*The Question n°2* - Intervista a Emiliano Billai

Buon venerdì lettori :3
Ho intervistato per voi Emiliano Billai, illustratore, contastorie e capitano in seconda per La Piccola Volante.
Abbiamo avuto una lunga e proficua chiacchierata sul suo lavoro di illustratore e non solo :)
Ma visto che c'è molto da leggere, vi lascio alla lettura dell'intervista senza aggiungere altro <3

D. Ciao Emiliano, e grazie per aver accettato di rispondere a qualche domanda. La prima domanda obbligatoria (che, so, non ti piacerà affatto) è: dicci qualcosa di te. 

E.B. Ihihihih, scopri un fianco pericoloso. Io Odio, Oddio come odio, il "chi sei". Al di fuori di ciò che Sembra che la gente abbia bisogno di avere un assaggio di TE, prima di dar un minimo credito a quello che FAI. Non ti sembra? Quello che faccio diventa vendibile e bello solo se divento IO una figurina da album? Siamo abituati NON più al valore effettivo di un lavoro, no, neanche alla competenza, ma all'immagine personale di chi fa quella determinata cosa 
faccio per gli altri, in questo caso "illustrare", chi mai sarò? Nessuno. Chiedi forse, hai forse l'esigenza di chiedere al manovale chi mai sia? Al pescivendolo "Quattro triglie di scoglio, ma dimmi chi sei lontano da questi pesci!" ? E' la distorsione passata alla norma che mi indispettisce.


D. -La pittura è un modo di vedere la realtà che traspare anche dalle tue storie scritte (mi riferisco a Pane Vol.1, il primo dei tuoi romanzi letti e che a breve verrà recensito sul blog). Puoi dirci se e in che modo l’arte condiziona la tua vita? 

E.B. Quello che faccio (partendo dall'onestissimo presupposto che non
Galea
sia vera arte) condiziona tuuuuuutta la mia vita, tutta la mia giornata.
 
Ma non si può mettere le due cose sullo stesso piano: almeno io le ritengo due aspetti diversi del mio modo di vedere il mondo. Perché li affronto in due maniere completamente diverse: io non sono uno scrittore: racconto storie, ma sono un illustratore. Quando illustro lo faccio per gli altri.
Io amo il genere umano: è splendido, affascinate, intelligente. Il mio "vi odio tutti" è proprio un eccesso di filantropia! Odio chi svilisce il genere umano, questa meravigliosa specie. 
Illustrare è il mio lavoro, e mi avvicina agli altri perché illustro PER GLI ALTRI. Ed è splendido. Che bello che è avere a che fare con gli uomini. Comunicare un rancore, un amore, un rancore, odio, affetto, odio, dispetto, rispetto, odio...ho già detto odio? scusa. è quello che preferisco, quello è il mio lavoro. 

"Scrivere" o, meglio, siamo onesti: raccontare. Lì sono un fottuto egoista; è il mio gioco, il mio riparo, il
La madonna Luttuosa
mio nascondiglio.
Racconto quando non voglio avere a che fare con gli abomini che rovinano la mia amata specie. Gioco per me, e se mi salva, va bene, ha funzionato. Se quello che racconto finisce nel cestino del "Cancelliamo questa cagata solenne dalla storia della narrativa", io non ci perdo nulla; ma, al contrario, se ciò che ne viene fuori è un bel gioco per una sola persona la mondo, allora ci ho guadagnato. Ecco perché non è possibile affrontare i due giochi sullo stesso piano con me. Poi credo sia ovvio, normale, che quello che faccio per lavoro coli oltre il bordo e impregni anche quel che "racconto", ma non è una scelta mia, non me ne accorgo. Così come è naturale che “l’illustrare” condizioni tutta la mia vita. Colori, gesti, modi, luci, interazioni, reazioni...frugo e mangio tutto. Molte volte vengo rimproverato per questa deformazione: "smettila di fissare la gente", "smettila di spiare la gente a quel tavolino" ma quanta roba meravigliosa hanno da copiare! mamma mia! La gente gira il cucchiaino dentro la tazzina di caffè in migliaia di maniere diverse! È spettacolare 

Sidorec
D. -Io ti conosco principalmente per le illustrazioni e le copertine fatte per La piccola volante, che rappresentano, forse, le opere in cui esprimi più liberamente te stesso. Che differenza c’è tra questi lavori e quelli delle prime volte che hai preso in mano una matita? 
E. B. La differenza sta nelle migliaia di botte prese, nelle centinaia di rifiuti e, per fortuna, in una marea sconsiderata di rimproveri. All'inizio mi rimproveravano tutto: dalla prospettiva, alla pennellata, alla scelta di colori, la totale assenza di linee di fuga… E avevo paura: quando è in gioco il tuo fallimento, quando non ti senti sicuro (e consiglio a tutti di non sentirsi mai completamente sicuri) certo che hai paura. Ma poi passa: passa quando capisci che quel fallimento ti porta qualcosa di nuovo, qualcosa di utile. Oggi, dopo tante botte, non ho più paura del pennello; o di sbagliare. So che ci sono mille ripari in corso d'opera. Mille modi per caricare il colore o diluirlo, nella stessa tavola. Tecnicamente è ovvio che sia molto diverso dall'inizio, ma in tanti ignorano che le botte son da prendere. Nascondono le pecche e le falle dietro "scelte dell'artista" e smettono di imparare. Ecco perché non adoro essere chiamato "artista!". Diciamolo: sono solo un cialtrone. 
Quando lavoro per LPV, non ho confini, non ho limiti, gioco fuori da ogni schema, con chi gioca con
The Dreamers
me. Trovo le soluzioni in corsa le troviamo insieme, è super bello, è liberatorio! Giocare dentro gli schemi degli altri, invece è più impegnativo, è più pericoloso e, quindi, più eccitante. Scoprire dietro le righe le intenzioni e i desideri non detti. Frugare oltre le paroline per scoprire cosa veramente desideri il committente; imparare a parlare e capire una lingua mai pronunciata. È diverso. Ma mi piace un sacco!

D. –Ma oltre ai calci e ai rifiuti, anche avere a che fare con altri artisti deve averti aiutato a capire cosa volevi dalle tele e dai pennelli, a scoprire cosa c’era nascosto sopra e dentro. Vuoi fare qualche ringraziamento speciale?  

E. B. Sono millemila; di molti neanche so pronunciare il nome. Posso dirti, per esempio che il mio rapporto con l'acqua è migliorato tantissimo frugando e spiando i lavori di Mao; che la progettazione è migliorata studiando un poco di fotografia, con amici fotografi (Francesco Armeni, che nomino perché gli voglio beneeee!) 

D. –Ognuno ha una persona che ritiene il suo Primo Giudice. Chi riveste quel ruolo per te? 
Mirror

E. B. Michela, la mia compagna. Lei è il primo giudice ,e immediatamente dopo, vengono...tutti! Tutti sì. Giocare con tutti, leggere le reazioni di tutti, e dissotterrare ciò che avrebbero voluto, ciò che vedono e utilizzarlo al prossimo gioco. Sai quelli che si fanno chiamare artisti, pittori… e robe belle del genere? Ecco, quelli non mi piacciono. Ignorano disgraziatamente che senza le persone intorno, la loro partecipazione ai giochi, noi del settore non tireremmo fuori dal cilindro manco una zampa di coniglio! 

D. -Riesci a ricordare il giorno in cui hai deciso: da grande farò l’illustratore? 

E.B. La scelta, quando la feci, no, non posso ricordarlo. 
 Le scelte, questo genere di scelte arrivano come un germoglio, da sole, e non sai mai da quanto tempo
LCarroll
dormivano.
Tutto dipende da come sei cresciuto, chi ti ha educato, a cosa ti ha educato. I miei genitori mi hanno educato ad "imparare". E imparando ho infilato nel tamburo poche sentite munizioni. 
Ma ricordo quando pronunciai quella frase. Proprio quella frase. 
Fu dopo due anni dalla morte di mio padre. Prima non prendevo seriamente questa possibilità. Indispettito dalla pesante mediocrità con cui ancora oggi si butta nel cesso il diritto e il rispetto per il lavoro, in cambio di un tozzo di pane raffermo, decisi di seguire Michela a Urbino, dove lei ha concluso gli studi, e lì pronunciai quella frase: "fanculo, se devo fare la fame, tanto vale che la faccia di mio, non per riempire le tasche di chi mi tratta e mi chiama pure asino! Amore, io faccio l'illustratore!" "Saranno cazzi, lo sai?", mi rispose. 
Fantasmi
Ehehe...”da grande voglio fare il biologo”, dissi a mio padre. Poi diventò: "da grande voglio fare l'etologo." Poi si trasformò in un tentativo di diventarlo, ma sono un asino e la forza di lavorare e studiare contemporaneamente non l'ho avuta. In compenso diventai guida escursionistica e lavorai per quattro anni scaraventato tra volpi e capre. Forse il lavoro più bello mai fatto in vita mia. Sì, se la gioca al fotofinish con quello dell'illustratore. Ma questo genere di cose in quest'isola [la Sardegna ndR] hanno più o meno la longevità di una gallina ovaiola. Ma il profumo di terra e cisto ti rimane dentro e non se ne va più via. 

D. –Siamo arrivati alla Natura e alla Sardegna; due “soggetti” che hanno, entrambi, una parte importante nelle tue opere: vuoi parlarcene? 

E.B. Per come la vedo io: siamo solo gli ambasciatori di quello che ci circonda, e uno dei nostri scopi è
Sulla Cera
ricordare le cose stupende che abbiamo intorno.
Devo molto alla mia terra, ai suoi suoni e ai suoi profumi, per ogni stria che ho illustrato e raccontato. Oddio, non è un obbligo religioso eh! Voglio dire, se fossi cresciuto in un contesto URBANO, probabilmente il mio lavoro sarebbe condizionato da altri colori e altri suoni, ma il principio è lo stesso. Il mio punto di vista non è il più sacro. Io sono cresciuto correndo in montagna accompagnato da un cane. Altri fanno meraviglie di color cemento, e non sono da meno assolutamente 

D. -Vivere da illustratore in Italia. Qual è l’ostacolo maggiore che un artista deve affrontare, secondo te, nel nostro paese? 

E.B. Me la vuoi fare davvero? Perché a riguardo c'è una nauseabonda ipocrisia. La stessa che impregna tutti i settori professionali in Italia. 
Innanzitutto, ti presento il teatrino che puntualmente affronto: 
"Tu, che lavoro fai?" 
"L'illustratore" 
"Che?" 
"Illustro..disegno e coloro per la propaganda, l'editoria..." 
"Ah, ho capito, sì, ma di lavoro che fai?" 
Che la burocrazia e i meccanismi non facilitino il lavoro in Italia è cosa sacrosanta, ma il problema di fondo è che l'Italiano non spende in media un briciolo d'attenzione a qualcosa che non abbia il marchio di una multinazionale addosso. Chiudono librerie come cadono i petali da un mandorlo, e non è la crisi. Perché una storia da leggere non costa quando telefonino. Chiudono le librerie perché a quasi nessuno importa di leggere. Oggi laggente (e così torniamo al discorso del nome!) non mostra alcun interesse per il mestiere degli altri. Si innamora dei personaggi con più followers su twitter! Siamo il popolo che si lamenta che la cultura è importante e va curata! E, contemporaneamente, siamo lo stesso popolo che non legge quasi più. Non concepisce quel (il nostro) lavoro come lavoro vero se a proporglielo non è un tizio leccato dalle telecamere. "Ti piace, no? Ti sei divertito, no, a fare il disegnino? Devo pure pagartelo?" Perché "non sei nessuno". E se non sei nessuno quello che fai, per quanto sia fatto bene, non ha valore. Ecco come si vive in Italia facendo l'illustratore o simili. 
Però ATTENTA, per carità, ti prego: Io non sto dando per scontato che sono il più bravo e merito attenzione! No. Piuttosto è che non saprò mai quanto valgo, e questo mi manda in bestia, molto. Non saprò mai quanto sono in grado di fare, perché il settore è così infeltrito e...come dire, filtrato, così tanto da impedire uno scambio vero. In questo contesto è quasi fisiologico che non venga valutato come professione. Diciamo che oggi è al limite del "non serve”. 

D. -Un libro, un film e una serie tv (o un fumetto) che ha inciso un solco profondo sulla corteccia di Emiliano Billai. 

Strega
E. B. Non ci riesco. Potrei dirti un titolo e dopo due secondi aggiungertene un altro e un altro ancora... all'infinito. Ci sono troppe storie che mi hanno innamorato, cambiato condizionato, per sceglierne una sola e per fortuna non esiste la “storia perfetta” che abbia saziato tutto quanto. 
Posso però dirti cosa in generale mi ha scalfito la corteccia; non una storia, ma un genere: il fantasy. Ma non quello fatto di elfi stracciaballe o guerrieri perfetti! Adoro il surreale, spinto o appena accennato che sia. Adoro i toni scuri, e lo sbiadire del confine tra il buono e il cattivo; adoro gli eroi colpevoli, e i cattivi di buonsenso. Adoro quando propositi buoni e errori malsani si mischiano. Mi piace quando va come deve andare, senza scrupoli o salvezza forzata. Non adoro il lieto fine a tutti costi. Finisca come deve finire e si pianga quanto si deve piangere. Non adoro gli incantesimi, che se esistessero, se mai li trovassimo, sarebbe bello, troppo bello, e presto..troppo presto. 

D. -Com’è creare una copertina? 

E.B. è come ...mmm... è un dispendio di follia esagerato. 
Esistono diverse tipologie di approccio: delle volte, a leggere la storia che devi vestire ti innamori. E diventa come cucire il vestito da sposa a tua figlia. Altre volte non riesci ad innamorarti della storia. Ma il gioco cambia, non diventa più brutto, o sgradevole, no, mai; semplicemente cambia. 
Nel primo caso devi certo intuire che cosa vuole l'autore o l'editore, ma giochi più di cuore, d'istinto, cerchi un rapporto più caldo e personale con la storia. Nel secondo caso pesa di più la ricerca; togli le parole degli scambi con il cliente e frughi sotto. Cerchi la lingua che non ha parlato. Cerchi il colore che non ha detto ma che vuole, e speri di scoprirlo, di aver catturato quello giusto. In entrambi i casi c'è una "caccia" in comune: è quella dei particolari importanti, dentro la storia. Quei puntigli che fanno la storia ma non la spoilerano in copertina. 
In certi casi cerchi proprio l'imbroglio. Depisti il lettore, crei un'aspettativa dirottata qualche millimetro dalla rotta originale. È, come dire, aggiungere o togliere il sale dalle patatine. Che il lettore scopra non un gusto diverso alle patatine, ma si sorprenda da quel particolare diverso che dava per scontato. 
Io non adoro come oggi l'editoria italiana concepisce il vestito di una storia. No. Non c’è fascino e, in alcuni casi, non c'è mistero. Per vedere davvero bei lavori, consiglio di abbandonare i grandi marchi e frugare tra le piccole realtà che ancora riescono a divertirsi a fare questo lavoro. Comunque fare una copertina è bello. Molti ignorano che quando fai questo lavoro devi "condividere" molto di te con le persone con cui lo svolgi. Per le copertine...sei come costretto a rubare dagli angolini degli altri Oggi vedo molti "artisti" dimenticare completamente questo aspetto, lo scambio, la condivisione. Oggi si lavora in questo settore, spesso solo per creare una immagine propria. Ed è pericoloso, perché questa tendenza mette in primo piano la facilità di creare una immagine di sé che poi alla fine sazia e ci spegne. 

D. –Questo per quanto riguarda le copertine. E invece, le illustrazioni? Come inizi a mettere mano a un’illustrazione, da dove partono le idee, come e perché si sviluppano in una determinata forma? 

E.B. Dimenticandomi completamente di me stesso. Quello è sempre l'impedimento più grande. L’”IO”. Quando illustri, per qualunque motivo, illustri quello che hai in mente. Innamorarsi della propria immagine di illustratore è la morte di un illustratore. Se ti dimentichi che esisti, invece, puoi prendere la forma che ti pare. Prima arriva quello che voglio dire. Poi arriva la forma e il mezzo più efficace e più inatteso per dirlo. Poi arriva il foglio. Di sicuro è raro che arrivi a una soluzione subito; all’inizio pasticcio, delle volte anche cose che non hanno a che fare con quello che ho pensato. Ma prima o poi dal groviglio sbuca qualcosa, e sbuca quando non lo guardi. Ride alla coda del tuo occhio. Se fai in tempo lo becchi, cancelli il resto e lo condanni a crescere. 
Ma, ripeto, puoi farlo solo se tu in quel momento non esisti. Perché sei tu quello che deve prendere colore e forma e rimani quello finché il colore non si asciuga. Sinceramente, non vedo alcun senso nell'illustrare nel pieno della propria lucidità. La cosa migliore da fare è sempre cercare il mezzo più improbabile: se devi parlare di corse, allora usa una lumaca. La lumaca aprirà molte più prospettive sulla corsa di qualsiasi mezzo veloce. Mai cadere nella soluzione più facile: infeltrisce il cervello e non funziona. E mai aver paura. Se vincolassi il mio lavoro al senso comune, non produrrei nulla. Spesso il primo pensiero va a una chiave di lettura che dia fastidio. Sai quei fastidi ingiustificati? Quelli che "non si dice, perché no!"... La forma dipende. Dipende dal gioco che mi piglia. La pesantezza, il carico di colore o acqua....dipende da cosa succede nel frattempo, ogni gioco prende la via che vuole a un certo punto. Magari continua a chiamare il colore da una parte e a rifiutarlo dall'altra, o un angolo diventa tondo, un sorriso un broncio...dipende. Non so ripercorrere il processo per filo e per segno, in nessuno dei miei giochi. 

D. –Bene Emiliano, è stata una bella chiacchierata. Chi volesse saperne di più su di te e sui tuoi lavori, dove può andare oltre che sul sito della Piccola Volante

E.B. Mi trovate sia su Behance che qui: billaillustrator.altervista.org

***
Spero che l'intervista vi sia piaciuta. Vi lascio con altri assaggi dei lavori di Emiliano (ma ne troverete altri andando sui link di riferimento :).E aspetto i vostri commenti <3

Red Whale

Donna cannone

Spider



Locandina per premio letterario Giuseppe Dessì




2 commenti

  1. Ciao! Proprio una bella intervista, mi è piaciuta soparttuto la parte dove Emiliano spiega come nascono le illustrazioni, penso che le sue parole possano essere usate anche per la nascita delle Storie..dal groviglio dei pensieri e delle idee ecco che prende forma il personaggio, la sua avventura, e, dal quel momento in poi non sei più tu che parli, è lui, che racconta chi è attraverso te. Anche io ogni tanto scrivo sulla PV... Il tuo Blog è proprio un bel posticino, complimenti.
    Se ti va passa a trovarmi, sei la benvenuta.. http://300grammidicartaeinchiostro.blogspot.it/

    Ps: penso di averti inviato una richiesta di amicizia su FB..ma non ne sono sicura..se vedi una certa Alice Aly sono io!

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    Risposte
    1. Ciao Alice, grazie per avermi lasciato un commento. E, sì: quest'intervista mi è piaciuta molto farla :)

      Ma dai, scrivi anche tu su LPV? Dove? Dove? :D

      Passo subito a trovarti <3

      Elimina

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