Dopo la
pausa Ewersiana, torniamo a occuparci di cose serie, e cioè del
perché l'OMS dovrebbe impegnarsi per fare campagne di dissuasione
dalla scrittura.
Ora.
Nella casistica delle cause di morte tra gli scrittori, pare che il
suicidio sia secondo solo all'infarto. E non è, probabilmente, un
caso.
Posate
per un istante la penna.
Date
retta ad alcuni di coloro che non sono riusciti a fermarsi in tempo.
Quello
che fluisce dalla stilografica non è inchiostro: è il nostro
sangue.
JAN
POTOCKI (1761 – 1815)
Jan
Potocki fu uomo politico e diplomatico. Viaggiò molto e lasciò a
noi posteri quella bella opera che è il Manoscritto
trovato a Saragozza.
Il Manoscritto è una inception letteraria nella quale il
protagonista, Alfonso van Worden, si trova ad affrontare in sessanta
giornate altrettanti risvegli sotto una forca, mentre ogni volta
incontra un personaggio diverso che gli racconta la sua storia. Che
lui ha fretta ma niente: vieni qui, amico mio, che ho questo fiume di
parole nel quale annegarti.
Un uomo
capace di siffatto scritto non poteva, ovviamente, scegliere di
lasciare il mondo senza un guizzo di elaborata genialità dando
inoltre, oserei dire, prova di un pervicace desiderio di morte.
Depresso
forse proprio a causa della fine del suo lavoro più importante (il
Manoscritto in versione integrale è datato 1813), un bel giorno
Potocki spicca dalla sua teiera una fragola
d'argento.
La lima minuziosamente e, una volta adatta alla canna della sua
pistola, la usa per dare il suo addio al mondo. Che non è un bel
modo per salutare la vita ma, di certo, originale.
JOHN
WILLIAM POLIDORI (1795 – 1821)
Figlio
del segretario di Vittorio Alfieri e di una governante, Polidori si
laureò in medicina, divenendo il medico personale di Lord Byron e,
proprio in qualità di medico, si ritrovò alla famosa Villa Diodati
dove, una notte di tempesta, nacquero sia il suo Vampiro
che Victor Frankenstein.
Succede
poi che, nel 1819, non solo Il Vampiro viene pubblicato sul New
Monthly Magazine senza il suo permesso, ma inoltre la paternità
dell'opera viene attribuita a Byron, che Polidori in redazione
nessuno sapeva chi fosse.
Tuttavia
al priore di Amplefoth deve comunque giungere voce sulla verità
attorno al racconto e così quando, pressato da una certa vocazione
religiosa oltre che da certi debiti, Polidori chiede di poter
intraprendere la carriera ecclesiastica, il prelato gli risponde
picche facendo gesti poco carini.
Depresso
e angosciato, dopo aver scritto il poema religioso The
Falls of the Angels, a
Polidori non resta che brindare all'insensatezza della vita con un
cocktail
di cianuro.
Prosit.
EMILIO
SALGARI (1862 – 1911)
Un po' la
risposta italiana a Edgard Rice Burroughs, Emilio Salgari è uno di
quegli autori che andrebbero approfonditi a parte, e non è detto che
non accadrà, in futuro.
Ed è
anche la controprova di quanto, ancora meglio del crimine, la
scrittura (e la scrittura di genere) non paghi.
Almeno in
Italia.
Autore
prolifico di romanzi d'avventura e di curiosi esordi
fantascientifici, Salgari chiude i conti con la vita con un attivo di
ottanta romanzi e più di un centinaio di racconti scritti in poco
meno di trent'anni.
Nonostante
la rapidità di scrittura, non voluta ma pretesa dalle case editrici
con le quali firmò contratti capestro per sostenere le spese della
famiglia e delle cure per la moglie, progressivamente sprofondata
nella follia, Salgari ci ha regalato (letteralmente) personaggi del
calibro di Sandokan, il Corsaro Nero e sua figlia Jolanda. Ormai
vere e proprie leggende.
Sfruttato
all'inverosimile, pieno di debiti, con una moglie amata ma sempre più
vicina al manicomio e quattro figli piccoli a cui badare, Salgari
tenta il suicidio una prima volta nel 1909, gettandosi su una spada.
Viene salvato dalla figlia Fatima e, per un po', torna a stringere i
denti.
Ci vorrà
il ricovero della moglie Ida, ormai non più gestibile, per
annichilirlo del tutto.
Il
25 aprile 1911 lascia tre lettere, nelle quali dà indicazioni su
dove recuperare il suo cadavere, e parte in autobus con un rasoio in
tasca. Si fa lasciare dalle parti di Villa Rey e lì, nel chiarore
dell'alba, dopo
aver mandato a fare in culo i suoi editori*,
si suicida squarciandosi gola e ventre.
I funerali, celebrati al Parco del Valentino, verranno disertati
perché, in quegli stessi giorni, a Torino ci si preparava per il mezzo secolo dell'Unità d'Italia e andare per funerali pareva brutto .
*Questo è
il messaggio d'addio che Salgari lasciò agli editori. Consiglio di
farne quadretto a punto croce, incorniciarlo e appenderlo accanto
alla scrivania:
“A
voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia
famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo
che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei
funerali. Vi
saluto spezzando la penna.”
ROBERT
ERVIN HOWARD (1906 – 1936)
Tra i
membri del gruppo il più giovane. Trent'anni appena. Ma, pur nella sua breve vita, Robert E. Howard è stato in grado di lasciare a
noi posteri una quantità abnorme di racconti e romanzi tra heroic
fantasy, horror, weird e western.
Howard
ha saputo dare vita a personaggi che hanno varcato i confini del
tempo, divenendo delle vere e proprie icone come il cimmero Conan,
Kull
e Solomon
Kane.
Sua madre
Hester, alla quale Howard fu sempre molto legato, ebbe una profonda
influenza su di lui, sia trasmettendogli la propria passione per la
letteratura e la poesia, sia incoraggiandolo con la scrittura.
Sul
finire degli anni '30 Roberto Howard cominciò una fitta
corrispondenza con Lovecraft, divenendo ben presto uno dei membri di
diritto del “Lovecraft Circle”.
Quella di
Robert E. Howard sembrava dunque una carriera destinata alla
deflagrazione, finché non arriva il 1936 che si mette di traverso e
fa inciampare il nostro autore.
Per
Robert cominciano i problemi, da quelli economici (ritardi nei
pagamenti da parte di Weird Tales) a quelli sentimentali. L'horror
vacui prende il sopravvento. Bussa e ribussa
alla mente del nostro che ha da poco varcato la soglia dei
trent'anni, trovandosi davanti qualcosa che assomiglia
spaventosamente a un burrone.
Nel
frattempo le condizioni di Hester, da tempo malata di tubercolosi,
peggiorano. La donna che rappresentava il suo centro fisso è una
roccia sul punto di franare.
È presumibilmente a quel
punto che Howard decide di anticipare la frana. Alcune settimane
prima del suicidio mette in ordine le sue carte, dà istruzioni al
suo agente in caso di morte, si fa prestare una Colt e acquista una
tomba di famiglia.
Tra il 10
e l'11 giugno le condizioni di Hester si aggravano e la donna scivola
nel coma. Dopo aver ricevuto dall'infermiera che l'assiste
l'assicurazione che sua madre non riprenderà più conoscenza, Howard
esce di casa, raggiunge la macchina, si siede alla guida, prende la
pistola e si spara.
Morirà
otto ore dopo. Sua madre lo seguirà il giorno seguente.
Arrotolato
al rullo della sua macchina da scrivere verrà ritrovata la sua
ultima nota; alcuni versi tratti da La
casa di Cesare
di Viola Garvin:
“All
fled, all done, so lift me on the pyre;
The feast
is over and the lamps expire”.
(Tutto è
fuggito, tutto è compiuto, perciò ponetemi sulla pira;
la festa
è terminata e le torce sono spente)
ROBERT
HAYWARD BARLOW (1918 – 1951)
Altro
membro del “Lovecraft Circle” nonché amico di Robert E. Howard;
Robert H. Barlow fu, prima ancora che scrittore, antropologo, storico
specializzato nella storia coloniale del Messico, esperto del
linguaggio Nahuatl e responsabile del dipartimento di Antropologia
del Messico City College.
Sebbene
al suo attivo abbia una manciata di racconti di genere e altrettante poesie, è come amico
di Lovecraft che Barlow assume una certa rilevanza, sia in quanto
principale dattilografo dei suoi manoscritti sia nella veste di
esecutore testamentario alla sua morte.
Il
2 gennaio 1951, a seguito di uno screzio con uno studente, e
terrorizzato dalla possibilità che questi ne denunciasse
l'omosessualità a colleghi e superiori, Barlow si chiude a chiave
nella sua camera e si suicida con un'overdose di barbiturici, non
prima di aver lasciato appeso alla porta della stanza un
cartello che
recita,
in pittogrammi Maya:
“Do not disturb me. I want sleep a long time” (Non disturbatemi.
Voglio dormire per molto tempo.)
JAMES
TIPTREE JR. (1915 - 1987)
(AL
SECOLO ALICE BRADLEY SHELDON)
Fino al
1977 non si sapeva molto su James Tiptree Jr., se non che il suo nome
richiamava una nota marca di marmellate e che le sue opere di
fantascienza erano venate da una cupa e onnipresente melodia di
morte.
Una volta
scoperto che dietro uno pseudonimo maschile si celava Alice Sheldon,
non ci furono comunque incidenti di sorta, se non qualche imbarazzo
in autori che, nel fare da curatori ad antologie, avevano dato per
scontata la sua appartenenza al sesso forte.
Tra
le sue opere più belle e facilmente rintracciabili in Italia, ...e
sarà la luce!,
storia di rimorso e di molto amore su un mondo incontaminato divenuto
riserva planetaria, dopo le razzie e le crudeltà nei confronti dei
suoi abitanti compiute nel passato. Con una struttura narrativa che a
tratti richiama i Dieci
piccoli indiani della
Christie, …e
sarà la luce! È
anche quel romanzo di fantascienza che racchiude e meglio espone le
tematiche più ricorrenti in James Tiptree Jr., quali l'ecologia,
l'amore, il sesso e la morte.
Malata da
tempo e desiderosa di terminare la sua vita prima di non poter più
provvedere a se stessa, la Sheldon scrisse la sua lettera di addio anni prima
del suicidio, arrivando a stipulare con Hungtington, suo marito, un
patto.
Infine, il 19
maggio 1987, poco prima dell'alba, prende la sua pistola e spara nel sonno a “Ting”
ormai cieco e non più autosufficiente, ponendo fine al dilemma che
le aveva impedito, undici anni prima, di chiudere la sua partita con
la vita. Subito dopo telefona al suo avvocato e gli comunica quanto
sta per fare. Quindi si sdraia accanto al marito, gli prende la mano e si spara un colpo
alla tempia. Entrambi i corpi verranno ritrovati così: mano nella
mano.
Perché la morte non separasse ciò che la vita aveva unito.
---
[Disclaimer. Il tono leggero del post non vuole assolutamente minimizzare la
tragedia che sta dietro ogni suicidio o tentato suicidio ma, anzi, vuole porre in luce quanto spesso gesti che appaiono improvvisi siano a lungo sofferti e ponderati.]
Chi vuol commentare, lo faccia senza paura.
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Post interessante, anche se mi dispiace per i poveri autori.
RispondiEliminaUna volta avevo scritto un post pensando che gli autori, anche se noi li adoriamo, magari sono persone normalissime o anche meschine. Molti che sono ritenuti geni hanno vissuto vite segnate da droga o altri eccessi, quindi mi chiedevo: se fossero stati più 'tranquilli', avrebbero lo stesso avuto quel genio nello scrivere?
Ancora non so rispondermi.