che si palesa nelle dimostrazioni di forza della natura, nelle sue
tempeste e nei suoi venti che soffiano da mare e che minacciano
di nutrirsi degli incauti che
osino sfidarle.
Qualcosa che
vive dentro i
protagonisti, che parla
attraverso di loro.
È forse quell'Es nato con la psicanalisi moderna; è l'anima che si
nasconde in qualche segreto meccanismo della coscienza; è la mente,
creatura inintelligibile, vero e proprio mistero. Un organismo, più
che un organo, in grado di compiere miracoli, e di far vedere a pochi
fortunati (o sfortunati) ciò che non tutti possono vedere.
E, in questo senso, la raccolta
Nineteen Impressions, che vede la stampa nel 1918, è un piccolo tesoro perché contiene una summa della
narrativa di Beresford,
dove si spazia dal racconto umoristico, con chiare influenze wellsiane, a quello sottilmente
orrorifico fino ad
arrivare a storie in cui la tematica dell'unione mentale tra uomo e
natura, uomo e uomo, uomo
e creature intangibili che popolano, non viste, il mondo fanno da
tema predominante.
Quella di Beresford è, in tutti i sensi, una narrativa clinica,
“fisiologica”; una psicanalisi del soprannaturale, nella quale è sempre presente l'interesse
vivo dell'autore per le scienze che, in quegli anni, avevano appena
cominciato a scandagliare l'insondabile “fossa delle Marianne”
del cervello umano.
In Beresford, il soprannaturale è un stretta relazione con
ciò che è fisico, mentale, psicologico. Psiche, corpo e anima sono
poste in una stretta relazione, e ciò vale non solo per l'elemento
umano ma anche per quello naturale.
Nei racconti presenti in Nineteen
Impressions, il soprannaturale ha sempre una relazione con la fisiologia e la
psicologia dei protagonisti. Come avviene, ad esempio, in “A case
of prevision”, dove le premonizioni di un uomo, scambiate per
allucinazioni visive, ne determinano la fine infausta. O in “An
effect of reincarnation”, nel quale la suggestione legata alla
presunta reminescenza di una vita passato finisce per condizionare
il carattere del personaggio principale, portandolo a mutare
radicalmente vita.
Ecco, in Beresford ciò che resta, al termine della lettura della
maggior parte dei racconti contenuti in nell'antologia è
l'incertezza psicologica, il dubbio, la possibilità che ciò che è
narrato sia frutto di un errore mentale o, al contrario, di uno
straordinario connubio tra l'inconcepibile e il possibile.
[Continua]
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