Scrivere è un mestiere pericoloso, seconda parte: SCRITTORI CHE MUOIONO MALE

Secondo appuntamento con la rubrica che vede il buon gusto e ci gira al largo.
Se nell'articolo precedente abbiamo parlato di quegli scrittori che, a un certo punto della loro vita, scompaiono senza dare spiegazioni (dimenticando un personaggio come Villon, che imperdonabile mancanza), da questo momento in poi viriamo decisamente al tetro.
Ora, vi avverto prima ancora che leggiate: non proseguite oltre.
Date fuoco a computer, tablet, macchine da scrivere e calamai.
Scrivere fa male alla salute.
Davvero.

Da ora in poi, ogni storia che leggerete si concluderà malamente
con
la 
Morte.

La morte. Nostra compagna fedele.

La morte è un po' come una cimice del letto: invisibile e impossibile da debellare. Puoi bruciare la casa e il circondario, ma lei troverà comunque un modo per sopravvivere. Alla faccia nostra, che possiamo forse sopravvivere ma non super-vivere e l'immortalità, a ben vedere, sarebbe pure noiosa e torturante, almeno a dar credito a Fosca, che comunque è immortale e certe considerazioni lasciano il tempo che trovano.
Tuttavia, sebbene tutti noi siamo destinati a morire, dobbiamo anche ammettere che c'è morte e morte. E che, per esempio, nessuno vorrebbe finire come il giudice Morton 


E agli scrittori come va?
Non sempre bene.

Di seguito, una casistica di scrittori morti male, ma davvero, davvero male.


ESCHILO (525 a. C. - 456 a. C.),
Tra le morti curiose, Eschilo certo detiene il premio di non riproducibilità della propria catarsi.
Autore di tragedie, e Autore con la A maiuscola, visto e considerato che è ritenuto il fondatore del genere, avendone stabilito alcuni elementi fondamentali, Eschilo è anche l'uomo al quale si deve la nascita della trilogia, intesa come serie di tre opere indipendenti ma legate tra loro da elementi di continuità.
Tra le sue opere complete fino a noi giunte (benché l'epitaffio si dimentichi di menzionare totalmente il suo ruolo di Autore, celebrandone solo la carriera militare), ci sono Le Supplici, Prometeo incatenato e I Sette contro Tebe.
Ma com'è che muore Eschilo?
A dar retta a Valerio Massimo, e non vedo perché non dovremmo, Eschilo muore per una tartaruga lanciatagli in testa da un'aquila. Che è un po' come venire uccisi da un fulmine a ciel sereno con un coefficiente di difficoltà elevato a n.
Ora, mi domando, se invece del tragico Eschilo avesse fatto, che so, il cardatore, se ne sarebbe stato, di primo pomeriggio, a perdere tempo su una roccia in quel di Sicilia? No, certo che no.
Perché è tutta lì la storia: lui, da buon Autore, si spiaggia al sole riflettendo sulla condizione umana, o sulla cena, o su quanto è stato cane quell'attore - che Zeus lo fulmini -, e intanto la sua lucida pelata riflette come un sasso. Non molto distante, un'aquila miope volteggia alla ricerca della roccia migliore sulla quale far schiantare la sua preziosa, succulenta e recalcitrante tartaruga. È un attimo guardare in basso, pensare: Ma che bel sasso robusto, e rilasciare gli artigli. Del resto all'aquila non si può certo fare una colpa per l'errore, se non ricordarle che, se avesse messo gli occhiali, non sarebbe rimasta a digiuno.
Se Eschilo muore di una morte al limite del wtf, della tartaruga, al contrario, non si ha nessuna ulteriore notizia. Confido si sia salvata.


PERCY SHELLEY (1792 – 1822)
Uomo abituato a viaggiare, il poeta Shelley, sia attivamente che col laudano. La sua prima opera è un romanzo gotico/ateo dall'infelice titolo di Zastrozzi.
Tra le sue opere val la pena ricordare Queen Mab, Ozymandias e il Prometeo liberato. La sua poetica è oltremodo interessante e importante tanto quanto la sua biografia e se avessimo tempo ve ne parlerei, davvero, ma non ne ho, né tempo né spazio, e sono sicura sappiate come fare una ricerca su internet.
Del resto, Percy Shelley viene ricordato dai più come marito di Mary Shelley, che ha avuto una maggiore fortuna e migliore fama popolare per quell'opera che molti dicono di aver letto, salvo poi confondersi tra leggere un libro e vedere un film, tra Il Prometeo moderno e Frankenstein Junior, finché per tutti Frankenstein diventa il nome del mostro mentre il povero Victor, attorno al quale ruota tutto il racconto, risulta non pervenuto.


Sia Mary che Percy andrebbero riscoperti, non solo perché la loro vita fu decisamente avventurosa, ma anche perché entrambi furono latori di idee e di una filosofia oltraggiosamente moderna, fatta di rivendicazione della necessità dell'ateismo e della celebrazione del libero amore, oltre che della non esclusività del legame coniugale.
Ora, può mai un personaggio come Percy Shelley, irrequieto dallo spirito all'aspetto, sperare di lasciare questo mondo in serenità? Certo che no.
Shelley salpa da Livorno, dove aveva appena fondato la rivista The Liberal, l'8 luglio 1822 alla volta di Villa Magni. Ha da poco compiuto trent'anni e ha già alle spalle una storia densissima. Shelley viaggia su una goletta che si è appositamente fatto costruire a Genova. Ma poco dopo essere salpato, una tempesta lo travolge e la barca cola a picco, portandosi appresso l'autore e i due compagni di viaggio. Verrà poi fuori che la goletta era molto bella, ma assolutamente non adatta alla navigazione, dal che è ragionevole supporre che Percy Shelley e gli altri due sarebbero annegati comunque, anche se il mare fosse stato una tavola.
Comunque. Ormai morto, non potendo sporgere reclamo all'armatore, il corpo del poeta viene ritrovato pochi giorni dopo sulla spiaggia di Viareggio e lì cremato, emulando il funerale di Miseno nel sesto libro dell'Eneide. E visto che se si è originali lo si deve essere fino alla fine, il cuore di Percy si carbonizza ma resta intatto e viene offerto a Mary, che lo custodirà gelosamente fino alla morte.
Che cosa romantica.


EDGAR ALLAN POE (1809 – 1849)
Poe è un autore in bilico: se non fosse stato per uno stampatore che l'aveva riconosciuto, oggi staremo qui a interrogarci sulla sua misteriosa scomparsa e non avremmo una tomba sulla quale far tintinnare bottiglie di buon rosso ricordando bei tempi che ci sono del tutto ignoti.
Ora, è verosimile credere che Poe stesso non avrebbe scommesso un penny sul fatto che sarebbe arrivato alla vecchiaia. Una vecchiaia serena, poi...
Inoltre, Poe era vittima di frequenti deliri e un giorno sì e l'altro pure, almeno a dar retta alle sue lettere e chiudendo un occhio sul fatto che amasse mentire, esprimeva il desiderio di uccidersi.
Ma si sarebbe ucciso davvero, Mr Poe?
Mi piacerebbe evocarlo e porgergli quest'unica domanda. Ho l'impressione che si scomporrebbe in una risata corale. Perché quello che Poe cercava da sempre non era la morte ma un mecenate, quel qualcuno che non era stato John Allan: un uomo disposto ad accollarsi le spese che gli permettessero di dar vita a una propria rivista letteraria. Ed è per questo che Poe si mette in viaggio, nel settembre 1849: per discutere della sua rivista con un possibile finanziatore.
Poe parte. Poi si perde. Poi viene ritrovato agonizzante e delirante in un vicolo di Baltimora dallo stampatore di prima. È avvelenato dall'alcol e muore quattro giorni dopo senza riprendere lucidità, in un lurido letto, con addosso panni non suoi, lontano dalla buona zia Clemm. Poe muore come un disgraziato, mentre tizi come Griswold gongolano e preparano i loro assurdi necrologi e infamanti articoli “in memoria di”.
Che c'è di strano nella morte per delirium tremens di un uomo spesso rappresentato a bere e a perdersi nel laudano?, direte voi.
Che Poe, probabilmente, non muore per causa sua.
L'ipotesi più accreditata è, infatti, che il suo avvelenamento sia stato provocato da terzi.
Nel 1849 a Baltimora si tenevano le elezioni, e in quell'epoca di democrazia ancora selvatica, quelli che volevano vincere le elezioni si facevano un giro nelle bettole, ingozzavano di alcol poveri cristi, e li portavano a votare a più riprese, nello stesso seggio o in seggi differenti, cambiando loro gli abiti per renderli meno riconoscibili. La pratica, ben nota, aveva il nome di cooping. Ovviamente, per un uomo già debilitato come Poe, la differenza tra un bicchierino in più e uno di troppo, tra ubriachezza e avvelenamento, è risicata. E, ahimè, letale.


ÉMILE ZOLA (1840 – 1902)
Zola comincia la sua carriera nel bel mondo della scrittura dal gradino più basso: come fattorino della casa editrice Hachette. Pur essendo privo di un titolo di studio che possa garantirgli un lavoro ben pagato, in poco tempo a Émile viene affidato l'ufficio Pubblicità della casa editrice. Quasi nello stesso momento, inizia anche la sua collaborazione con il Journal populaire di Lilla.
Se i suoi primi lavori come scrittore non ottengono il riscontro che forse si aspettava, la sua carriera come giornalista e polemista lo pone ben presto al centro dell'attenzione del pubblico e della polizia. Quando non è in stato di fermo, Zola si divide tra il suo impegno di giornalista politico, critico letterario e scrittore; Thérèse Raquin, il suo primo romanzo, scatenerà un'ondata di feroci polemiche per eccesso di realismo.
La fama di Zola è indubbiamente legata al suo ruolo nell'affare Dreyfus. L'esporsi in prima linea in difesa del capitano Alfred Dreyfus e il suo famosissimo J'accuse, pubblicato su L'Aurore non va molto a genio a esercito e conservatori, tanto che Zola viene condannato a un anno di carcere e a un'ammenda, condanna che lo costringe a fuggire in Inghilterra finché, nel 1900, un'amnistia non gli permette di tornare. E, una volta tornato, morire.
Zola muore il 29 settembre del 1902, per avvelenamento da monossido di carbonio. Un malfunzionamento della stufetta, fumo che esce dal tubo, lui che si alza dal letto per aprire la finestra, sbatte la testa e passa dall'incoscienza alla morte. Un modo quantomeno sospetto per andarsene, considerate le zanne nazionaliste che aspettavano trepidanti che l'uomo che aveva difeso Dreyfus si levasse, una volta per sempre, dai piedi. E che, alla notizia della sua morte, festeggiarono forse con eccessivo trasporto.


SHERWOOD ANDERSON (1876 – 1941)
Anche Sherwood Anderson, per un certo periodo, scompare. Se ne va per quattro giorni e poi ritorna senza dare particolari spiegazioni sulla sua “fuga dall'esistenza materialistica”. Scrittore che dava il meglio di sé nel racconto, e nel racconto breve, tra le sue opere principali da recuperare senza indugi la raccolta Winesburg, Ohio, che influenzò profondamente la narrativa americana e Riso nero, che è stato da poco riproposto in Italia da Cliquot. Autori come Hemingway, Faulkner e Steinbeck devono molto alla poetica e alla narrativa di Anderson.
Sherwood Anderson muore nel modo più sbagliato possibile: ingerendo uno stuzzicadenti. Che uno potrebbe scherzarci sopra ma io, dopo aver letto la sua storia, ho provveduto a bruciare tutti gli stuzzicadenti in giro per casa perché può capitare. Evidentemente, può capitare che uno stia facendo un aperitivo e, assieme all'oliva ripiena, butti giù pure lo stuzzicadenti che l'ha infilzata*. E quella sorta di ago di legno ci mette nulla a forarti lo stomaco, provocandoti una brutta peritonite e una brutta, bruttissima morte.

*queste sono congetture mie. Ma lo stuzzicadenti in qualche modo Anderson l'ha ingoiato


MARGARET MITCHELL (1900 – 1949)
Unica donna del gruppo, e scrittrice che personalmente mi piace un sacco, sia per quello che ha scritto sia per il carattere che aveva, oltre che giornalista la Mitchell è l'autrice di Via col vento, opera prima* che la occuperà per dieci anni e che si qualifica come best seller ad appena un mese dalla pubblicazione (“180.000 copie in quattro settimane!” Titolerebbero le fascette qualora qualcuno decidesse di traslare l'usanza nel passato).
Se da un lato la famiglia O'Hara e compagnia le porterà gloria imperitura, un Pulitzer, la candidatura al Nobel per la letteratura e un sacco di soldi di royalties, dall'altro si rivelerà una pesante croce da sopportare. Soffocata dalla notorietà per quel suo primo, ingombrante lavoro, la Mitchell coglie l'occasione offertale dalla guerra per togliersi da sotto i riflettori e diventare istruttrice di primo soccorso per la Croce Rossa.
Con la fine della guerra, e dell'ossessione per il suo best seller, Margaret può finalmente rimettersi alla macchina da scrivere. Ed è proprio allora, mentre già una nuova storia comincia a vedere la luce, che il destino vigliacco, sotto forma di taxi fuori servizio guidato da un tassista ubriaco, la investe mentre, con suo marito, sta attraversando la strada per andare ad assistere allo spettacolo mattutino dei Canterbury Tales. Dopo cinque giorni di coma, il 16 agosto 1949 la Mitchell muore. E tutti la ricorderanno solo come l'autrice di quell'unico romanzo che tanto detestava.

*In realtà la Mitchell aveva già scritto altri racconti, andati perduti tra i quali la novella Lost Laysen, scritta alla ragguardevole età di quindici anni, e che è stata riscoperta e pubblicata solo nel 1996.


TENNESSEE WILLIAMS (1911 - 1983)
Tennessee Williams (vero nome Thomas Lanier), scrittore e prolifico drammaturgo, fu autore, tra le altre opere, di Un tram che si chiama desiderio, melodramma ricco di pathos e affatto patetico che riecheggia nella memoria popolare per quella battuta urlata da Stanley 

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Viene facile pensare che le donne portate in scena da Williams, come la povera Blanche, siano un fantasma della sorella Rose, la quale, affetta da schizofrenia, dopo un breve ricovero in ospedale psichiatrico fu sottoposta a una lobotomia frontale che ne distrusse del tutto la volontà e la personalità. Del resto, lo stesso Williams soffriva di attacchi di panico ed era ossessionato dal timore, acutizzato dal senso di colpa non risolto per non aver potuto impedire l'operazione della sorella, di finire come Rose.
Per sua fortuna non andò così, e Williams concluse la sua esistenza a New York, in una camera d'albergo, il 25 febbraio del 1983. La causa della morte? Soffocamento provocato dal tappo di un collirio.
C'è da chiedersi come abbia fatto il tappo di un flaconcino di collirio a finire in gola a Williams. La risposta chiude il cerchio con un bel nastro: era uso dell'autore, mentre metteva il collirio, di tenere il tappino stretto tra i denti.

Che sembra tanto un invito a danzare rivolto alla morte, non pare anche a voi?

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1 commento

  1. Alcune di queste morti oltre ad essere pessime sono anche assurde!
    Ma se dovessi dire qual'è la migliore direi quella di Eschilio. Almeno era all'aperto, col sole e un bel paesaggio magari, e poi era in luogo incontaminato pieno di nnnatura.
    E fu così che Eschilio divenne il santo protettore delle testuggini u.u

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